Belgio. Eutanasia autorizzata per minori, depressi, disabili: la banalità della morte

By 4 Settembre 2018Articoli Bioetica 2018

Nel primo Paese (assieme all’Olanda) a legalizzare la pratica morti decuplicate in 15 anni. Si sono allentati progressivamente i criteri di controllo.

Nei giorni scorsi è stato trasmesso al Parlamento del Belgio l’ottavo rapporto biennale della Commissione federale di controllo (Cfcee), previsto dalla legge sull’eutanasia del 28 maggio 2002 – la prima al mondo insieme a quella olandese, a distanza solo di qualche giorno – e relativo agli anni 2016 e 2017. Il rapporto si basa sui documenti inviati dai medici che praticano l’eutanasia, esaminati per verificare il rispetto dei requisiti di legge. La legge belga sull’eutanasia prevede che la capacità mentale del paziente sia conservata, che la sua richiesta sia ripetuta, prolungata ed espressa liberamente e che siano presenti sofferenze insopportabili causate da una malattia incurabile. Nel valutare l’incurabilità della malattia, tuttavia, «occorre tener conto del diritto del paziente di rifiutare i trattamenti, sia pure palliativi», con evidente estensione del diritto a richiedere la dolce morte. Secondo i dati rilevati dalla Commissione, in 15 anni il numero di eutanasie legali si è decuplicato, salendo dai 259 casi dei primi 15 mesi di applicazione ai 2.309 del 2017. In Belgio l’eutanasia legale interessa ormai più del 2% dei decessi, senza contare i casi in cui la morte è sopravvenuta somministrando una sedazione terminale, pur senza impiego di farmaci letali, oppure per la rinuncia ai trattamenti a seguito di disposizioni anticipate di trattamento.

Debbono poi essere numerosi i casi in cui l’eutanasia è stata effettuata al di fuori della legge se la stessa Commissione riconosce di non avere «la possibilità di valutare la proporzione del numero di eutanasie dichiarate rispetto al numero di eutanasie realmente praticate». Come è ovvio, i pazienti portati a morte si collocano in maggioranza nella fascia di età tra i 60 e gli 89 anni. Maschi e femmine sono egualmente distribuiti e quasi la metà delle eutanasie avviene ormai a domicilio, perché, secondo il rapporto, sempre più «il paziente desidera morire a casa sua». Quasi tutte le procedure sono avvenute a seguito di una richiesta attuale, mentre quelle effettuate sulla base di disposizioni anticipate di trattamento superano di poco l’1%. In più del 94% dei casi il paziente è stato messo a morte con una somministrazione endovenosa di tiopentale, associato o meno ad agenti curarizzanti per bloccare la muscolatura. La grande maggioranza dei casi si riferivano a malati il cui decesso era atteso entro un mese. Appare tuttavia singolare il fatto che, a causa di ritardi, una parte dei pazienti giudicati in prossimità del decesso, sebbene evidentemente non terminali, abbiano ricevuto l’eutanasia anche a distanza di molti mesi dal momento in cui erano stati valutati prossimi alla morte (fino a più di due anni!). La fallibilità di tali valutazioni getta una luce sinistra su tutte le eutanasie effettuate entro 30 giorni dalla richiesta, per le quali la legge belga autorizza una procedura meno stringente proprio per la presunta imminenza di morte. Accanto ai tumori, il maggior numero di eutanasie è stato richiesto per «polipatologie», cioè per combinazioni di affezioni diverse, solitamente di tipo cronico o lentamente progressivo. Tra le cause di polipatologia la Commissione belga elenca anche i disturbi della marcia e della motilità secondari a poliartrosi, le limitazioni importanti della vista o dell’udito, la malattia di Parkinson, le conseguenze dell’ictus, i sintomi iniziali di demenza.

Alla Commissione non viene il dubbio che la prognosi di morte a breve termine per pazienti cronici potesse servire a rendere meno rigidi i requisiti di legge per la procedura. Benché consapevole che «una sofferenza fisica estrema produca una sofferenza psichica definita dai pazienti come fatica di vivere», la Commissione trova tali richieste del tutto compatibili con i requisiti della legge belga. I membri della Commissione non trovano nulla di strano anche nel raddoppio dei casi di eutanasia per «polipatologie» nel periodo 2014-2017, attribuito sbrigativamente all’invecchiamento della popolazione, come se la popolazione anziana affetta da polipatologie fosse raddoppiata in soli quattro anni. Rispetto al primo anno di applicazione della legge, è triplicata la percentuale di eutanasie effettuate all’interno di case di riposo o di residenze sanitarie per cure protratte. Il dato va letto probabilmente in parallelo con l’aumento percentuale delle eutanasie per polipatologie. Infatti, sono proprio i pazienti cronici con polipatologie gli ospiti delle case di riposo. Che la scelta eutanasica sia legata a fattori di tipo culturale e non a esigenze sanitarie lo dimostra la diversa proporzione delle eutanasie effettuate all’interno dei due principali gruppi linguistici del Paese. Fin dal debutto della legge, infatti, circa l’80% delle eutanasie ha riguardato i fiamminghi, la cui proporzione nella popolazione non supera invece il 58 %. Ciò è forse dovuto alla maggiore influenza della cultura olandese tra i fiamminghi, che degli olandesi condividono la lingua. Nel 2017 sono state 40 le eutanasie effettuate per problemi mentali e comportamentali, pari all’1,8% del totale. Probabilmente, tuttavia, il loro numero è più elevato, se si considera che sono oltre il 4% le eutanasie effettuate per condizioni di sofferenza esclusivamente psichica. A parte ogni legittimo dubbio sulla qualità del consenso, colpisce la disumanità del fatto che tra i 40 casi del 207 vi siano 5 pazienti autistici, 3 nevrotici, 12 affetti da depressione o disturbi bipolari. Durante il periodo 2014-2017, i pazienti che avrebbero chiesto l’eutanasia a causa di una demenza sono stati ufficialmente ‘solo’ 60, probabilmente per il fatto che molte demenze possono essere nascoste all’interno del generico gruppo delle «polipatologie».

Nove dei pazienti ufficialmente dementi sono stati considerati dal medico come nell’imminenza del decesso. Non viene spiegato come un paziente demente in fase talmente avanzata da avere una prospettiva di vita inferiore a un mese possa essere stato in grado di esprimere un consenso informato. È più probabile, invece, che pazienti con demenza all’esordio possano essere stati classificati come terminali per aggirare le pur minime restrizioni della legge. Ma c’è dell’altro, e di peggio, in questa raggelante contabilità. Nel passato biennio sono state 3 le eutanasie su minori: due bambini di 9 e 11 anni e un adolescente di 17, affetti da distrofia muscolare di Duchenne, da tumore maligno dell’occhio e da mucoviscidosi. Come i lettori di Avvenire ricorderanno, l’eutanasia sui minori «dotati di capacità di discernimento» è stata legalizzata in Belgio nel 2014. I membri della Commissione si dicono convinti che «l’estensione della legge ai minori dotati di discernimento ha senso, dato che mira a permettere loro una libera scelta e la possibilità di dire la propria su ciò che concerne il loro fine vita ». Su quale possa essere la capacità di discernimento di un bambino di 9 anni la Commissione belga che ha stilato il rapporto non ritiene di interrogarsi, bastandole il fatto che per i minori «la capacità di discernimento è stata confermata in modo esplicito da uno psichiatra infantile o da uno psicologo».

Dal rapporto traspare chiaramente che le verifiche della Commissione sono di ordine meramente burocratico. In oltre il 76% delle dichiarazioni mediche la modulistica era correttamente compilata, rispettando appieno la legge, nel restante 23,7% la Commissione ha richiesto informazioni aggiuntive, ma solo nel 7% dei casi si sarebbe trattato di violazioni della procedura. Ciononostante «la Commissione ha ritenuto che tutte le dichiarazioni rispondevano alle condizioni essenziali della legge e nessuna di esse è stata trasmessa al procuratore del Re», malgrado almeno un caso fosse esplicitamente definito come eutanasia su soggetto non consenziente. Per la legge belga la Commissione può inviare il caso al magistrato solo con una maggioranza dei due terzi, non raggiunta neanche in quel terribile caso, perché solo 9 dei 16 membri avevano votato a favore di questa decisione. Infine, si legge ancora nel Rapporto, «la Commissione ritiene che nel corso del passato biennio l’applicazione della legge non abbia dato luogo a difficoltà maggiori o ad abusi tali da richiede iniziative legislative». Tutto va bene, un anno dopo l’altro l’eutanasia è diventata una pratica come un’altra, semplice routine che non deve interrogare o impressionare più. E il precipizio antropologico vada pure avanti.

Gian Luigi Gigli

Avvenire.it, 11 agosto 2018