Giornata dei risvegli. Essere o essere (vita fine o fine vita)

Caro direttore, dico spesso che il dolore non si supera ma forse a volte lo si deve raggiungere, affiancare e pedinare per seguirlo e vedere dove va, correndo coi suoi rischi. Forse il male non è un male, anche se fa male. Capirlo, alleviarlo, se possibile evitarlo, è doveroso e giusto ma mai con quell’automatismo che possa far dire è solo caso, destino o malasorte. Credo che questi ventun’anni della ‘Giornata dei risvegli’, con l’esperienza maturata da Gli amici di Luca nella Casa dei Risvegli Luca De Nigris in Italia e in Europa, siano un discorso continuo fatto di ‘parentesi aperte’ che raccontano l’abbondanza incredibile di raccolto: corpi, persone, esseri, gesti, atti. Rivoluzioni intime ed esistenziali che vanno ben oltre la medicina, la sanità o la politica, non fermandosi solo ai significati più tecnici o amministrativi ma dilatandosi a dismisura nell’amore e nella cura (parola che travalica anche il sociale e il civile per finire, anzi per iniziare, nel filosofico, artistico e poetico).

In un momento come questo dove si sta studiando e decidendo con naturale difficoltà cosa sia vita, cosa sia morte e quale sia da scegliere come più ‘degna’, si può e si deve anche pensare alle famiglie dei pazienti. Perché prima di condividere tali scelte incresciose, avrebbero comunque bisogno (per diritto, come recita la nostra Costituzione), di ben altri mezzi e sussidi per essere ancora più libere di preferire. Perché non siano oberate da una solitudine che ha tutto di inenarrabile e che si va ad aggiungere ad altra sofferenza in molti casi fino alla totale impotenza. Seduti sulle cronache, dipendenti dai fatti e dalle notizie che imperversano per informarci e/o denunciare mala sanità, correnti di pensiero, o schieramenti, sembra quasi che i principali soggetti cioè i cosiddetti ‘malati’, siano figuranti o comparse sulla scena nazionale e non; e ciò che è peggio siano sempre e solo altro da noi, società di sani (apparenti o, peggio ancora, permanenti). Da anni cerchiamo di portare la tensione e l’attenzione anche in una diversa dimensione, sondando le zone più nascoste e segrete del coesistere, del prender corpo e posizione. Provando a scavare tra i misteri più sepolti o granitici non solo dell’esistere ma soprattutto dell’essere (essere o essere: senza alcun ‘non’ e nessun punto interrogativo).

Fatemelo ripetere: la grande meta è la metamorfosi, col suo (s)cambio di vite, col suo divenire. Energia che accende, con la sua presa in carico, e svela le zone più buie o in ombra di tanti disagi e insanità, portandole alla luce. Possiamo essere altro, abbandonando la nostra biografia che soffoca altri universi volendo convincerci che si deve vivere ‘bene’ e ‘umanamente’ in un mo(n)do soltanto, con questa unica legge di ‘gravita?’ che non ne concepisce altra. Per raccontare invece che non è soltanto così (e sottolineo soltanto), oltre le scienze e l’esperire, leggi e programmi, serve anima ad arte. Sembrano parole mute, ma sta a noi dar loro la voce, quella di chi non l’ha più o non l’ha ancora. Per sentire quanto esse gridino di divenire gesto, azione, moto. E questo divenire non può più aspettare, qualsiasi scelta di vita fine o fine vita, si decida di fare.

Alessandro Bergonzoni

6 ottobre 2019

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