Tutto fa brodo per macellare la Chiesa

By 19 Settembre 2018Notizie Chiesa

Carlo Maria Viganò, pur con tutta la buona fede che gli concediamo, ha la stessa logica mondana del New York Times. Ma i nostri vaticanisti devoti nel loro zelo papalino e mainstream non sono da meno.

Viva Cristo Re! Viva Santa Madre Chiesa! Viva il Papa! Dovrebbe essere l’Abc della fede cattolica. Così penso io. Intanto però non si spengono i rumors e nemmeno i riflettori sul memoriale Carlo Maria Viganò (e non si spegneranno neanche tanto presto se è vero che dalle Americhe e forse perfino dall’Italia è in arrivo una stagione di scandali sessuali di altissimo livello ecclesiastico). Il memoriale è stato pubblicato dal quotidiano La Verità il 26 agosto, ribadito con approfondimenti il 30 agosto sullo stesso giornale diretto da Maurizio Belpietro e andato in giro per il mondo – Wall Street Journal, New York Times, Le Monde, Bild, Bbc e tanta roba ancora – per qualche giorno, dopo che papa Francesco di rientro dal viaggio in Irlanda aveva detto ai 70 giornalisti imbarcati con lui sul volo che lo riportava a Roma: «Non dirò una parola, giudicate voi».

Ecco, questo non «dirò una parola» aveva fatto un po’ arrabbiare perfino il presidente della Conferenza episcopale Usa, che non è uno di quelli alla “destra conservatrice” del Papa, ma un fedele bergogliano, che però ha chiesto immediatamente udienza a Francesco ed esplicitamente sui contenuti del memoriale Viganò. Ed ecco, ancora, questo «giudicate voi» in un primo tempo sembrava fosse stato tradotto (erroneamente, of course) dai vaticanisti italiani come istigazione a dare addosso all’autore, a prescindere, prima ancora di informare il pubblico dei contenuti del documento dell’ex collaboratore di almeno tre Papi (compreso Bergoglio) e altrettante segreterie di Stato vaticane (compreso Parolin).

Poi, vista la malaparata della “bomba” scoppiata all’estero, oltre agli insulti sono apparse anche sui media nostrani le prime notizie contenute nel dossier. Dunque prima osservazione sulla moralità – tendenziale amore alla verità più che alle proprie tasche e carriere – dei vaticanisti devoti che sono saltati subito addosso all’ex nunzio a Washington: non ci avete fatto proprio una bella figura professionale presentandoci il monsignore come un mitomane mattacchione («un pollo che si crede un corvo» copyright Melloni), un po’ cercatore di vendetta e un po’ l’Orban della gerarchia cattolica (tesi Corriere della Sera con qualche dubia di Massimo Franco), benché a 77 anni il curriculum di Viganò e il passo breve che lo separa dalla tomba sconsiglierebbero imprudenze e illazioni davanti al tribunale di Dio.

Ecco, a meno che nel frattempo siano uscite le prove provate di un complottone; o che di Viganò si sia dimostrato che è proprio matto da legare; beh, questo vaticanismo placidamente e devotamente accovacciato sotto er Cupolone mi è sembrato da ragazzi/e stile amante di Rose McGowan. Che certamente gratis et amore di giustizia e di #metoo ha passato gli sms dell’amica Asia Argento al New York Times. Vogliono essere anche i vaticanisti italiani gender fluid come una qualsiasi Rain Dove? Cioè, un giorno sceriffi che non guardano in faccia nessuno (non dimentichiamo che “tolleranza zero” è conio del sindaco “salviniano” che ha avuto New York) e invocano giustizia e #metoo contro i Weinstein ecclesiastici; un altro le prefiche papiste che attaccano a prescindere uno che potrebbe essere una super gola profonda con la quale un Procuratore americano andrebbe a nozze per portarlo in tribunale come testimone d’accusa delle decine, centinaia, migliaia di contenziosi sex addit che coinvolgono uomini di Chiesa?

D’altra parte, al di là del caso specifico di McCarrick, che è già molto dettagliatamente illustrato in memoriale e che esigerebbe risposte o smentite, non ambiguità e dissimulazioni, ci sono almeno due affermazioni molto pesanti nel memoriale Viganò, che non soltanto non vengono contestate ma sono confermate da due autorevoli collaboratori dell’attuale Papa. Viganò sostiene che «l’80% degli abusi riscontrati è stato nei confronti di giovani adulti da parte di omosessuali in rapporto di autorità verso le loro vittime». Il dato è confermato per tabulas, dalle statistiche storiche e dal timbro recentissimo del gesuita Hans Zollner , vicerettore della Gregoriana. Viganò sostiene anche che la Chiesa è prigioniera di «reti omosessuali». A parte il fatto che questa delle «reti» o «lobby gay» in Vaticano è una rivelazione che fece già Benedetto XVI, la cui “rinuncia” si deve forse anche alla fatica di non essere abbastanza assistito nel combattimento di eradicazione di tali lobby (e stando al memoriale Viganò adesso sarebbe più chiaro il perché), sulla stessa lunghezza d’onda di papa Ratzinger è intervenuto più volte anche papa Bergoglio. A cominciare da quell’audio aereo di ritorno dalle Filippine, quando Francesco mostrò comprensione per le persone omosessuali (il famoso «chi sono io per giudicare» che la stampa liberal storpiò in riconoscimento dell’agenda gay) ma accennò alle lobby gay in Vaticano come «fatto negativo».

Ecco, non c’è bisogno di cercare altre conferme all’affermazione di almeno due Papi e di una gola profonda calunniata come mitomane vendicativo. C’è infatti il gesuita James Martin, obamiano convinto, già invitato a predicare al raduno delle famiglie in Irlanda e prossima star, così dicono notizie di stampa, a un convegno ecclesiastico pro Lgbt che si svolgerà (se non è stato rinviato causa contrattempi) ad Albano la prima settimana di ottobre, a confermare con toni entusiastici almeno una delle pesanti affermazioni del memoriale Viganò. Infatti, secondo Martin «l’idea di epurare i preti gay è sia ridicola che pericolosa: vuoterebbe parrocchie e ordini religiosi di migliaia di preti e vescovi». Ma questa dell’epurazione è mistificazione da New York Times: nessuno vuole epurare i preti gay in quanto gay, ma un gruppo di potere ferocemente avverso all’autocoscienza e dottrina della Chiesa cattolica, cosa ben diversa. Nessuno confonde gay e pedofilia, perciò basta con questa estrema arma di difesa del dare dell’omofobo a chi contesta non i fatti privati ma i reati del predatore sessuale o l’ex abate di monastero benedettino che va in giro per tutti i bei locali orgiastici d’Europa a spese delle decime dei fedeli.

Detto tutto quanto sopra ho detto: per una volta dopo molti anni la penso esattamente come un certo editoriale di Giuliano Ferrara di un mese fa, soprattutto nel punto in cui il mio antico amico sosteneva l’auspicio deluso che questo papato affrontasse in contrattacco i corsi e ricorsi della bolla speculativa sui “preti pedofili”, scoppiata nel 2002 e usata in chiave esclusivamente economica nella forma di miliardi di indennizzi alle vittime.

Se sulle prime c’è stato un momento di corsa all’alzi la mano a chi non ha ricevuto attenzioni ai testicoli da parte di un prete, risolto con milionate di dollari di indennizzo e non se ne parli più, dal 2012 in avanti (epoca scandalo pedofilia denunciato da New York Times in America e in Italia fracasso Vatileaks 1 e 2) si è passati all’attacco politico alla Chiesa di papa Ratzinger da parte del regime Obama (vedi sentenza storica Corte Suprema che abolisce differenza sessuale uomo-donna, azione di lady Clinton a supporto dei fondamentalisti Lgbt). Non a caso il cardinal McCarrick era un supporter di Obama e, stando al memoriale Viganò che stava a Washington e formalmente era lui l’ambasciatore presso la Casa Bianca, McCarrick era anche il vero potente presso Obama e dotato di ricca dote finanziaria. Ma insomma giustamente Ferrara si sarebbe aspettato una controffensiva culturale alla Ratzinger, non separata dalla verità e severità di azione contro abusi e lobby.

Invece si è seguito e si continua a seguire i tempi e i metodi del New York Times, su un terreno su cui si perde sempre perché i principi e l’idea di Chiesa li dettano loro, mentre la Chiesa ci mette tutt’al più la tolleranza zero e la polizia vaticana. Poca cosa. E comunque in patente subalternità alla mondanità. Così il gatto che gioca col topo. Tanto è vero che anche i vaticanisti devoti sono così ammollicciati dottrinalmente e spiritualmente, che nonostante il loro zelo papalino e mainstream, al Papa fanno dire cose che neanche Bergoglio ha mai potuto dire perché sarebbero cose contro il dogma cattolico: per esempio, titolarono così tutti (ma proprio tutti) i giornali e media social e tv un celebre discorso di Francesco durante il viaggio in Irlanda: «La Chiesa ha fallito». Quando invece il Papa parlò di fallimento di «autorità ecclesiastiche e clericalismo», che è ben diverso dalla Chiesa fallita tout court.

Quanto alla sostanza dell’affaire Viganò, ovviamente la penso esattamente come il mio direttore Lele Boffi: Carlo Maria Viganò, pur con tutta la buona fede che gli concediamo, ha la stessa logica del New York Times. Tant’è vero che chiede le dimissioni del Papa. Roba da gente che non conosce nemmeno l’Abc di cos’è la Chiesa fondata sulla roccia di Pietro. E, appunto, con tutta la buona fede del caso, si trova infine subalterno alle categorie mondane di trasparenza aziendale (quando conviene loro) e maccartismo di sinistra (quando serve) al soldo dei big di Wall Street. Insomma, anche questa vicenda mi ha convinto definitivamente a staccare la spina: non ho più neanche un account, me ne sono andato da Twitter, Facebook e Instagram. Do ragione al rasta della Silicon Valley Jaron Lanier, che dopo aver collaborato a googolizzare il mondo, adesso si accorge di “Dieci buone ragioni per cancellare subito i tuoi account social”. I social media odiano l’anima e ti odiano nel profondo dell’anima. Cosa c’entra con Viganò? C’entra che tutto fa brodo-social per macellare la Chiesa. Non a caso ho sempre ricordato che Obama venne alla Casa Bianca innanzitutto per fare il piazzista delle piattaforme digitali (e questo spiega, come dice Trump, che tutti i social pendano algoritmicamente a sinistra). C’entra inoltre perché tutte le impudenze, le banalizzazioni, fake news, i giocatori con le parole, l’odio narcisista e tutto il peggio viene da lì. Perché si sappia che aveva ragione Gekko di Wall Street: «Il denaro non dorme mai, è l’unica cosa che conta, il resto è conversazione».

Ecco sono uscito dall’istituzionalizzazione della conversazione mentre loro ci prendono la roba e puntano all’immensa roba ecclesiastica, grazie anche al lavorìo delle quinte colonne lobbystiche infilate come quinte colonne dentro le mura vaticane: roba – dalle scuole agli ospedali, dalle Caritas alle proprietà immobiliari e terriere – che non appartiene ai preti vescovi o cardinali buoni o poveraccisti, devoti o riccastri, ma appartiene ai duemila anni di donazioni di popolo cristiano. Che adesso, con la banale scusa della pedofilia, vogliono incamerare via movimenti e giornalismo stile Travaglio, gli Stati e le multinazionali al servizio della politica “giusta”.

P.s. L’unica cosa provvidenziale di questo casino di pedofili e massa di clero gay? Ecco, non potranno più giustificare la fesseria ideologica che reclama l’abolizione del celibato dei sacerdoti e, altra baggianata, la rivendicazione del sacerdozio per le donne come indispensabili anche per sanare le ferite degli abusi sessuali. Come si capisce, all’80% del clero sembra che non piacciono le donne. Con chi si dovrebbero togliere ufficialmente il celibato? Ok, prepariamoci alla carica dei 101 gender fluid. Così vale tutto e il contrario di tutto. E poi potrai andare nel cesso delle signorine, fare la pipì da seduto e, istigazione a delinquere, filmare con la go pro la passerina delle vicine.

Luigi Amicone

Tempi.it, 1 settembre 2018

Tutto fa brodo per macellare la Chiesa