EDITORIALE – Al nostro cuore non servono “zucche vuote”

By 27 Ottobre 2018Attualità

La sera del 31 ottobre molti parteciperanno alla cosiddetta “festa di Halloween”. Tanti indosseranno maschere terrificanti di scheletri, si diletteranno con scherzetti anche di cattivo gusto, regaleranno zucche forate e illuminate all’interno e ripeteranno l’ossessivo ritornello: “dolcetto o scherzetto?” Per i più sarà un “carnevale fuori stagione”, mentre alcuni si addentreranno nel mistero dell’occultismo consultando maghi, oroscopi e tarocchi fino a giungere alle iniziazioni esoteriche, infatti in questo periodo dell’anno si nota un netto incremento di affari per i maghi e maghetti dell’occulto. È questo l’aspetto più inquietante di questo nuovo rito. Il 31 ottobre si ripeteranno con grande fascino gli esoterismi e gli occultismi, nella notte definita “il Capodanno del mondo esoterico, la festa più importante dell’anno per i seguaci di satana”. In alcuni casi si profaneranno cimiteri, si celebreranno “messe nere”, si compieranno dissacrazioni e sacrilegi.

Questo evento, fortemente legato al business, si sta diffondendo velocemente in Italia e in Europa entrando anche nelle scuole, pure quelle cattoliche o negli oratori, cioè nei luoghi educativi per eccellenza, dove alcuni insegnanti o sacerdoti faranno festa (si fa per dire) con bambini, ragazzi e adolescenti. Stupisce, infine, come tanti cristiani con indifferenza e superficialità credono che sia “innocuo” parteciparvi.

Dove ha origine questa pseudo-pagliacciata?

Il termine “Halloween” è la storpiatura del vocabolo inglese “All Hollows’ Eve” (vigilia di Ognissanti). E’ un’arlecchinata che origina dal “Samhain”, un rito in onore delle divinità pagane celebrato nelle isole britanniche dalle popolazioni celtiche. Si trattava di un culto al principe della morte attraverso riti orgiastici, durante i quali le bevande alcoliche scorrevano a fiumi, e l’offerta di sacrifici anche umani era considerata necessaria per ingraziarsi gli spiriti maligni. Gli irlandesi credevano che il 31 ottobre i defunti potessero avere un accesso nel mondo dei vivi. Per questo, in casa, lasciavano il fuoco acceso, il cibo sulla tavola e la porta d’ingresso socchiusa. I bambini, invece, chiedevano leccornie, mele e nocciole che rappresentavano le offerte ai defunti. Anche oggi, i ragazzi, soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone, bussano alle porte delle case ripetendo la formula “trick or treat”, che dietro all’innocente significato di “dolcetto o scherzetto” nasconde quello originario di “maledizione o sacrificio”.

Halloween, è quindi una pessima parodia del sacro, che eliminando il significato cattolico della solennità di “Tutti i Santi” evoca l’aspetto lugubre dell’aldilà con i fantasmi e i morti si levano dalle tombe e le anime perdute tormentano quelli che in vita recarono loro danno. Tanti celebrano questa ciarlatanata con il desiderio sotteso di esorcizzare ciò che non possiamo dominare: la morte.
Ho parlato con dei genitori che mi hanno confidato: “I nostri ragazzi andranno alla festa di Halloween”. E io ho detto loro: “Ma voi li avete battezzati questi ragazzi e credete alla vita eterna. Vi sembra così superficiale e insignificante svendere l’evento fondamentale del cristianesimo con una banale carnevalata?  ALLORA, non siate così superficiali da lasciarvi condizionare da mode irragionevoli e scriteriate”.

A questa provocazione dobbiamo, come cristiani, reagire e contrapporre il nostro millenario patrimonio di fede e di cultura: dalla liturgia alla preghiera di suffragio per i defunti, alla visita al cimitero.

Al nostro cuore non servono “zucche vuote” ma eventi significativi. Celebriamo quindi con devozione la Solennità di Tutti i Santi, preghiamo per i nostri parenti defunti, ripensiamo ai volti delle persone che ci hanno voluto bene, ci hanno educato alla fede, ci hanno accompagnato nella vita. Solo così, il nostro cuore, saprà guardare al tragico momento della morte, senza timore perché saranno in tanti ad accoglierci e accompagnarci nella casa della vita eterna e della gioia, cioè il Paradiso.

Don Gian Maria Comolli