Si può diventare santo facendo il giudice?

By 24 Ottobre 2018Testimoni

Si può diventare santo facendo il giudice?

Rosario Livatino ha dimostrato che è possibile: il 3 ottobre, l’iter della sua beatificazione ha conoscosciuto una tappa importante nella conclusione del processo diocesano, nella Cattedrale di Agrigento. Questo, se per tanti aspetti atterrisce perché radicalmente impegnativo per chi è chiamato a svolgere questa professione, un po’ consola quanti sono convinti che il vuoto esistenziale che è il dramma di questo tempo senza qualità non si riempie se non con valori forti, per i quali spendere la propria vita, fino in fondo.

Rosario Livatino ha dimostrato come si possa amare la giustizia e viverla come missione. Non solo perché, come altri valorosi magistrati, ha reso giustizia senza piegarsi alla prevaricazione mafiosa; ma perché ha saputo essere giudice prima che fare il giudice: lo ha fatto nella consapevolezza di essere egli stesso, esattamente come chi era chiamato a giudicare, sottoposto al giudizio di Dio. E lo ha fatto senza superbia, con autentica umiltà, intimamente persuaso, com’era, che il giudice non può fare calcoli sulla giustizia né piegarla al proprio interesse o alla propria ideologia.

“(…) il compito del magistrato è e rimane quello di applicare le leggi che la società si dà attraverso le proprie istituzioni. Il giudice non può e non deve essere un protagonista occulto dei cambiamenti sociali e politici”. (…) L’indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella credibilità che riesce a conquistarsi con le sue decisioni. L’indipendenza del giudice è anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta dentro e fuori delle mura del suo ufficio. Solo se il Giudice realizza in sé stesso queste condizioni, la società può accettare ch’egli abbia sugli altri un potere così grande come quello che ha.”

In queste parole, pronunziate da Livatino nel corso di una conferenza tenuta a Canicattì nel 1984, può dirsi scolpito il modello del giudice e, dunque, la vera questione morale della magistratura di ogni tempo e di ogni latitudine.

L’attualità della testimonianza del giudice siciliano non è solo, però, nel modo di intendere e vivere la vocazione del giudice.

L’attualità del modello incarnato da Rosario Livatino è, altresì, nel rapporto – già drammatico in sé ma reso ancor più conflittuale dalla moderna temperie storica- tra la coscienza del giudice e le leggi che egli è chiamato ad applicare, tutte le volte in cui l’applicazione della norma comporti la negazione di ciò che spetta per natura e dignità a ciascun uomo; in definitiva, tutte le volte in cui applicare la legge degli uomini equivalga a commettere un  atto di ingiustizia.

Egli ha avvertito profondamente tutto il peso del giudizio, sia con riferimento all’intrinseca fallibilità del giudicare, sia in relazione agli ineludibili interrogativi che un diritto, sempre più esposto alla deriva relativistica, pone alla sua coscienza di uomo e di cristiano.

“Fede e diritto impongono delle scelte, spesso impegnative; sicuramente poco alla moda. Fra le decisioni, le scelte più difficili, vi sono indubbiamente  quelle che hanno a che fare con il diritto alla vita, soprattutto in presenza di leggi che intendono introdurre nel nostro ordinamento un diritto all’eutanasia o ancora permettano la manipolazione degli embrioni umani.

A tali leggi il credente si oppone nella convinzione che la vita umana, quali che siano le forme e le connotazioni dolorose che può assumere, è dono divino che all’uomo non è lecito soffocare. Ma anche il non credente ha fondate motivazioni per opporsi: esse stanno nel fatto che la vita umana è tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni ‘indisponibili’, che né i singoli né la collettività possono aggredire”.

(conferenza tenuta nell’aprile del 1986 presso l’Istituto delle Suore Vocazioniste a Canicattì, sul tema Fede e Diritto).

L’attualità del modello di giudice cristiano, di cristiano impegnato nelle istituzioni, è, in definitiva, nel suo non sfuggire dinanzi alle conseguenze, pratiche, professionali, esistenziali, di un sempre più attuale conflitto, fra la propria coscienza e il dovere imposto da norme positive ingiuste.

“Non v’è chi non veda come queste indicazioni esigano una verifica alla luce delle norme costituzionali e, per l’uomo di fede, un confronto con i propri principi etico-religiosi.

(…) Può dirsi, senza tema di errore  che l’obiezione di coscienza rappresenta il riconoscimento del foro interno da parte dello Stato laico”.

Non è, perciò, un caso che oggi –proprio oggi- si concluda il processo di beatificazione di Rosario Angelo Livatino.

Non è a caso, infatti, che la Provvidenza suscita determinati testimoni, chiamati a illuminare il buio di un’epoca.

Un’epoca in cui vengono presentati come conquiste civili diritti che rappresentano la consacrazione di desideri senza limiti, che costituiscono il frutto di una mentalità da relativismo mafioso, per quanto è diventato aggressivo e totalitario.

Ed è per queste ragioni che un gruppo di giuristi –giudici, avvocati, docenti universitari- hanno deciso di ritrovarsi attorno al suo nome, al suo esempio, per dar vita ad un Centro Studi che cercasse di coniugare gli imperativi della coscienza con i doveri imposti dall’essere chiamati a cooperare per l’attuazione della giustizia nell’epoca del cosiddetto diritto mite, versione giuridica del pensiero debole: mite con i forti e forte con i miti.

Ed è guardando al giudice santo, al sua costante piegarsi sull’uomo e sulle sue ferite, alla sua ricerca incessante della carità nella giustizia, che, nel fondare un centro studi a lui intitolato, siamo convinti che si possano servire lealmente le istituzioni e lealmente obiettare, come Antigone a Creonte, che non è consentito agli uomini cancellare le leggi non scritte di Dio.

Un testimone credibile. Un modello attuale. Per credenti e non credenti. Per chi intende servire la Giustizia e non servirsi della Giustizia.

Viva Rosario Livatino! Viva il giudice santo!

di Domenico Airoma (Procuratore aggiunto di Napoli Nord Vicepresidente del Centro studi Livatino)

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