CORRISPONDENZA ROMANA – La foga censoria nei libri

By 1 Settembre 2020Attualità

L’antirazzismo spinto fa ormai parte a pieno titolo del nuovo dogma del «politicamente corretto». Così anche Aghata Christie è caduta vittima delle “purghe culturali” imposte dall’ideologia modello Black lives matter, emuli contemporanei delle dittature culturali imposte da Stalin e Mao Tse-Tung, come ben evidenziato da fonte certamente non sospetta, quale l’edizione online del settimanale francofono Jeune Afrique, che lo scorso 27 agosto, citando il comico Pierre Desproges, ha commentato così la notizia: «”Si può ridere di tutto ma non con chiunque”. Allo stesso modo, tutte le parole possono essere pronunciate, ma non da chiunque», evidenziando l’anomala follia che rende «sempre meglio essere della stessa pelle di Aimé Césaire o Youssoupha per utilizzare il campo lessicale della ‘negritudine’» e per poter utilizzare «il termine “negro”» senza complessi, viceversa meglio evitarli.

L’autrice di Hercule Poirot e miss Marple è stata censurata, imbavagliata, espurgata. Al punto da modificare ora, in Francia, uno dei suoi titoli più famosi, nonché il romanzo giallo più venduto di tutti i tempi, con oltre cento milioni di copie: dall’originale «Dieci piccoli negri» o «Dieci negretti», a seconda della traduzione, si è giunti a «Erano dieci» nell’edizione Le Masque, curata da Gérard de Chergé.

Intendiamoci, non si tratta di una novità assoluta: il libro venne pubblicato nel 1939 in Inghilterra, riproponendo nel titolo il primo verso della filastrocca, peraltro più volte ripetuta nelle pagine del romanzo, ripresa da una canzone statunitense, «Ten Little Niggers», scritta nel 1868 da Septimus Winner. Ma negli Stati Uniti, attraversati da schiavismo e apartheid, quel termine aveva già storicamente una connotazione molto diversa da quella britannica ed europea, più in generale. Per cui, nel 1940, il libro uscì negli Usa già col titolo «E poi non ne rimase nessuno», «And Then There Were None», comunque giustificato, poiché preso dall’ultimo verso della medesima filastrocca. Con lo stesso titolo uscì anche in Italia nel 1946 per i tipi della Mondadori e tale rimase fino al 1977, quando venne definitivamente cambiato in «Dieci piccoli indiani», pur lasciando le traduzioni dei riferimenti all’interno del testo, filastrocca compresa, nell’originale «negretti».

Accorgersi di intenzionalità potenziali e recondite, nonché di valenze, alla fin fine, più nella mente dei censori che nelle intenzioni degli autori, al punto da cambiare il titolo oggi, ottant’anni dopo la prima uscita, in un contesto segnato dalle parole d’ordine e dalle violenze targate Black lives matter, ha evidentemente tutt’altro significato. E ricorda le sorti di quel pasticcino, peraltro gustoso, in Italia definito «moretto», «moretto al cioccolato» o «negretto», ma in Francia «tête-de-nègre», «testa di negro», poi edulcorato in un più blando «tête au chocolat», «testa al cioccolato» od anche, specie nei Paesi francofoni, «testa al cocco», «testa alla mousse», «meraviglioso», «meraviglia al cioccolato» o, in Canada, «whippet». Insomma, spazio ad una fantasia realmente creativa! Anche in cucina…

V’è da chiedersi quando i gendarmi del «politicamente corretto» intendano intervenire su autori autorevolissimi e sicuramente al di sopra di qualsiasi accusa di razzismo come Léopold Sédar Senghor, cui il fatto d’esser senegalese non vietò di comporre quella che lui stesso definì «poesia negra» e di fondare il movimento letterario, culturale e politico della «negritudine», sviluppatosi poi in tutte le colonie francofone. La nuova ideologia dominante, il pensiero unico ha già pensato ad opportuni sinonimi od a neologismi sostitutivi ed espurgativi anche per questo?

Oppure che dire dell’italianissimo Emilio Salgari che nel cap. II de Le tigri di Mompracem parla di «un brutto negro dalla testa enorme, dalle mani ed i piedi di grandezza sproporzionata, un vero campione di quegli orribili negritos, che s’incontrano nell’interno di quasi tutte le isole della Malesia», negritos poco prima descritti «con lineamenti ributtanti»? Concetto, quello del «negro», più volte ribadito esplicitamente da Salgari anche nei capitoli III, XI, XVIII e XX… Censuriamo anche l’autore di Sandokan? Come mai nessuno vi ha ancora pensato?

Anche in questa vicenda, come in tutte del resto, pare opportuno ricorrere al buon senso. Sfatando i falsi miti ed evitando di trasformare semplici convenzioni ed i soliti luoghi comuni in convinzioni ideologiche e totalitaristiche. Il sostantivo «negro» non è, né è mai stato un’offesa. Deriva semplicemente dal latino «niger», che all’accusativo fa «nigrum», e si è sempre riferito agli abitanti dell’Africa, prendendo spunto dalla tonalità della loro pelle. Tutto qui. Non è, dunque, una parolaccia, tutt’altro… Persino l’Accademia della Crusca lo definisce come il termine «più storicamente attestato» e «più semanticamente pregnante», messo in discussione soltanto a partire dagli Anni Novanta, ma fino ad allora – e stiamo parlando dell’altroieri in termini letterari – pacificamente utilizzato, senza alcun patema d’animo. Sempre l’Accademia della Crusca non nega che sia legittimo ritenerlo «etimologicamente giustificato e sottoposto a censura solo per motivi di fastidiosa pruderie linguistica», evidenziando come anche le alternative finora escogitate, «nero» e l’eufemismo «di colore», non manchino a loro volta di criticità e problematiche, tutt’altro. Da qui il consiglio, assolutamente ragionevole, offerto dall’Accademia di «non prescindere dai contesti, dalle intenzioni del parlante o dai tratti sovrasegmentali (come l’intonazione). Ed evitare, in ogni caso, tentazioni censorie o posizioni isteriche». Consiglio, che andrebbe senz’altro riferito all’eccessiva creatività di certi traduttori ed all’intraprendenza di taluni editori, prima che pongano mano con foga censoria anche ad altri titoli illustri…

Mauro Faverzani

2 settembre 2020

La foga censoria nei libri