Embrione artificiale – Dai topi agli uomini, l’ultimo obbiettivo dei nuovi Frankenstein

È stato sviluppato solo da cellule staminali. Una mistificazione della realtà, avverte Paola Binetti. “Non abbiamo bisogno di soggetti artificialmente prodotti, preferiamo gli originali”.

A Roma non se ne sentiva proprio bisogno! I topi romani vivono alla grande nei cassonetti dei rifiuti sempre troppo pieni; lungo il greto del fiume dove raggiungono dimensioni considerevoli; nelle cantine delle vecchie case in cui nessuno va più a cercare antichi ricordi. I topi romani sono un’istituzione che ha trovato nelle fogne che attraversano la città un habitat favorevole alle loro consuetudini.

Eppure qualcuno ha creduto bene di riprodurli artificialmente, come se si trattasse di una stirpe in via d’estinzione. Un tentativo in cui la scienza ha posto risorse considerevoli: tecniche e scientifiche, economiche e organizzative. Ma di certo né eticamente né giuridicamente fondate.

Il perché è presto detto. Nessuno immagina la fantafollia di un revival di Jurassic Park con invasione di topi, tutti invece sospettano che l’embrione di topo, assurto all’onore delle cronache, sia l’antesignano di un embrione di uomo creato in laboratorio per scopi falsamente umanitari. Immaginiamo facilmente le possibili giustificazioni di chi pensa a soggetti donatori d’organi, bambini-farmaco progettati per aiutarne altri ammalati, magari di una malattia rara. C’è sempre una presunta buona intenzione dietro le maggiori e peggiori devianze. Ma di fatto non c’è nessuna ragione al mondo che giustifichi il peggiore dei peccati che l’uomo possa commettere: trattare un altro uomo come mezzo e non come fine.

Nessun uomo può essere usato come mezzo calpestandone la dignità e l’unicità per farne una macchina con pezzi di ricambio. Di nessun uomo si può fare un esperimento che soddisfi le ambigue curiosità di qualcun altro.

Ogni uomo ha un corpo, ma non è solo un corpo. È molto di più! Ha un’anima, comunque la si voglia intendere e chiamare, che non può essere prodotta in laboratorio e costituisce un differenziale semantico fortissimo rispetto a qualunque altra creatura. Il nostro “no”, convinto, è motivato da ragioni etiche, filosofiche, psicologiche ed antropologiche e si fonda sull’estremo rispetto per la vita umana, anche quella delle persone più fragili.

Ma credo anche che dopo la pecora Dolly, morta di vecchiaia e piena di acciacchi e di dolori, neppure la vita degli animali possa essere ridotta a un gioco inutile e ad alto rischio. Il topo in questione forse non passerà mai dalla fase di embrione a quella di topo maturo, capace di vita autonoma sia pure nei bassifondi in cui è abituato a vivere. Non riuscirà a riprodursi, resterà sempre l’emblema di un’intelligenza umana che vuole spingersi sempre più avanti nel creare la vita, ma senza mai riuscire a rispettarla nella sua pienezza. Nè la vita umana, nè quella animale.

E di fatto la domanda, il grido d’allarme dovrebbe venire prima di tutto dagli animalisti. Giù le mani dai nostri topi! A meno che non vogliano fare topi tanto artificiali da essere in realtà dei non-topi, ossia sembrano un topo ma sono solo dei veganoTopi! Un po’ come i cornetti vegani del mattino o gli hamburger vegani del pranzo. Una mistificazione della realtà…

Ma, d’altra parte, non abbiamo nessun bisogno di soggetti artificialmente prodotti, preferiamo gli originali, anche perché sono di gran lunga più ecosostenibili!

Paola Binetti

www.ilsussidiario.net, 4 maggio 2018