WWW.VALIGIABLU.IT – COVID-19: 120 ricercatori chiedono spiegazioni a Lancet sullo studio sul farmaco antimalarico idrossiclorochina

By 31 Maggio 2020Coronavirus, Salute

Lancet ha ritirato lo studio pubblicato il 22 maggio che aveva rilevato un rischio di mortalità – di oltre il 35% – e di insorgenza di aritmie più elevato tra i pazienti COVID in trattamento con clorochina e idrossiclorochina e aveva spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a sospendere temporaneamente in via precauzionale diversi studi clinici sull’uso del farmaco anti-malarico. Successivamente l’OMS ha nuovamente autorizzato i test clinici sull’utilizzo dell’idrossiclorochina.
Lo studio è stato ritirato dopo un’indagine del Guardian che aveva riscontrato incoerenze nell’aggregazione dei dati relativi all’Australia, i dubbi sollevati dalla Columbia University sulla metodologia adottata e sulla composizione del database da parte della società che ha curato la raccolta dei dati grezzi, Surgisphere, e la lettera aperta al direttore di Lancet di 120 ricercatori e professionisti del settore medico che sollevavano diverse criticità sulla ricerca elencate in dieci punti chiave: in particolare, l’integrità dei dati, il mancato rispetto delle pratiche standard del trattamento dei dati statistici (“gli autori non hanno rilasciato il loro codice o i dati”), l’opacità dell’origine dei dati contenuti nel database utilizzato per lo studio (“Non sono stati menzionati i paesi o gli ospedali che hanno contribuito alla costruzione del database e non è stato fatto nessun riconoscimento al loro contribuito”), la divergenza tra alcuni dati riportati nello studio e quelli raccolti da altri istituti di ricerca, come la John Hopkins University.
L’autore principale della ricerca, il professor Mandeep Mehra, dell’ospedale Brigham and Women di Boston, nel Massachusetts, ha chiesto di ritirare la pubblicazione da Lancet dopo aver appurato di non essere in grado di garantire l’accuratezza dei dati. Gli autori indipendenti dello studio avevano chiesto a una società di revisione indipendente di esaminare il database fornito da Surgisphere per verificare che avesse i dati di oltre 96.000 pazienti Covid-19 in 671 ospedali in tutto il mondo, che fosse stato ottenuto correttamente e che fosse accurato. Dopo l’indisponibilità da parte di Surgisphere di collaborare con la società indipendente nel processo di revisione del database, Mehra ha deciso di ritirare lo studio: «I nostri revisori indipendenti ci hanno informato che Surgisphere non avrebbe trasferito il set di dati completo, i contratti dei clienti e l’intero rapporto di audit ISO sui loro server per l’analisi poiché tale trasferimento avrebbe violato gli accordi con i clienti e i requisiti di riservatezza. Pertanto, i nostri revisori non sono stati in grado di condurre una revisione tra pari indipendente e privata e pertanto ci hanno notificato il loro ritiro dal processo di revisione tra pari», ha spiegato il professore.
Nonostante affermi di gestire uno dei database ospedalieri più grandi al mondo, un’indagine del Guardian ha mostrato che Surgisphere è una società molto piccola: ha pochi dipendenti, con un background scientifico nullo o irrilevante, pochi follower su LinkedIn e Twitter. Fino all’1 maggio, chi provava a mettersi in contatto con la società veniva reinderizzato su un template WordPress per un sito Web di criptovalute, sollevando dubbi su come gli ospedali potessero contattare l’azienda per accedere al suo database. Il suo direttore esecutivo, Sapan Desai, risulta coinvolto in tre cause per negligenza medica (accuse che Desai ha definito prive di fondamento), estranee al database di Surgisphere, e la sua pagina su Wikipedia è stata cancellata in seguito a dubbi proprio sulla società e la sua storia.
Surgisphere, scrive il Guardian, sembra uscita dal nulla e non è chiaro come la società sia stata in grado di stipulare accordi di condivisione dei dati con così tanti ospedali in tutto il mondo, inclusi quelli con tecnologia limitata, di accordare lingue e sistemi di codifica diversi, rispettando le leggi sulla privacy e norme etiche di ciascun paese, e come abbia potuto de-identificare una mole così massiccia di dati. «Non ci sono prove online del fatto che [Surgisphere] avesse alcun software analitico prima di un anno fa. Ci vogliono mesi per convincere le persone a unirsi a questi database, richiede il coinvolgimento di network di revisione, di quelli della sicurezza dei responsabili della sicurezza e di chi si occupa della gestione. Non si tratta semplicemente di compilare un modulo d’iscrizione e di fare un colloquio», spiega al Guardian Peter Ellis, direttore scientifico di Nous Group, una società di consulenza internazionale di gestione che fa progetti di integrazione dei dati per dipartimenti governativi. Secondo Ellis, il database di Surgisphere potrebbe rivelarsi «quasi certamente una truffa». Anche la de-identificazione dei dati «non è solo una questione di eliminare i nomi dei pazienti, è un processo lungo e complesso. Dubito che gli ospedali abbiano persino la capacità di farlo in modo appropriato. È il genere di cose su cui le agenzie nazionali di statistica impiegano per anni intere squadre». Depai aveva risposto al Guardian di ricorrere all’intelligenza artificiale e al machine learning, «l’unico modo in cui un compito come questo è possibile».
Oltre a Lancet, anche il New England Journal of Medicine (NEJM) ha ritirato uno studio, pubblicato l’1 maggio, dal titolo “Malattie cardiovascolari, terapia farmacologica e mortalità in COVID-19”, basato sul database Surgisphere e scritto anch’esso da Mehra e Desai. Secondo la pubblicazione, che sosteneva di aver raccolto dati da 169 ospedali in 11 paesi in Asia, Europa e Nord America, l’assunzione di alcuni farmaci per la pressione arteriosa non sembrava aumentare il rischio di morte tra i pazienti COVID-19, come suggerito da alcuni ricercatori. Dubbi ci sono anche sui dati aggregati in un terzo studio su COVID-19, pubblicato in pre-print all’inizio di aprile, secondo il quale l’ivermectina, un farmaco antiparassitario, sarebbe in grado di ridurre la letalità della malattia. Questa ricerca ha portato diversi paesi dell’America Latina, dove l’ivermectina è ampiamente disponibile, ad autorizzare l’utilizzo del farmaco, sebbene con precauzioni. In una nota, pubblicata da NEJM, gli autori hanno dichiarato: “Poiché a tutti gli autori non è stato concesso l’accesso ai dati grezzi, resi indisponibili a un revisore indipendente, non siamo in grado di convalidare i dati primari alla base del nostro studio. Chiediamo pertanto che l’articolo venga ritirato. Ci scusiamo con i redattori e con i lettori della rivista scientifica per i problemi che ciò ha causato”. «Questo è un esempio scioccante di cattiva condotta nella ricerca nel pieno di un’emergenza sanitaria globale», ha detto al Guardian il direttore di Lancet Richard Horton.
Intanto, riporta Repubblica, 140 medici hanno presentato all’AIFA e al Ministero della Salute un’istanza per chiedere la revoca della sospensione dell’utilizzo dell’idrossiclorochina per il trattamento della COVID-19, decisa il 26 maggio scorso.

Più di 120 ricercatori e professionisti del settore medico di tutto il mondo hanno scritto una lettera aperta al direttore di Lancet, sollevando una serie di perplessità su uno studio pubblicato sulla rivista scientifica il 22 maggio che aveva spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a sospendere temporaneamente in via precauzionale diversi studi clinici sull’uso del farmaco anti-malarico idrossiclorochina come trattamento contro COVID-19. Lo studio, condotto dal Brigham and Women’s Hospital Center for Advanced Heart Disease di Boston, ha esaminato i pazienti negli ospedali di tutto il mondo e ha rilevato un rischio di mortalità – di oltre il 35% – e di insorgenza di aritmie più elevato tra i pazienti COVID in trattamento con clorochina e idrossiclorochina. La ricerca è stata condotta su 96mila pazienti ospedalizzati con diagnosi di COVID-19 in sei continenti: è la più ampia analisi di cartelle cliniche sul farmaco, realizzata tra il 20 dicembre 2019 e il 14 aprile 2020. Lo studio ha preso in considerazione 15mila pazienti ospedalieri che assumevano una combinazione di farmaci con idrossiclorochina e oltre 80mila che non lo facevano. Oltre 10mila pazienti sono morti, ma il tasso di pazienti deceduti a cui è stata somministrata una combinazione di idrossiclorochina o clorochina, assunti con o senza un antibiotico, è stato più elevato rispetto a quelli che non avevano preso il farmaco. “I nostri risultati suggeriscono non solo l’assenza di benefici terapeutici, ma anche potenziali danni dall’uso di regimi di farmaci con idrossiclorochina o clorochina (con o senza macrolidi) in pazienti ospedalizzati con COVID-19”, si legge nello studio. I ricercatori evidenziavano, però, di interpretare i dati con cautela e che il loro lavoro necessitava di ulteriori studi randomizzati per arrivare a conclusioni definitive. Dopo la pubblicazione dello studio e la decisione dell’OMS, diversi governi hanno messo in guardia sull’uso dell’idrossiclorochina per il trattamento di COVID-19. I ricercatori chiedono di non fermare le sperimentazioni cliniche perché vi è un consenso generale sulla necessità di studi più efficaci per esplorare i diversi trattamenti tra cui antibiotici, antivirali e antimalarici. Nella lettera vengono sollevati 10 punti che mettono in discussione principalmente l’analisi statistica e l’integrità dei dati dello studio pubblicato su Lancet. In particolare, non sarebbero state rispettate le pratiche standard della comunità sulle statistiche – “gli autori non hanno rilasciato il loro codice o i dati” – ed è opaca l’origine dei dati contenuti nel database utilizzato per lo studio, curato da Surgisphere, una società che si occupa di analisi dei dati sanitari: “Non sono stati menzionati i paesi o gli ospedali che hanno contribuito alla costruzione del database e non è stato fatto nessun riconoscimento al loro contribuito”. Inoltre, non c’è convergenza tra alcuni dati riportati nello studio e quelli raccolti da altri istituti di ricerca, come la John Hopkins University. La lettera degli oltre 120 ricercatori arriva dopo un articolo pubblicato il 28 maggio dal Guardian Australia che ha individuato una discordanza tra i dati relativi all’Australia riportati nello studio e quelli registrati nei database dei dipartimenti sanitari. Nello specifico, non coincidevano i dati sui decessi in tutto il Continente al 23 aprile e quelli relativi ai ricoveri e ai decessi negli ospedali dei due Stati più popolosi, Nuovo Galles del Sud e Victoria. Lancet ha risposto al Guardian Australia di aver chiesto chiarimenti agli autori che, a loro volta, hanno dichiarato di aver contattato Surgisphere per chiedere conto delle discrepanze sui dati. Il fondatore della società, il dottor Sapan Desai, ha risposto che per errore era stato incluso tra i dati relativi all’Australia anche un ospedale asiatico, ma che questo non aveva grande rilevanza rispetto agli esiti dell’analisi finale. A questo si aggiungeva un’ulteriore anomalia. Nello studio non vengono citati gli ospedali che hanno fornito i dati. “Di solito, per fornire i dati a una società come Surgisphere è necessaria l’approvazione etica e qualcuno dell’ospedale sarà coinvolto nel processo di trasmissione dei dati. All’ospedale di Melbourne, dove lavoro, non mi è stata mai menzionata Surgisphere”, ha detto al Guardian Australia il dottor Allen Cheng, epidemiologo e medico specializzato in malattie infettive. Va specificato, ha aggiunto il dottor Chen, che finora nessuno studio ha dimostrato che il farmaco sia efficace. L’idrossiclorochina e la clorochina – scrive Guardian Australia – hanno effetti collaterali potenzialmente gravi, tra cui insufficienza cardiaca, e persino mortali se usati in modo inappropriato. Altri studi hanno scoperto che il farmaco è associato a una maggiore mortalità se somministrato a pazienti gravemente malati che hanno contratto COVID-19. Anche la Columbia University, negli Stati Uniti, ha sollevato dubbi sul database di Surgisphere, e sulla metodologia adottata nello studio. In una dichiarazione ufficiale, Surgisphere ha confermato l’integrità dei suoi dati, affermando che tutte le informazioni provenienti dagli ospedali “vengono trasferite in modo non identificato” ma non possono essere rese pubbliche. “Come per la maggior parte delle aziende, l’accesso ai singoli dati ospedalieri è strettamente regolato. I nostri accordi sull’utilizzo dei dati non ci consentono di rendere pubblici questi dati”. Alle critiche mosse dalla lettera dei ricercatori, invece, la società ha risposto di aver eseguito le analisi con cura e di aver fornito un’interpretazione dei dati misurata.
Aggiornamento 2 giugno: Il 2 giugno la rivista scientifica Lancet ha pubblicato una nota ufficiale in cui esprime preoccupazione sulle questioni scientifiche che stanno emergendo intorno allo studio sull’idrissoclorichina. “Sebbene sia in atto una verifica indipendente della provenienza e della validità dei dati commissionata dagli autori non affiliati a Surgisphere, pubblichiamo una ‘expression of concern’ per avvisare i lettori che sullo studio sono state portate alla nostra attenzione questioni scientifiche serie”, si legge nella nota. Lancet aggiornerà la lettera nel momento in cui arriveranno i risultati della verifica indipendente, attesi a breve.
Nel frattempo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha nuovamente autorizzato i test clinici sull’utilizzo dell’idrossiclorochina, sospesi dopo lo studio pubblicato su Lancet. «Al momento, non ci sono evidenze dell’esistenza di un farmaco in grado di ridurre la letalità di COVID-19, per questo è una priorità urgente per tutti noi fare gli studi necessari, fare gli studi clinici randomizzati al fine di ottenere tali prove il più rapidamente possibile», ha dichiarato al New York Times la dottoressa Soumya Swaminathan, vicedirettrice dell’OMS.

31 Maggio 2020

COVID-19: 120 ricercatori chiedono spiegazioni a Lancet sullo studio sul farmaco antimalarico idrossiclorochina