Pillole di saggezza

LA PASQUA: antidoto alla malattia del possedere disordinato e al virus della corruzione

L’idea per la “Pillola di saggezza” della Pasqua me l’ha fornita una delle tante soap che spopolano sulle varie televisioni. Mi è capitato di vedere una puntata di “Tempesta d’amore”. A un certo punto si entra nella camera di un ospedale dove, una delle protagoniste della telenovela ambientata in un albergo nel quale si svolgono intrighi, inganni, tradimenti…, sta morendo. E’ Barbara Von Heidenberg che nella vita a livello di cattiveria “non sì è lasciata mancare nulla”. Un ex cantante, ormai priva di voce, l’arrogante Natascha, fa visita alla Von Heidenberg che aveva tentato alcuni giorni prima il suicidio per porre fine a dolori atroci. E tra le due inizia un dialogo sulla morte. Barbara racconta l’esperienza che ha vissuto dopo aver assunto una dose massiccia di barbiturici. Si ricorda di essere giunta al termine di un tunnel dove si trovava un fiume e sull’altro argine l’aspettavano delle persone con pietre in mano; erano tutti coloro a cui nella vita aveva fatto del male. E conclude affermando: “Non voglio morire!”. Una visione molto diversa del Dio misericordioso che ci attenderà al termine della nostra esistenza.

Questa scena mi ha fatto pensare a quelli che vivono prevalentemente o unicamente con la finalità di “possedere sempre di più”, cioè di arruffare. Mi sono venuti alla mente gli stipendi e i vitalizi “vergognosi” non solo dei politici ma anche a quelli di alcuni personaggi televisivi, dei calciatori, di personaggi della finanza, dei magistrati e dei giudici, dei manager pubblici e gli onorari esorbitanti di qualche medico. Mentre migliaia di pensionati con 500 euro devono tirare la fine del mese, lo stesso vale per lavoratori con stipendi minimi, magari con figli, che alla terza settimana del mese sono già in crisi. Ma ho pensato anche al fenomeno della corruzione sempre più dilagante. Ovviamente, i primi, accaparrano in modo legale ma non etico e i secondi in modo illegale e immorale. Giuda non tradì Gesù per “trenta denari”? Con questo non voglio assolutamente affermare che non debba esserci una “giusta ricompensa” per il lavoro compiuto, per lo sforzo richiesto, per la preparazione professionale. Ma la “ricompensa”, cioè il salario, deve essere “giusto” considerando l’aspetto professionale ma anche il bene comune!

 A questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi che rapporto possa esistere tra i fenomeni citati e la Pasqua. Alla base di ogni forma di arruffo stà la Risurrezione di Cristo che mostra uno stretto legame tra vita e morte, perché il Signore Gesù ci ha indicato con la sua risurrezione che dopo la morte, l’esistenza di ogni uomo proseguirà nell’eternità in comunione con Dio. In Cristo, rammentava san Paolo, “tutti riceveranno la vita” (1Cor. 15,22), essendo la “primizia di coloro che sono morti” (1Cor. 15,20), cioè la primizia dei risorti.

Ai nostri arruffatori e corruttori è utile una riflessione del cardinale G. Biffi: “Il problema è molto interessante, drammatico e inevitabile, perché i casi sono due: con la morte o si va a finire nel niente o si va a finire nella vita eterna. Le altre soluzioni sono forzatamente provvisorie. Io so già che tra qualche anno o andrò a finire nel niente o andrò a finire nella vita eterna. Ma se andrò a finire nel niente, io vivo già adesso per niente; cioè, se l’approdo dell’esistenza è il niente, anche la sostanza dell’esistenza è il niente, e questa è un’assurdità. Che qualcosa debba venire dal niente solo per tornare al niente è una contraddizione” (L’Aldilà, LDC 1998, 5).

 Cari arruffatori e corruttori, molto probabilmente state puntando tutto sulla vita presente, e allora tentate di possedere sempre di più, di godere il più possibile, di interessarvi prevalentemente e totalmente di voi stessi scordando gli altri e il bene comune. Questa però è un’ esistenza da “di-sperati” perché nessun carro funebre è seguito da una ditta di traslochi che trasporti i propri possedimenti al cimitero. Quale altra spiegazione possiamo fornire, altrimenti, a determinati fenomeni?

 Però, rimane sempre in sospeso un “ma”!

Ma chi mi assicura che Cristo è veramente risorto e anch’io sono destinato alla risurrezione e alla vita eterna?”

Il fatto che un evento, quello della morte, si contrappone a un altro avvenimento, quello della risurrezione. Il filosofo russo J. Solov’ev rammentava che la morte è “un fatto”, e nei confronti dei fatti, nessuna filosofia, ideologia e illusione estetica resiste. A un fatto, unicamente un altro fatto, può opporsi con successo. Il cristiano possiede nella Risurrezione del Signore Gesù la realtà che lo salvaguardia dal timore che dopo la morte esiste il niente, anche se la morte rimane, pur sempre, un mistero e un passaggio doloroso.

E poi conosciamo duemila anni di Storia della Chiesa con milioni di persone a cominciare da santo Stefano fino ai ventidue martiri del 2013 (di cui abbiamo parlato in una precedente Pillola di saggezza) che hanno sacrificato la vita per Cristo. Scriveva il cardinale A. Comastri: “Studiate la storia, documentatevi sul comportamento dei martiri e vedrete che non è umanamente spiegabile che per secoli e secoli ci sia sempre stata una moltitudine di uomini e di donne che abbia dato la vita per un sogno: non è umanamente possibile! Infatti se Cristo non fosse veramente risorto, si sarebbe inevitabilmente smorzata la possibilità stessa di credere in Lui. Se continua, vuol dire che Cristo è vivo: è vivo perché è risorto” (Predicate la buona notizia, LDC, Torino 2003, pg. 87).

Molti però hanno vissuto nella prospettiva della vita eterna. Penso a Marcello Candia che sarà beatificato (e forse anche tra non molto) nonostante i suoi difetti, che erano vistosi come la sua carità. “Fu figlio dell’alta borghesia milanese, nato nel 1916 a Portici (Napoli), dove papà ha uno dei suoi tanti stabilimenti di acido carbonico che hanno determinato la sua fortuna e la ricchezza della sua famiglia. Il figlio del “re dell’acido carbonico” cresce colto, ricco, elegante, signorile e corteggiato ma con una “vita parallela” a fianco dei poveri milanesi che a un certo punto non gli bastano più, perché la carità di Marcello è come un fiume in piena, anche se trova il tempo per laurearsi in Chimica, poi in Biologia e quindi in Farmacia. Nel 1950 eredita l’impero di papà e comincia a pensare alle missioni brasiliane, in cui vuole andar a vivere non appena la fabbrica non avrà più bisogno di lui, anche per non penalizzare i suoi operai. Dovrà aspettare però 15 anni, visto che nel frattempo la fabbrica milanese è ridotta a un cumulo di macerie per lo scoppio di una cisterna e lui deve pensare a salvare i posti di lavoro, ricostruire, rispettare le consegne ai fornitori, seguire le pratiche dell’assicurazione. Assolti tutti i suoi obblighi, riesce a vendere la fabbrica tra l’incomprensione e la disapprovazione dei benpensanti, che gli hanno consigliato di continuare la sua attività d’imprenditore, destinando il superfluo alle missioni, mentre lui si forza di far capire che “bisogna condividere con i poveri la loro vita, almeno quanto è possibile”. Nel 1965 arriva a Macapà nella foresta amazzonica brasiliana, dove è accolto dalla diffidenza che sempre lo circonderà: autorità e religiosi lo ritengono in sostanza, un benefattore intraprendente e anche generoso, ma forse un po’ strampalato che ha deciso a cinquant’anni di acquietarsi la coscienza realizzando un ospedale all’avanguardia ai margini della foresta, destinato a rimanere sottoutilizzato, mentre lui è soltanto convinto che “chi ha molto ricevuto deve dare molto”. Dopo due anni un primo infarto, poi altri cinque con l’impianto di tre by-pass dicono la misura del suo spendersi per gli altri. “Testardo nelle sue idee, impaziente, perfezionista, esigente fino all’eccesso; convinto d’aver sempre ragione, insistente fino all’esasperazione, travolgente”: ecco i difetti di Marcello, che gli impediscono di farsi amare, mentre egli fa di tutto per limare il suo carattere, staccarsi da tutto, radicarsi in Dio. Attorno a lui pullulano incomprensioni, critiche, invidie, maldicenze, pigrizie, meschinità che non gli impediscono, ultimato l’ospedale di Macapà, di realizzare un lebbrosario a Marituba e altre dodici opere tra ospedali, scuole, villaggi, lebbrosari, conventi, seminari, chiese, associazioni di volontariato in cui dà fondo a tutta la fortuna economica che si è portato dietro dall’Italia. Malgrado ciò è accusato di aver introdotto illegalmente farmaci in Brasile, i suoi collaboratori arrivano ad accusarlo di aver rubato alla missione, mentre frati e suore cercano di coinvolgerlo nelle loro beghe di religiosi frustrati. Finiscono così per neppure accorgersi che è stato colpito da un cancro alla pelle, con metastasi ormai diffuse. Rientra in Italia tra l’indifferenza generale, giusto in tempo per scoprire che il cancro ha ormai intaccato il fegato e poco gli resta ormai da vivere. Muore il 31 agosto 1983 (G. Pettiti, sito:www.santiebeati.it).

 Ai tanti arruffatori e corruttori l’antidoto di Pasqua lo suggerisce padre D. M. Turoldo; un antidoto utile anche nei riguardi di tutti gli atti negativi e peccaminosi che possiamo compiere come singoli e come società: “Guardare la vita dal punto di osservazione della morte, dà un aiuto straordinario a vivere bene. Sei angustiato da problemi e difficoltà? Portati avanti, collocati al punto giusto: guarda queste cose dal letto di morte. Come vorresti allora aver agito? Quale importanza daresti a queste cose? Fai così e sarai salvo. Hai un contrasto con qualcuno? Guarda la cosa dal letto di morte. Cosa vorresti aver fatto allora: aver vinto o esserti umiliato? Aver prevalso o aver perdonato?” (Il dramma è Dio: il divino, la fede e la poesia, Rizzoli 2002, 67).

E’ questa la Pasqua che vi auguro.

19 aprile 2015

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