Pillole di saggezza

Il tema della XXIII Giornata Mondiale del Malato che celebreremo l’11 febbraio è: “Sapientia cordis. ‘Io ero occhi per il cieco, ero piedi per lo zoppo’ (Gb. 29,15)”. E l’argomento della “Sapienza del cuore (sapientia cordis)”, percorre tutto il Messaggio che papa Francesco ha inviato alla Chiesa Universale per questa occasione. Lo esaminiamo come preparazione alla Giornata e come spunto di riflessione per servire al meglio il malato.

 Il Messaggio è diviso in cinque parti, oltre un’introduzione che chiarisce cos’è “la sapienza del cuore”.

1.”Sapienza del cuore è servire il fratello”.

2. “Sapienza del cuore è stare con il fratello”.

3.”Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello”.

4.”Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo”.

5.L’ultima parte del Messaggio parla non della “sapienza del cuore” di chi cura i malati, ma della sapienza di questi ultimi.

Nel Messaggio s’intersecano più volte tre temi.

-Il tempo attuale è caratterizzato dalla “frenesia del fare”; di conseguenza, gli spazi dedicati ai malati sono ritenuti da molti tempo perso e poco significativo.

-Oggi, si legge con ambiguità la nozione di “qualità della vita”, percepita prevalentemente in termini di beni, d’efficienza e di piacere. Questa visione offusca l’idea cristiana di “dignità e sacralità della vita”, poiché chi non consegue per la fragilità un livello minimale o affronta situazioni di completa compromissione, senza opportunità di recupero, smarrirebbe il significato dell’esistenza.

-Il Papa, inoltre, più volte, si sofferma sul vizio del giudicare, presente anche nella comunità ecclesiale.

 Introduzione

1Nell’introduzione, il Papa, dopo avere ricordato che la Giornata Mondiale del Malato fu istituita da san Giovanni Paolo II, evidenzia alcune caratteristiche della “sapienza del cuore”, precisando che questa non è “una conoscenza teorica, astratta, frutto di ragionamenti… ” ma è un dono dello Spirito che rende idonei ad “aprirsi alla sofferenza dei fratelli” e fa riconoscere in essi “l’immagine di Dio”.

 1.”Sapienza del cuore è servire il fratello”

Il Papa spiega a frase biblica “tema” della Giornata, tratta dal libro di Giobbe: “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo” (29,15). La frase si riferisce alle opere di carità che Giobbe compie nel tempo di benessere. “E la dimensione di servizio ai bisognosi da parte di quest’uomo giusto, che gode di una certa autorità e ha un posto di 1riguardo tra gli anziani della città. La sua statura morale si manifesta nel servizio al povero che chiede aiuto, come pure nel prendersi cura dell’orfano e della vedova”. Dal periodo di Giobbe lo sguardo si trasferisce ai nostri giorni: “Quanti cristiani – commenta il Papa – anche oggi testimoniano, non con le parole, ma con la loro vita radicata in una fede genuina, di essere ‘occhi per il cieco’ e ‘piedi per lo zoppo’. Sono le persone che stanno vicino ai malati che hanno bisogno di un’assistenza continua, di un aiuto per lavarsi, per vestirsi, per nutrirsi… E questo servizio, specialmente quando si prolunga nel tempo, può diventare faticoso e pesante. È relativamente facile servire per qualche giorno, ma è difficile accudire una persona per mesi o addirittura per anni, anche quando essa non è più in grado di ringraziare”. Pensiamo all’accudimento delle persone con grave handicap, agli anziani a volte nelle famiglie, ai malati in stato vegetativo persistente… La conclusione del Papa è molto consolante: “il pesante e difficile servizio alle persone malate è un grande cammino di santificazione”.

 2. “Sapienza del cuore è stare con il fratello”

Il Papa chiede che si comprenda: “il valore dell’accompagnamento, tante volte silenzioso, che ci porta a dedicare tempo a queste sorelle e a questi fratelli, i quali, grazie alla nostra vicinanza e al nostro affetto, si sentono più amati e confortati”. Ma “per una società che misura il tempo con le 1categorie dell’efficienza e della fretta, il tempo dedicato ai malati è tempo sprecato. Nell’ottica cristiana, sostiene il Papa, la prospettiva è diversa: “il tempo passato accanto al malato è un tempo santo. È lode a Dio, che ci conforma all’immagine di suo Figlio”. Bellissima questa affermazione: “E’ un tempo santo”. In questo secondo punto è affrontato anche il tema della “qualità della vita”. Afferma papa Francesco: “Quale grande menzogna si nasconde dietro certe espressioni che insistono tanto sulla ‘qualità della vita’, per indurre a credere che le vite gravemente affette da malattia non sarebbero degne di essere vissute!”. E’ il “cavallo di battaglia” della minuta, ma agguerrita truppa “anti-vita” che sta pianificando anche nel nostro Paese, complici gli strumenti massmediatici, sofisticate strategie per far approvare leggi eutanasistiche trasformando, indegnamente, questa tematica in terreno di scontro politico e ideologico. Ma il malato, specialmente quello terminale, non chiede di morire ma un’autentica vicinanza e un valido aiuto concreto per sedare il dolore. Implora il conforto dei parenti, degli operatori sanitari e dei volontari nella ricerca dei significati alla sua malattia; domanda il loro supporto per affrontare la sofferenza con dignità poichè, mentre i dolori fisici sono efficacemente sedati, resta terribile la sofferenza psicologica nel presagire l’approssimarsi della fine.

 3.”Sapienza del cuore è uscire da sé verso il fratello”

Riferendosi al n. 179 della Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, il Papa ci ricorda che lo slancio della missione comprende anche “la carità effettiva per il prossimo e la compassione”. “Il nostro mondo, afferma il Papa, dimentica a volte il valore speciale del tempo speso accanto al letto del malato, perché si è assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare, del produrre, e si dimentica la dimensione della gratuità, del prendersi cura, del farsi carico dell’altro. Per il Papa, alla base di questo atteggiamento frenetico e quindi la difficoltà a fermarci accanto al sofferente, è frutto di “una fede tiepida” che ha dimenticato le parole del Signore Gesù: “L’avete 1fatto a me” (Mt. 25,40). Abbiamo visitato il sofferente, ma in realtà abbiamo incontrato il Signore Gesù! Di conseguenza, visitare il malato, non significa unicamente porsi accanto a lui per amore di Cristo; esige di più. Chiede di assumere l’ atteggiamento che adotteremmo nei confronti del Messia se lo incontrassimo fisicamente. Per questo, ci poniamo accanto al malato, “come” fosse il Cristo, poiché che in quel momento lo rappresenta. Questa impostazione, rivoluziona l’azione di servizio; serviremo il malato con il massimo rispetto e grande premura, ringraziandolo per la possibilità che ci offre.

 4.Sapienza del cuore è essere solidali col fratello senza giudicarlo”

Qui entrano in scena gli “amici di Giobbe” che fecero il contrario di ciò che la solidarietà domanda: lo giudicano, lo ritengono un colpevole e la malattia un castigo voluto da Dio per i peccati che ha commesso. Questi cosiddetti amici, dice il Papa: “nascondevano dentro di sé un giudizio negativo su di lui: pensavano che la sua sventura fosse la punizione di Dio 1per una sua colpa”. La vera carità, invece, spiega Papa Francesco, “è condivisione che non giudica, che non pretende di convertire l’altro; è libera da quella falsa umiltà che sotto sotto cerca approvazione e si compiace del bene fatto”. Comprendiamo, quindi, che la sofferenza, quando incontra la condivisione e la misericordia, può trasformarsi da ostacolo alla fede in occasione di scoperta o riscoperta della fede. Ad esempio, san Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica “Salvifici doloris” indica come esempi san Francesco d’Assisi e san Ignazio di Loyola; per loro la malattia divenne: “occasione di conversione e di crescita spirituale” offrendo “una nuova misura alla propria vita e alla propria vocazione” (S.D. n. 26). Afferma il Papa Francesco: “Anche quando la malattia, la solitudine e l’inabilità hanno il sopravvento sulla nostra vita di donazione, l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la ‘sapientia cordis’ “. E’ lo stesso cammino spirituale percorso anche da Giobbe; infatti al termine testo a lui dedicato esclama rivolto a Dio: “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto” (Gb. 42,5).

 5.La “sapienza del cuore” del malato.

L’ultima parte del Messaggio parla non della “sapienza del cuore” di chi cura i malati ma degli ammalati. Il Papa ricorda anzitutto che la “Croce di Gesù, atto supremo di solidarietà di Dio con noi” è “risposta d’amore al dramma del dolore umano, specialmente del dolore innocente”. E tale risposta: “rimane per sempre impressa nel corpo di Cristo risorto, in quelle sue piaghe gloriose, che sono scandalo per la fede ma sono anche verifica della fede”. In quest’ottica, “l’esperienza del dolore può diventare luogo privilegiato della trasmissione della grazia e fonte per acquisire e rafforzare la sapientia cordis” portando così la propria testimonianza di 1sofferenti. Una sapienza che per Papa Francesco, fa tutt’uno con la fede. Scrive: “Anche le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore, accolto nella fede, possono diventare testimoni viventi di una fede che permette di abitare la stessa sofferenza, benché l’uomo con la propria intelligenza non sia capace di comprenderla fino in fondo”. Dunque, come già evidenziato da san Giovanni Paolo nella Esortazione Apostolica post sinodale “Christifideles laici”, il sofferente è un “soggetto attivo e responsabile nell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (54). “A tutti e a ciascuno, prosegue san Giovanni Paolo II, è rivolto l’appello del Signore: anche i malati sono mandati come operai nella sua vigna. Il peso che affatica le membra del corpo e scuote la serenità dell’anima, li chiama a vivere la loro vocazione umana e cristiana e a partecipare alla crescita del regno di Dio in modalità nuove, anche più preziose” (53). Dunque i malati, possono essere esclusivamente destinatari di attenzioni e di cure, ma devono trasformarsi in soggetti attivi nel costruire la comunità cristiana.

6 febbraio 2015

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