Ivan Debernardi è consacrata nell’Ordo Virginum: “Aosta come terra promessa”

By 6 Gennaio 2018Testimoni

Ivana Debernardi, 34 anni, professoressa di matematica e fisica, sabato 6 gennaio, alle 15, nella cattedrale di Aosta, è stata consacrata dal vescovo di Aosta, mons. Franco Lovignana, nell’Ordo Virginum, prima valdostana nella diocesi.

L’abbiamo incontrata per approfondire la sua scelta vocazionale e meglio conoscere questo particolare tipo di consacrazione.

La tua è una storia di una lunga ricerca…
Ho fatto i miei studi universitari. Volevo insegnare matematica e fisica e quella prima vocazione era abbastanza chiara fin dalle superiori. Finita l’Università: sette anni, compresa la Sis mi rendevo conto che volevo insegnare ma l’inquietudine esistenziale mi portava anche a dirmi che fare l’insegnante non rispondeva alla domanda chi sono io? Per che amore sono chiamata a scommettere la mia vita? Ero molto in ricerca e a quel punto mi è sembrato chiaro, inevitabile, prendere e partire. Non era ancora il momento per tornare ad Aosta. Avevo bisogno di capire chi ero al di là del mio contesto, della mia famiglia, ma anche della parrocchia, del mondo musicale dove ero inserita al 100%. E poi mi è arrivato in aiuto Taizé.

Un luogo che conoscevi già…
Era un luogo per me caro fin da piccola. Con una parrocchia ci siamo andati e ritornati più volte. L’avevo conosciuto soltanto per pochi giorni ma sapevo che c’era la possibilità di rimanere lì più tempo. Ero in contatto con un Frère che mi ha detto che Taizé era fatto anche per questo e così sono partita. Inizialmente era previsto un mese di prova che poi sono diventati 10. E ho deciso, anche aiutata, di dedicarmi a questa esperienza di vita comunitaria con ragazze di tutto il mondo. Non scegli più nulla perché ogni settimana ti viene dato un lavoro, non scegli neppure con chi vivere, ma la cosa bella è che tutti si fermano tre volte al giorno per la preghiera e la cosa ancora più bella – quello che è stato il regalo di Taizé – è che ti viene messa accanto una persona, nel mio caso una soeur di Saint-André, che ti ascolta e ti accompagna. Una presenza molto gratuita che ti aiuta a rileggere quello che stai vivendo. In questi mesi, in maniera inaspettata, ho compreso che il Signore mi stava chiamando a scommettere la mia vita per un amore personale per Lui. A quel punto ho accolto una nuova proposta: i Frères di Taizé mi hanno chiesto di partire per il Cile per preparare un incontro per i giovani dell’America latina a Santiago del Cile. L’ho sentito come un’occasione di continuare a fidarmi di Dio per andare a fare una cosa che non pensavo di essere in grado di fare, in una lingua che non conoscevo, con delle persone e una Chiesa locale che ignoravo e così ho vissuto sei mesi in questa realtà con grande entusiasmo.

Una volta rientrata dal Cile?
Avevo ormai capito di essere chiamata ad abbandonarmi fiduciosa in Lui e sentivo che quelle suore di Saint-André, che avevo appunto conosciuto nei mesi di Taizé ed anche in Cile, visto che due di loro ci avevano accompagnato a Santiago, nel loro modo di vivere la preghiera, le relazioni, il servizio, insomma la loro vita, erano una possibile risposta. Mi dicevo: “Così, sì! Desidero condividere questa vita!”. Ho chiesto allora di poter entrare nella comunità. La risposta è stata positiva e nel maggio 2011 sono entrata come postulante.

Cosa puoi dire di queste suore?
Sono delle suore apostoliche attive di spiritualità ignaziana. Le loro costituzioni
sono molto vicine a quelle dei gesuiti, un mondo che non conoscevo. Ed è stato un bellissimo regalo. La prima loro vocazione è proprio l’accompagnamento spirituale, questo aiuto a discernere nella vita. Mi sono poi spostata a Lione per il noviziato. Otto soeurs di sette nazionalità diverse, nessuna francese, per cui il discorso interculturale è continuato e non è un aspetto scontato. Ho avuto la gioia anche di partecipare a incontri settimanali di “internoviziato” ignaziano, cioè con i novizi gesuiti di Francia e con novizie di altre congregazioni femminili ignaziane. Non una formazione vera e propria ma comunque una lettura comune della Genesi, dell’Esodo, un approfondimento “sulla voce in liturgia”, solo per citare alcune esperienze. Arrivata verso la fine sono stata aiutata a capire che c’erano ancora delle domande esistenziali che tornavano e la domanda dei voti non appariva ancora la prima da farsi. E visto che il noviziato non può durare quanto vuoi, avvertivo che c’erano aspetti della mia storia ancora da prendere in mano e con onestà e anche con tristezza ho deciso di uscire.

E sei tornata ad Aosta?
No. Sono tornata in Italia, realtà che percepivo di non essere ancora in grado di abbandonare, e ho preso contatti con la comunità dell’Arca di Jean Vanier a Bologna, persone adulte con handicap mentali che vivono insieme. Un mondo che avevo già conosciuto a Lione. Ho deciso di rimanere un anno e poi sono tornata ad Aosta in quanto volevo lavorare dedicandomi all’insegnamento. Continuando poi a sentire una certa chiamata del Signore ho fatto un anno di supplenza alle Superiori, ho trovato casa e sono rimasta in ascolto. Alla fine di quell’anno durante un ritiro in Francia in un centro gesuita ho avvertito davvero questa chiamata a vivere nel mondo, mettendomi in gioco nel mio lavoro. Ero molto serena. E così ho deciso di vivere Aosta come questa terra promessa…

Ma come è nata la scelta dell’Ordo Virginum?
Tutto è partito da una domanda: ma Aosta è ancora un punto di passaggio o può essere la risposta? E continuando a sentire questa chiamata a vivere come consacrata è già stato chiaro nel ritiro che al mio ritorno dovevo andare a raccontare quello che sentivo al vescovo. Se la Chiesa è Madre io non voglio vivere al di fuori di lei. Non potevo che fare così.
Inizialmente ne ho parlato con un sacerdote: è stato il primo a citarmi questo Ordo Virginum che io non conoscevo. Ho cercato su internet e sono finita sul rito di consacrazione. Ammetto che c’erano degli aspetti che rispondevano già a qualcosa che stavo vivendo. Nel settembre 2016 sono poi andata dal vescovo e anche lui mi ha parlato dell’Ordo. Ho scoperto così che non soltanto questa forma di vita consacrata era da lui conosciuta, ma che gli stava a cuore e di conseguenza stavamo dialogando su qualcosa che era un desiderio comune. Il vescovo mi ha suggerito di leggere la nota pastorale predisposta dalla Cei e sono rimasta stupita perché tutto quello che era scritto era proprio quello che stavo vivendo ma soprattutto che desideravo vivere. Era come ritrovarsi con qualcosa che sentivi essere per te. Grazie a questo tipo di vocazione avevo l’impressione che i pezzi si mettessero insieme. Mi sono poi messa in contatto con don Paolo Ripa, un sacerdote salesiano di Torino che segue queste particolari vocazioni, e così alla fine del 2016 è iniziato il mio cammino.

Fabrizio Favre direttore “Corriere della Valle” (Aosta)