LIBERO – Riccardo Munda, il medico bergamasco e la “pozione anti-Covid”: salvate decine di persone senza passare per l’ospedale

By 30 Novembre 2020Coronavirus

Eh, si fa presto a dire miracolo. “E come d’un tratto, come per virtù d’un miracolo, il minuscolo torace diede un sobbalzo convulsivo. Un secondo. Un terzo. Manson vacillò per l’emozione. Il senso della vita, scaturitogli improvvisamente di sotto alle dita dopo tanti sforzi ch’ eran sembrati dover esser vani, gli tornò così gradito che fu lì lì per svenir”. Non so per quale sinapsi letteraria, mentre ascolto il dottor Munda, il pensiero mi corre al dottor Manson: quello, per capirci che riporta alla vita il bimbo dei coniugi Morgan muovendosi come uno sciamano tra strofinacci bagnati, ventri e sogni tumidi, bacinelle d’acqua tiepida. Non so perché Riccardo Munda, medico di base di Selvino e Nembro, il cuore del contagio, mi ricorda il buon dottore della Cittadella di Cronin.

In fondo i toraci che ha appena auscultato e liberato dal Covid non sono così freschi: sono quelli di Clara e Guerino «amabili vecchietti che ora possono riaprire il proprio bar in paese». Munda, siciliano di Caltanissetta, loquace ai limiti della logorrea, ha poco meno di quarant’ anni; ma dai lineamenti scavati dal sonno perso sembra uno di quei medici condotti col doppio delle primavere e dell’esperienza. La sua è una piccola, ordinaria, storia senza morale, di quelle che -se va bene- non ci sprecheresti 30 righe nelle cronache locali. Eppure, il dottor Munda -lo sguardo allegro, il passo veloce e la borsa in finta pelle- attraversa l’Italia da mesi, in silenzio. E sconfigge il virus sempre sul territorio, alle porte dell’ospedalizzazione, al grido di «con me nessun paziente viene ricoverato». Lo fa attraverso un cocktail di «antibiotici in combinazione ad alto dosaggio». Che non ho ben capito cosa significhi -e lui non me lo spiega-. Ma, constatando, documenti alla mano, che su cento contagiati da marzo ad ora, ne ha salvati cento pur operando nella zona a più alto rischio epidemiologico d’Italia; be’, insomma, qualcosa di taumaturgico lo deve pur avere.

Certo, i colleghi magari un po’ invidiosi, affermano che Munda curi i pazienti con la sola imposizione delle mani. E, proprio l’altro giorno, al Tg2, un eminente professore dell’Ospedale Spallanzani gli ha detto che «è stato fortunato nel curare i malati», praticamente dandogli del pirla. Però il Munda, che sì, non è titolato perché finita medicina a Catania si è messo subito a lavorare tra guardie mediche e visite di base; be’ il Munda, incassa come un boxeur, più lo sbatacchiano più si mette di tigna. Inizia alle 8 del mattino, finisce alle 20 dopo 25/30 visite al giorno che sfiancherebbero un bue. Ma non visita solo nel bergamasco: si sposta a Milano, Torino, Varese, Lecco, perfino Torino. Torna nella sua casa a Selvino in mezzo ai monti e all’umidità, saluta la fidanzata disperata. E, dopo cena, ingolla un caffè e ricomincia con i pazienti: dove non arriva si attacca a Skype, interroga i social, e risponde come sotto ipnosi alle domande dei presunti contagiati da ogni dove. Si tratta di persone spaurite e confuse, gente che si vede rimbalzare dalla Asl e dal proprio medico curante e che teme di aver contratto il virus e viene lasciata alla deriva di un Rx toracica o di un dato di saturazione basale sotto sforzo. Munda diagnostica polmoniti impossibili. «L’altro giorno ho visitato una signora che era saturata al 45%, tengo conto che non si dovrebbe mai scendere sotto il 95%. Quando è arrivata l’ambulanza era al 42%, talmente messa male che l’hanno lasciata a casa con una bombola d’ossigeno ad uso caritatevole. Il marito era a 86%, col saturimetro misuratogli in tutte le dita: gli ho fatto fare un Rx, aveva una polmonite bilaterale ma non aveva il fiatone perché per tutta la vita da muratore era abituato a sopportare carichi pesanti», ci dice.

Munda segue il giuramento di Ippocrate alla lettera, ossessivamente. Accorre subito appena sente il grido d’aiuto di un paziente, anche magari se non è il suo. È talmente preso dalle trasferte che il padre, geometra al Comune natio siculo di Riesi, durante la prima ondata di Covid minacciò di andare in auto dalla Sicilia alla Valseriana per prenderlo a sberle. Ma lui, niente, continua imperterrito: «I pazienti hanno bisogno di medici che ci siano quando li chiamano. Assistere significa prendersi cura delle persone, stargli vicino quando hanno bisogno. Mai come con questo virus prendersi cura è diventata anche una questione psicologica». E vabbè. Il dottor Munda, l’altro giorno è sceso a Mazzarino, il suo paesello, perché la madre ha il Covid ma «il medico di famiglia non s’ è degnato di visitarla». Lì, già che c’era, s’ è messo a curare gli amici: «e ho comprato 460 euro di test per i miei compaesani; ce n’era uno che dopo 20 giorni di terapia sbagliata se ne stava andando». Non so perché il dottore faccia tutto questo. Tra l’altro, non chiede neanche soldi se non dei rimborsi spese (finora 800 euro che, onestamente, non l’hanno reso ricco). E quando glielo chiedi, lui ti risponde come un personaggio di Camilleri: «Io faccio il medico di montagna. Il modello è essere medico condotto, di quelli che girano con la borsetta nelle periferie come quello che veniva a casa -era il dottor Di Fazio- che tutti muti e zitti che parla ‘u dottori». Munda non otterrà il Nobel per la medicina. Ma se -come dice lui- la Curia di Piazza Armerina gli assegnerà il Premio Ulixes per l’uomo dell’anno; be’, qualche merito l’avrà pure. Certo, gli piace comparire, in questi giorni è più in televisione lui che Carlo Conti ai bei tempi. Ora, io non so se il dottor Munda abbia l’allure del dottor Manson, se finga o se la sua bomba d’antibiotici possa servire davvero a ripulirci dalla pandemia. Ma il fatto che i suoi 1400 pazienti schiudano il sorriso nella sofferenza rende la sua storia perlomeno degna del racconto.

Francesco Specchia

30 novembre 2020

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