UTERO IN AFFITTO: una moderna forma di schiavitù

By 28 Giugno 2019Pillole di saggezza

UTERO IN AFFITTO: una moderna forma di schiavitù

Il fenomeno definito dell’ “Utero in affitto”, della “Maternità su commissione”, o della “Maternità sostitutiva” è in espansione in tutto il mondo coinvolgendo prevalentemente le donne povere dei Paesi del Terzo/Quarto Mondo.

E’ qualificata da molti un “nuovo colonialismo” e da altri una moderna forma di schiavitù.

E’ una pratica obbrobriosa di svilimento del corpo femminile e della sua fertilità, e consiste nell’ impegno di una donna a farsi fecondare, generalmente con il seme del partner della coppia committente, e rendere disponibile “a pagamento” il proprio utero per il corso di una gravidanza con l’impegno di consegnare alla coppia committente il bambino nel momento della nascita.

Questa è la più spersonalizzata tipologia del nascere essendoci scissione tra sessualità e procreazione e tra procreazione e gestazione.

Lo proponiamo, oggi, come oggetto di riflessione poiché anche nel nostro Paese la tematica ciclicamente diviene di attualità con pareri assai divergenti.

Le coppie che s’indirizzano alla “maternità surrogata” sono benestanti, prevalentemente dei Paesi occidentali, dopo aver sperimentato, invano, per anni, la procreazione medicalmente assistita, o sono donne in età avanzata (anche oltre i 50 anni, a volte all’approssimarsi dei 60), oppure signore “too-posh-to-push”, che giudicano il tempo della gravidanza “una noia” essendo ricche o “in carriera”.

La “maternità surrogata” di cui non esistono dati ufficiali su quanto sia ampia questa industria della fertilità (1) è regolamentata con modalità diverse nei vari Stati.

In Italia, la pratica è “illegale”, come ribadito dalla legge 40/2004 (“Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”) all’articolo 5, dall’articolo 269 del Codice civile (secondo cui madre è colei che partorisce) e dall’articolo 567 del Codice penale (che sotto il titolo di “alterazione di stato di minore” sanziona chi dichiara all’anagrafe come proprio un figlio altrui). Però, negli ultimi anni, si è avviato un “turismo procreativo”, e alcuni nostri concittadini, ritornano in patria con bambini nati con questa prassi all’estero, bypassando il divieto. E come vedremo inseguito: “la fanno franca”. Per questo, è urgente, la regolamentazione del fenomeno.

Anche il “Parlamento Europeo”, nella Risoluzione del 5 aprile 2011 riguardante la determinazione di un nuovo quadro giuridico nei riguardi della violenza contro le donne, si  pronunciò a sfavore della maternità surrogata, sollecitando i vari Stati a riconoscere e sanzionare questo atto che costituisce lo sfruttamento del corpo e degli organi riproduttivi femminili (2).

Si osserva, inoltre, che  la surrogazione di maternità, incrementa “la tratta” di donne e di bambini, nonché le adozioni illegali transnazionali (3).

Anche per l’Istruzione “Donum vitae” la “maternità surrogata” è eticamente inaccettabile per le stesse ragioni per cui è vietata la procreazione medicalmente assistita eterologa: “è contraria all’unità del matrimonio e alla dignità della procreazione umana” (4).

Ma, nonostante le dichiarazioni di “sdegno internazionale”, si sta facendo strada, in vari Paesi, la “legalizzazione tacita dell’utero in affitto” frutto delle sentenze di alcuni tribunali, adottando quella che è qualificata come “giurisprudenza creativa”, mediante ragionamenti “giuridicamente discutibili” e scordandosi, che loro giudici, devono unicamente applicare le leggi, non “crearle”. Di conseguenza se le leggi italiane vietano la maternità surrogata non è giuridicamente ed eticamente accettabile che chi affitti un utero all’estero possa poi rimpatriare, godendone indisturbato gli effetti.

I casi sono molti, noi esamineremo per approfondire l’argomento, ciò che accadde alla Quinta Sezione Penale del Tribunale di Milano che assolse il 24 marzo 2015 una coppia imputata di “alterazione di stato” dopo aver trascritto l’atto di nascita di un bimbo nato in Ucraina a seguito di un contratto di maternità surrogata a pagamento. Dunque, un certificato di nascita straniero, che riportava come madre la “committente” (non la partoriente e neppure l’altra donna che ha fornito i propri ovociti) trovò cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano. Il collegio, presieduto da Annamaria Gatto, scrisse nelle motivazioni che in primo luogo ci si era riferiti alla legge ucraina sulla formazione dell’atto di nascita, legge che era stata rispettata appieno. Infatti, affermarono i giudici, è “la stessa legge italiana a imporre ai cittadini italiani all’estero di effettuare le dichiarazioni di nascita all’ufficiale di stato civile straniero e secondo la legge del luogo ove l’evento è avvenuto”. In Ucraina, la pratica dell’utero in affitto è legittima, e quindi quell’atto di nascita era pienamente conforme alla legge. Nelle motivazioni si legge ancora: “l’ordinamento interno (…) al pari di quello ucraino, nel disciplinare gli effetti della fecondazione eterologa valorizza il principio di ‘responsabilità procreativa’ e ne fa applicazione in luogo di quello di discendenza genetica; il coniuge che abbia dato l’assenso (…) alla nascita di un bambino tramite fecondazione eterologa (…) non può esercitare l’azione di disconoscimento, per avere assunto la responsabilità di questo figlio, e ne diviene genitore nonostante lo stato civile del neonato venga determinato in maniera estranea alla sua discendenza genetica”. I magistrati milanesi, giunsero a queste conclusioni poiché le premesse erano state poste dalla “Corte Costituzionale Italiana” con la sentenza 162 del 2014 che aveva aperto alla fecondazione medicalmente assistita eterologa, tecnica in cui un gamete o entrambi i gameti possono provenire da soggetti estranei alla coppia richiedente.

Riportiamo l’intervista del giurista Alberto Gambino sulla sentenza dei giudici di Milano rilasciata a Radio Vaticana.

Una pronuncia che contrasta con quanto già deciso invece dalla Corte di Cassazione che, ricordo, in Italia invece è il supremo organo giurisdizionale. La Corte di Cassazione aveva detto che la cosiddetta surrogazione di maternità è contraria all’ordine pubblico interno, in quanto va contro la dignità umana. Quindi, non si può trascrivere questo nuovo stato, tant’è che si andrebbe incontro al reato di “alterazione di stato”, dicendo che un figlio concepito all’estero attraverso una donna che poi non ne diventi madre da un punto di vista civile – perché sostanzialmente presta l’utero per tutto il periodo della gravidanza, ma poi le viene strappato dal grembo – questo in Italia, essendo vietato, non è ammissibile che poi quel bambino venga dunque riconosciuto come figlio di quella coppia che aveva chiesto la surrogazione di maternità.

D. In questo caso ci sono più problemi. Il primo è quello nei confronti del bambino, e in questo caso la Corte di Milano parte proprio da questo presupposto, cioè cercare di dare una tutela al bambino. Dall’altra parte, c’è lo sfruttamento di una donna e prima ancora la manipolazione genetica. Come inquadrare questi tre fattori?

R. Va inquadrato senza ipocrisia. E cioè, se il bambino c’è e convive con quella coppia che lo ha avuto da parte di un’altra donna gestante è perché l’ordinamento non ha reagito, e cioè significa che si è tollerato che questo bambino rientrasse in Italia, iniziasse a convivere con una coppia di cui certamente uno dei due non è il genitore, perché la sua mamma è all’estero: è colei che aveva partorito, per il nostro diritto. Continuando a convivere settimane, mesi forse anni con quella coppia, si arriva a un punto di non ritorno perché tutti noi ci rendiamo conto che a quel punto strappare di nuovo questo bambino da questa coppia che l’ha avuto illegittimamente sarebbe addirittura un male maggiore. Ma proprio questa è l’ipocrisia: che viceversa va bloccata sul nascere la possibilità che questo bambino venga strappato da sua madre che l’ha partorito e venga dato a una coppia che invece è illegittima. Quindi, immediatamente, non dopo mesi o anni, perché dopo mesi o anni riconosco – riconosciamo tutti – che probabilmente l’interesse migliore del bambino è continuare a vivere, a quel punto, con quella coppia.

D. In un panorama europeo che invece si apre a questa possibilità, come si fa a intervenire?

R. Si interviene perché comunque i cittadini italiani sono sottoposti alla legge italiana e non è che se vanno all’estero sono immuni: sono sottoposti alla legge italiana e quindi un atto vietato in Italia per un cittadino italiano è vietato anche all’estero. Questa è l’ipocrisia che viceversa si tollera: si tollera che ritorni questo bambino. Tra l’altro, immagini portare un bambino da un Paese all’altro: tutti noi sappiamo quanto sia difficile farlo entrare nelle frontiere italiane. E quindi questo significa che c’è davvero un’eccessiva tolleranza e probabilmente c’è anche un rispetto mancato delle regole e della legalità. Noi dobbiamo stare attenti: la surrogazione di maternità è una aberrazione, perché significa che un feto che vive nel grembo della mamma per nove mesi, nel momento in cui vede la luce viene strappato da quella donna: è la schiavitù del XXI secolo. E su questo non possiamo transigere.

D.Possiamo dire che gli schiavi sono due: una mamma e un bambino che viene utilizzato in questo modo?

R. Gli schiavi sono due, e per certi versi anche la coppia che a tutti i costi vuole avere questo figlio, in qualche modo diventa vittima della stessa vicenda, perché certamente non può vivere bene e serena una coppia che ha portato avanti una situazione a tutti i costi, contro la dignità delle altre persone.

D.Che cosa resta della legge 40 che rimetteva ordine in quello che era un “far west” procreativo?

R. Intanto, resta chiarissimo proprio questo divieto di surrogazione della maternità: divieto di commercializzazione degli embrioni e anche dei gameti, e quindi quando ci sono anche dei pagamenti che vengono fatti, ad esempio per l’eterologa, questo dalla legge italiana è vietato. Cioè, non si può svilire la vita umana, la dignità della vita umana a un “prezzo”, a un corrispettivo, a del denaro. A questo punto, si sta capovolgendo la nostra società: si mette al primo posto il bisogno, i denari, l’economia e al secondo posto la vita delle persone, in particolare del nascituro o del bimbo che si ha in grembo. Questo la legge 40 continua a sostenerlo. Ma dico di più: lo sostengono i principi di civiltà di tutti gliordinamenti occidentali importanti e significativi, come quello italiano (5).

Analoghi procedimenti sono in corso in varie città italiane e all’estero. Ad esempio, in Francia, nel luglio 2015 due verdetti congiunti della “Corte di Cassazione” avallarono il sistema praticato da decine di single e coppie, eterosessuali e non, per aggirare la disciplina penale vigente nel Paese. I giudici riconobbero come legittima la trascrizione  all’anagrafe francese di due bambine partorite quattro anni prima in Russia da donne locali che accettarono la cessione alla nascita richiesta da una coppia omosessuale francese. Le autorità russe avevano accolto le dichiarazioni di paternità biologica. E per la prima volta, queste attestazioni prodotte all’estero, furono considerate sufficienti dalla giustizia francese. Non è difficile immaginare che il passo successivo, per le coppie omosessuali sposate o conviventi, sia la possibilità di adottare il figlio biologico del partner  consolidando ancora di più l’orientamento culturale e giuridico secondo cui un bambino è figlio di chi ha manifestato l’intenzione di averlo e non di chi lo ha generato effettivamente. La tendenza, che si sta consolidando in ambito internazionale, è quella di prendere atto di queste situazioni e offrire al nato le garanzie del Paese in cui vive, riconoscendo come genitori quelli che lo crescono. Ma se indubbiamente i bambini vanno tutelati, le coppie che ne hanno commissionato il concepimento e la nascita andrebbero sanzionate con severità quando ritornano nelle nazioni di origine, dove queste pratiche sono vietate, altrimenti la trascrizione degli atti di nascita di questi piccoli si trasforma, inevitabilmente, nella legittimazione della maternità surrogata stessa, “una legittimazione internazionale”, non più perseguibile neppure laddove la legge la vieta.

In un periodo storico nel quale continuamente si dibatte della “tutela della donna”, il diffondersi di questo mostruoso fenomeno è un evidente “schiaffo sociale” alla rispettabilità e alla dignità del sesso femminile.

Le donne che accettano di “affittare il proprio utero” sono prevalentemente analfabeta e molto povere che per ricavare un minimo profitto per vivere, tollerano vincoli gravosi, umiliando il loro corpo e ignorando i loro diritti.

“Il diritto” di ogni donna alla gravidanza, facendo crescere in sé il dono maggiore che possiede e successivamente accudire il bimbo partorito, si iscrive tra i “diritti fondamentali dell’uomo”.

Non possiamo scordare, inoltre, le sofferenze della madre surrogata nel separarsi dal feto che ha accudito per nove mesi costituendo con lui un intenso legame fisico e psicologico. E questo precede ogni legge o contratto!

Le “madri surrogate”, inoltre, sono soggette a innumerevoli rischi: “la sindrome da iperstimolazione ovarica, la torsione ovarica, la perdita di fertilità, il tumore canceroso del sistema riproduttivo, coaguli sanguigni, insufficienza renale, arresto cardiaco e, in un certo numero di casi, la morte”(6). A questa lista raggelante di effetti collaterali si aggiungono un rischio più elevato di pre-eclampsia (sindrome legata alla gravidanza) e d’ipertensione.

Non meno impressionante il quadro delle più frequenti complicazioni per i nascituri: nascita prematura, decesso alla nascita, peso insufficiente alla nascita, malformazioni del feto e pressione arteriosa elevata. In base ai molti studi che hanno documentato la profondità umana, fisiologica e psicologica del legame che s’instaura fra madre e neonato, la petizione francese sottolineava l’effetto abominevole della gravidanza surrogata, che “rompe l’attaccamento materno naturale che si stabilisce durante la gravidanza, un legame che i professionisti della medicina incoraggiano e cercano di rafforzare di continuo. Il legame biologico fra madre e bambino è innegabilmente di natura intima e, quando viene rotto, le conseguenze sono durature per entrambe le parti” (7).

Inoltre, il bambino, prodotto di un accordo tra le parti, vive il dramma dell’essere privo di storia e di radici genetiche e affettive. Per lui, sarà alquanto difficoltoso, percepire i suoi genitori legali e in alcune situazioni anche la sua cittadinanza.

“Un destino incerto” lo attenderebbe se fosse portatore di imperfezioni, poiché i genitori committenti potrebbero non accettarlo ed egli sarebbe condannato, molto probabilmente, a essere abortito o abbandonato. Famosa, tra i molti, fu la vicenda di una coppia australiana che nel 2013 “commissionò” un figlio a una donna indiana che partorì due gemellini, un maschietto e una femminuccia. Ma i genitori committenti avevano già un figlio, quindi accettarono la neonata lasciando in India il fratellino. In Thailandia nel 2014 nacquero due gemellini; uno era down; i genitori committenti accettarono unicamente quello in buona salute. Una vicenda analoga avvenne nel sud della Boemia dove una coppia quarantenne identificò una “mamma in affitto” però sofferente di epilessia e da evidenti disturbi mentali. La gestante partorisce. E il neonato è immediatamente sottoposto a vari interventi chirurgici. A quel punto, sia i due “genitori-committenti” sia la gestante, concordano di affidare il bambino a un orfanotrofio.

Un’altra criticità concerne i “legami biologici” fra il bimbo e chi ha cooperato alla sua nascita. E anche qui è presente l’assoluta incertezza poiché in alcune circostanze vari individui potrebbero essere reputati “genitori”: la donna che “affitta l’utero” (madre gestionale o uterina) e suo marito che deve esprimere un consenso, la donna della coppia committente (madre sociale), i due donatori di gameti e di ovociti estranei alla coppia committente.

La “maternità surrogata” è una spregevole commercializzazione dell’essere umano e chi la presenta in un ottica “altruistica” o “filantropica” è unicamente “ippocrita”. E anche la “giurisprudenza creativa” in crescita, dimentica la gestante e la sua dignità.

Don Gian Maria Comolli

NOTE

(1) L’unico testo fu pubblicato dalla giornalista indiana, Gita Aravamudan: Baby Makers. A Story of Indian Surrogacy (Produttori di bambini. Una storia di surrogazione indiana) Harper Collins Publishers, India, 2014. Il saggio, frutto di documentate ricerche di storie di donne indiane vittime di questo triste fenomeno, riporta l’estensione di questa silenziosa piaga.

(2) Cfr.: Parlamento Europeo, Risoluzione 5 aprile 2011, articolo 20.

(3) Cfr.: Risoluzione 5 aprile 2011, op. cit., articolo 21.

(4) Congregazione per la Dottrina delle Fede, Donum vitae, p. II, n. 3.

(5) Vatican Radio: http://it.radiovaticana.va/news/2015/07/15/maternità_surrogata_gambi../.

(6) Dalla petizione del quotidiano francese Liberation, 14 maggio 2015; cfr.: www.stopsurrogacynow.org

(7) Petizione del quotidiano francese Liberation, op. cit