Senza comunità intermedie non c’è democrazia

By 19 Marzo 2018Attualità

Cronaca dell’incontro di Bologna con Angelo Panebianco e Michele Rosboch. Non esiste una società politica se non c’è il riconoscimento di legami che pre-esistono lo Stato.

Negli ultimi anni si parla molto di società liquida, ma c’è un fenomeno umano sottovalutato che esiste da quando gli uomini sulla Terra sono almeno in due: mettersi insieme, associarsi, unirsi, condividere i bisogni e le scoperte e, insieme, tentare di costruire un maggiore benessere per tutti.
Proprio “Almeno in due: i corpi intermedi come pilastro della civiltà” è stato il titolo di un incontro organizzato dall’associazione Esserci che si è svolto a Bologna cui hanno partecipato Angelo Panebianco, docente di Scienze della politica dell’Università di Bologna ed editorialista del Corriere della Sera, e Michele Rosboch, docente di Storia del diritto dell’Università di Torino, moderati da Emanuele Boffi di Tempi.
L’incontro è stata l’occasione per approfondire una questione centrale per la società di oggi, ossia il ruolo e il valore per la democrazia delle aggregazioni sociali (associazioni, gruppi, comunità, enti di qualsiasi natura), da due angolazioni diverse: quella storico-giuridica e quella politologica.

DEFINIZIONE E TAPPE STORICHE. Una prima questione emersa chiaramente durante il convegno è stata il concetto stesso di corpo intermedio (o comunità intermedia) definita da Rosboch «l’espressione di una scelta antropologica basata sulla libertà e sulla azione umana come adesione ad un ideale che la supera e che la colloca in relazione agli altri».
Questa concezione, però, è stata spesso avversata durante il corso di tutta la storia moderna (dal 1500 in poi) e ha segnato uno scontro tra lo Stato (che ha iniziato ad affermarsi come realtà prevalente dalla fine del Settecento) e le comunità intermedie (che arrivavano dallo loro epoca d’oro medievale). Lo Stato – ha spiegato Rosboch – ha via via cercato di limitare e imbrigliare sempre di più il ruolo politico e istituzionale delle comunità intermedie e l’apice di questa lotta è stato raggiunto dalla Rivoluzione francese che, partendo dal concetto di uguaglianza formale, ha sempre sostenuto l’inutilità di ogni aggregazioni sociale intermedia, fino ad arrivare a divieti e sanzioni per le associazioni (legge Le Chapellier).

IL NUDO CITTADINO. Con il passaggio rivoluzionario si arriva quindi a “spogliare” il cittadino di tutti i suoi collegamenti e le sue dipendenze sociali, creando una nuova figura antropologica che è quella del «nudo cittadino» che si presenta da solo davanti allo Stato. Questo “nudo cittadino” (o, visto dall’altra parte, il cittadino elettore moderno) si affaccia così sul XIX secolo che vede il prepotente ritorno in campo dei corpi intermedi: partiti, sindacati, chiese e associazioni prendono le redini dei nascenti sistemi democratici e governano l’accesso delle masse alla politica, svolgendo il ruolo di mediazione tra il cittadino elettore e lo Stato, come ha illustrato Panebianco. Non solo – ha spiegato sempre l’editorialista del Corsera –, i corpi intermedi hanno avuto nel Novecento un altro fondamentale ruolo, quello di «congelare le alternative elettorali», ossia creare per anni dei flussi stabili e immutabili di elettori; l’elettorato si tramandava tra le generazioni e tra le diverse reti di aggregazione (welfare privato, matrimoni, padri e figli, chiese, mestieri). Tutto questo è saltato poi, di nuovo, con il Sessantotto e, dagli anni Settanta, il canale di trasmissione generazionale e delle reti di aggregazione non ha funzionato più e, così, il cittadino elettore è tornato nuovamente “nudo”. Tant’è che, oggi, le reti di intermediazione tra il cittadino e le istituzioni sono così deboli che, in questa campagna elettorale, di corpi intermedi non se ne parla e, inoltre, è diventato preponderante il dominio dei mezzi di comunicazione, prima la tv e ora internet.

LIBERTÀ E DEMOCRAZIA. Risulta chiaro che, nel corso delle varie fasi storiche, l’idea di un soggetto puramente individuale, privo di legami, sia stato un esercizio teorico, perché non si riesce comunque ad espungere l’esigenza umana di aggregarsi e di unirsi a chi ha visioni e interessi comuni e i corpi intermedi, seppur evolvendosi in forme diverse, hanno sempre permeato il tessuto sociale democratico.
Su un punto fondamentale entrambi gli interventi dei professori hanno concordato pienamente: il riconoscimento e il sostegno delle aggregazioni sociali da parte dello Stato non è solo un imprescindibile elemento di libertà, ma è uno degli elementi fondamentali per il buon funzionamento della democrazia, in grado di garantire un corretto equilibrio del rapporto tra governo (le decisioni politiche attuate dalle istituzioni) e democrazia (il rispetto delle istanze popolari).
Oggi, infatti, è proprio questo rapporto uno degli elementi maggiormente in crisi dei sistemi democratici e assistiamo a oscillazioni tra richiami forti e insistenti (dall’Europa, dagli organismi internazionali) per la stabilità politica (governo), anche attraverso il massiccio ricorso a incarichi di tecnici e burocrazie; a battaglie sempre più estese per ridare voce alle istanze popolari e ad una rappresentanza sempre più diretta e a senso unico (democrazia). Ecco, il buon funzionamento delle comunità intermedie è in grado di svolgere una funzione continua e insostituibile per mantenere in equilibrio questi due fondamentali elementi della convivenza politica.

ANTIDOTI ALLE DITTATURE. D’altronde, come ha notato Rosboch, è di fatto impossibile una società politica (e quindi, anche, democratica) senza che vi siano dei legami essenziali e strutturali, che pre-esistono allo Stato. La nostra stessa Costituzione lo riconosce in modo chiaro e potente quando dichiara esplicitamente, nel suo art. 2, che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità» (concezione figlia del personalismo cattolico, in contrapposizione all’individualismo liberale o al collettivismo socialista) e sancisce in modo inequivocabile una premazia della società rispetto allo Stato (nell’alveo del principio di sussidiarietà) a garanzia di una società libera e pluralista.
Tutto ciò è tanto vero che, nella storia, quando i corpi intermedi sono risultati deboli le dittature e i totalitarismi si sono fatte avanti e, in molti casi, hanno preso il sopravvento.

Marco Giorgio
3 marzo 2018