LA CROCE QUOTIDIANO – La solita lobby all’attacco dei libri di religione

By 11 Luglio 2021Libertà Religiosa

La signora Lazzarini, direttrice editoriale del marchio La Scuola, è addolorata e porge le sue più sentite scuse. Alcuni termini usati sul testo per l’insegnamento della Religione Cattolica (IRC) “Coraggio, andiamo”, è risultato offensivo a una coppia di omosessuali. Costoro non si sono limitati a scrivere privatamente alla casa editrice (ognuno di noi ne ha facoltà), ma usando sapientemente i social, mezzo attraverso il quale raccontano anche le loro vicende di padri di due gemelli avuti tramite la pratica dell’utero in affitto, hanno inviato direttamente su Amazon, una “tempesta di escrementi” nello spazio dedicato alle recensioni.

I termini usati dalla signora Lazzarini, che è prostratissima e affranta oltre l’immaginabile, sono i seguenti: «Le scuse profonde della casa editrice provenienti dal nostro testo […], che vi hanno offeso e ferito», «Non posso che essere molto rammaricata da quanto è successo, e il rammarico che esprimo è di tutta la casa editrice». Conclude – come si fa sempre – ringraziando per le critiche e puntualizzando che il testo è fuori catalogo da qualche tempo. Una consistente parte della missiva di scuse, teorizza sull’«educare i giovani allo spirito critico sul mondo e l’apertura alle coscienze che devono realizzare una società fondata su ascolto e dialogo», che si riassumono nella misura in cui, questo «brutto incidente», è in realtà occasione di crescita verso «un pianeta sempre migliore».

Mi sono chiesta, allora, quali siano le parti terribili che hanno tanto creato subbuglio, e ho acquistato il testo. Da profana ho cominciato a sfogliare il libro con qualche presupposto: prima di tutto la partecipazione all’ora di Religione, che non è obbligatoria per alcun studente italiano (il genitore non cattolico non fa frequentare l’ora di Religione al figlio: quindi il figlio mai potrebbe acquisire informazioni od opinioni non conformi all’educazione impartita dalla famiglia di origine); solo nel momento in cui si sceglie liberamente di appartenere a una confessione religiosa, si è caldamente consigliati di seguirne i precetti (alcuni dettami della religione cattolica sono talvolta giudicati molto “morbidi”, da chi la vive seriamente); l’educazione spetta alla famiglia d’origine e mai nessun adulto dovrebbe interferire – anche se il presupposto è sempre quello di “stimolare lo spirito critico e aprire le coscienze» – inserendosi nella relazione genitori-figli: tuttavia è assolutamente ovvio che, facendo anche la famiglia parte di una società che possiede una cultura, è impossibile per qualunque genitore impedire che il figlio compia confronti e solleciti discussioni, una volta che inizia a confrontarsi coi coetanei; la Chiesa è madre: essere madre – come essere padre e complessivamente educatori – significa considerare i figli delle persone da educare, da far maturare a livello fisico, psichico e spirituale. Per compiere questo enorme lavoro, che non è né semplice, né assolutamente da dare per scontato, non è assolutamente necessario l’amore come emozione e trasporto romantico: l’amore può essere il presupposto che muove i genitori, ma anche gli educatori, a darsi completamente al lavoro coi figli e per i figli, e la storia è piena di adulti che hanno educato moltissimi bambini perché volevano il loro bene (San Giovanni Bosco, solo per fare un esempio). Educare come madri e padri, significa dare ai figli gli strumenti per affrontare la vita, scegliere il bene che – quando lo è davvero – ricade su tutte le persone coinvolte, correggere quando vi è l’errore, sostenere nella difficoltà, sorreggere nella disperazione e gioire nella conquista autonoma che ogni figlio compie nel percorso maturativo. Bastasse l’amore, nella relazione coi figli o con gli allievi!

Tutto questo preambolo per affermare che il signore che ha denunciato sui social le parole incriminate sul proprio orientamento sessuale, si sente sollevato poiché «dopo la nostra segnalazione, sarà prestata maggiore attenzione al linguaggio utilizzato». Infatti «La casa editrice si impegna a coinvolgerci direttamente, condividendo le pagine in questione prima della pubblicazione per scongiurare il rischio di ulteriori scellerati paragoni. Questa è una vittoria di civiltà che ribadisce ancora una volta la necessità di preservare la laicità della scuola». E aggiunge «Una vittoria che deve far comprendere come qualsiasi indottrinamento religioso rivolto ai nostri ragazzi, oltre che immorale è incostituzionale».

Il problema qui è andare a leggere il testo incriminato, non solo nelle parti riguardanti la critica accesissima dalla quale nasce tutto, ma anche una parte del resto del testo. Per farlo mi sono concentrata sulla lettura dei capitoli relativi alla sezione 9, intitolata Un’etica della persona, che comprende i seguenti argomenti: la sessualità come valore, la morale sessuale (“bussola o camicia di forza?” si chiede il titolo del capitolo), la fecondazione extracorporea, l’aborto, il matrimonio. Tutte queste questioni, sono strettamente collegate all’antropologia, e nello specifico a un’antropologia cristiana da cui discende una morale. La domanda in questo contesto è, indipendentemente dal gusto sessuale o dal considerarsi atei, perché ci si può permettere di contestare una pubblicazione (o quant’altro) che è dichiaratamente cattolica? Qui la contestazione esposta dal signore non riguarda un libro di Scienze o di Storia (cosa che in realtà diversi autori e docenti compiono quando nei libri di Scienze si parla positivamente di RU486 nel capitolo sull’Embriologia, oppure quando nei libri di Storia si parla di Darwin senza valutarne le conseguenze eugenetiche), ma si compie su un libro di Religione che serve a trasmettere agli studenti quali siano le opinioni della Chiesa su un determinato argomento. Non soltanto non è una materia obbligatoria, ma oltretutto neppure tra i cattolici vi è l’obbligo di seguirne i precetti: se non sono opinioni che un genitore o un adulto ritiene opportune per i propri figli o allievi, non ci sono problemi, non è obbligatorio studiarle né essere d’accordo. La parte del testo che si occupa di matrimonio e della sacralità dell’unione maschile e femminile, per esempio, è ben scritta e, se vogliamo, molto più tagliente di quella sull’omosessualità (ne parlerò dopo): ribadisce infatti a più riprese che la relazione matrimoniale è sempre tra uomo e donna, che è un dono, che la sessualità è tra due sessi opposti… tutte opinioni (se vogliamo dirla così) che se un genitore o un educatore trova fallaci o non confacenti alla propria vita, non è obbligato a trasmettere. Quindi la domanda che possiamo porci a questo punto è la seguente: chi ha criticato questo testo, è in possesso delle categorie per decodificare il contenuto di quello che è scritto? Non soltanto è importante – come tutti i libri di testo – conoscere il Magistero o il Catechismo della Chiesa Cattolica su determinati argomenti, ma bisognerebbe possedere una formazione teologica e bioetica molto strutturata. Questo poiché, chiunque ha ricordi di scuola, sa bene che un conto è la parafrasi della Divina Commedia fornita da un autore, un conto è il docente preparato, che stimola, argomenta, chiarisce, risponde, esemplifica e rende fruibile la lettura di un’opera che non è possibile interpretare senza un’adeguata formazione. Altrimenti basterebbe fornire dei testi e lasciare che lo studente legga e impari a memoria, magari poi sottoponendolo a una verifica a crocette: processo istruttivo che grida vendetta al cospetto di generazioni intere di educatori e insegnanti che hanno dato la loro vita agli studenti.

La chiave di lettura delle parole del signore che ha scritto su facebook le proprie considerazioni, sono ovviamente quelle fondamentali, che lascia per ultime: parlare di alcuni argomenti farà parte di un “indottrinamento religioso” dal quale i ragazzi vanno preservati. Quali ragazzi? Tutti, ovviamente. Tuttavia il problema è che nessun tipo di indottrinamento vi è nelle pagine dedicate a matrimonio o a genitorialità (solo per fare degli esempi) ma solo una spiegazione – da ampliare in classe con l’aiuto di un docente – di quello che l’insegnamento della religione cattolica prevede. Nessuno obbliga la frequenza dell’ora di IRC del proprio figlio, ma perché obbligare tutti coloro che desiderano che i figli frequentino quell’ora, a non ricevere determinate informazioni?

Tutti gli argomenti del testo, sono ovviamente fondamentali, e riassumere alcuni concetti non è facile: è per questo che ci si appoggia agli insegnanti che dovrebbero, magari percependo le varie sensibilità della classe, fornire – come dice la signora de La Scuola – spirito critico, lasciando invece quello che magari non interessa o, in quel momento non sollecita una dialettica feconda di curiosità che i giovani spesso possiedono quando possono confrontarsi con insegnanti adeguati.

Veniamo però al tema incriminato: partiamo subito dal concetto che parlare di omosessualità non è semplice e va fatto con delicatezza. Nel testo ci sono delle considerazioni che potrebbero essere compiute in modo molto più professionale, magari facendosi aiutare da psicologi psicoterapeuti che, conoscendo il Magistero e il CCC (il testo è di religione cattolica, non possiamo prescindere da questo), sono però capaci di esprimere in modo più professionale, completo e meno complesso possibile (trattasi di un testo per le scuole superiori, non dimentichiamolo) la situazione. Questo perché, talvolta, il testo non è preciso, usa luoghi comuni, pare fin troppo semplicistico anche per quanto riguarda – ad esempio – la tradizione cristiana e la posizione della Chiesa. In questo capitolo, infatti, personalmente ho notato che si usa il termine “maschilista” con connotazione offensiva in contrapposizione all’omosessuale che viveva in una cultura di questo genere che – dice il testo – «esaltava i valori della forza e della virilità» e quindi ne subìva la condanna (dando per scontato che l’omosessuale sia effeminato? Achille non mi dava l’idea di esserlo…). A parte il fatto che il termine usato sembra far trapelare quasi che la forza e la virilità siano simboli di maschilismo, che è oggettivamente un modo negativo di dimostrare l’appartenenza al genere maschile (e che, infatti, si contrappone al femminismo), il messaggio che pare vuol essere trasmesso è che sia passibile di condanna l’uomo virile e forte, quasi fossero caratteristiche negative a prescindere dalla fase storica della quale si parla. Nella parte dedicata alla Bibbia è tenuto in considerazione, ovviamente, il Levitico, ma ancor di più è dato spazio a San Paolo nella famosa Lettera ai Romani: il paragrafo si conclude laconicamente affermando che «il giudizio pare inappellabile e come tale è stato assunto all’interno della tradizione cristiana» il che fa apparire i cristiani – obiettivamente – come discriminatori e giudici inappellabili per la condotta omosessuale. A pagina seguente, tuttavia, si introducono due termini: “orientamento omosessuale” e “pratica omosessuale” facendone un discrimine abbastanza adeguato, tuttavia è interessante leggere come i riquadri dedicati allo stimolare un confronto con gli studenti, siano molto ‘aperti’ a una discussione coi ragazzi circa le posizioni della Chiesa: cosa che un libro chiuso di mente e che vuole indottrinare, non farebbe mai. Sono lieta che il capitolo termini con la citazione della Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali (Congregazione per la Dottrina della Fede) e riconosca l’accoglienza delle persone omosessuali come una madre che accoglie i figli nei loro errori e nelle loro difficoltà, sostenendoli senza appoggiarli in modo totale perché questo, come ho spiegato all’inizio, non è il modo della Chiesa. Questa deve comunque educare, proponendo la via della castità «in vista di una maggiore autenticità del valore della persona umana, naturalmente considerata dal punto di vista del credente in Cristo»: quindi – dice il testo – se non ci credi, non è un problema per nessuno, tantomeno per la Chiesa che non è più quella del passato. Nel paragrafo “Un pregiudizio durato secoli”, obiettivamente, è molto accusatorio nei confronti della Chiesa: leggiamo infatti che «Le posizioni di tipo religioso hanno innegabilmente condizionato tutta la tradizione europea degli ultimi due millenni, che è stata pesantemente discriminatoria sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista giuridico, nei confronti degli omosessuali». Elenca il fatto che ci siano stati numerosi episodi gravi di violenza, che addirittura Leonardo da Vinci finì in carcere, che ci sono state persecuzioni e che nei lager nazisti furono mandati anche gli omosessuali. Quindi obiettivamente non vedo condanne verso l’omosessualità, anzi: al contrario viene posto l’accento sulla perfidia della cultura. Il capitolo affronta la questione domandandosi se l’orgoglio omosessuale faccia più male che bene, alla causa omosessuale: domanda che personalmente mi sono posta, dato che le manifestazioni come il Gay Pride spesso sono blasfeme e molto irriverenti. Cioè il testo si domanda se faccia bene alla causa omosessuale, l’essere presente in modo capillare in tutti i mezzi di comunicazione (obiettivamente sono diverse edizioni che a Sanremo non si parla d’altro). La risposta non se la danno gli autori, ma al termine del capitolo ci tengono a riportare comunque il discorso sul concetto che (ricordo che stiamo parlando di un libro di Religione per le scuole) la Chiesa «non può venire meno rispetto alle proprie posizioni […] In tutto questo occorre che qualsiasi trasformazione del costume, se diventa inevitabile all’interno di alcune società, si compia almeno in modo equilibrato, nel rispetto delle persone omosessuali ma anche di coloro che, per convinzioni personali o per credo religioso, non possono o non si sentono di condividere questo passaggio. Altrimenti, si corre il rischio […] di arrivare, se non alla discriminazione di una parte, al disprezzo reciproco».

Ordunque quindi che dire? A che titolo una qualsiasi persona può mettere mano a un volume specifico di Religione, non avendo delle basi teologiche e filosofiche di un certo genere? Solo perché fa parte di un gruppo di persone del quale il volume in oggetto, discute? Se bastasse questo, io dovrei scrivere alla casa editrice del libro di Storia di mia figlia, che tratta ancora della teoria di Darwin dandola come attualissima, o del libro di Scienze dell’altra figlia, che non sa descrivere i Metodi Naturali di conoscenza della Fertilità parlandone come roba da hippies fuori di testa. E che dire di tutte quelle occasioni dove il fatto di essere donna mi fa sentire un mezzo tramite il quale si sta cercando di approvare una legge che dice potrebbe difendermi (si parla del reato di misoginia), ma m’impedirebbe di esprimere contrarietà verso l’utero in affitto (come dicono le femministe: «Non siamo un colore dell’arcobaleno, ma l’altra metà del genere umano»)?

Le parole sono importanti e purtroppo viviamo in una fase storica nella quale una persona qualunque, senza alcuna base culturale, può sentirsi offesa da un testo e può metterlo all’indice a proprio insindacabile giudizio, senza scendere nel merito, senza discutere con chiarezza, ma solo dicendo che quel modo di vedere la vita è immorale, incostituzionale ed è simbolo di una colonizzazione ideologica. Un po’ come sta facendo l’onorevole Zan, che non risponde alle domande delle femministe e si fa sostenere da cantanti o cuochi o gente “importante” che si dipinge una mano, temendo che non farlo sia un danno alla propria carriera.

Quello che mi domando, giusto per alimentare una fiammella di polemica con la casa editrice, è obiettivamente di cosa si sono spaventati: dal fatto che i critici della loro pubblicazione sono famosi violatori della legge contro l’utero in affitto? O dal fatto che le parole “laicità dello scuola” (quindi dello Stato) è la descrizione di una situazione che non è chiara perché non se ne comprende il significato? Si è certamente liberi di optare per l’ora di IRC o meno, ma se si desidera far partecipare il proprio figlio, ci si attiene a quello che due millenni di cattolicesimo insegnano, non si può anche pretendere di cambiare la religione (oltre che la biologia, l’antropologia e l’istinto materno del legame col figlio). La casa editrice, invece di esprimersi con terrore e ammettere immediatamente l’errore, magari potevano far rispondere gli autori, tenere testa al confronto: invece no, si preferisce fare subito l’opossum che, temendo di finire morto, fa finta di esserlo.

Grazie agli amici e alle amiche che mi hanno aiutato e fornito spunti fondamentali sul questo argomento, tra le quali ricordo Giorgia Brambilla, docente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, bioeticista e coordinatrice della laurea magistrale in Scienze Religiose, e Giulia Bovassi, bioeticista e Associate Researcher Cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani.

di Rachele Sagramoso

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