Prostituzione forzata. Dalle schiave sulle strade un grido di libertà

By 22 Luglio 2018Testimoni

Portata dalla Nigeria all’Italia con l’inganno come migliaia di ragazze ogni anno. Poi le violenze, la prostituzione coatta, ma anche la denuncia. E oggi l’impegno a Caserta nella Casa di Rut .

Da schiava a eroe. Blessing Okoedion, giovane donna nigeriana trafficata e messa su una strada del nostro Paese, è stata riconosciuta a Washington “eroe” contro la tratta dal segretario di Stato americano, Michael Richard Pompeo. La cerimonia si è svolta in occasione della presentazione del Rapporto annuale sul traffico di esseri umani (Tip Report) del Dipartimento di Stato americano, che rappresenta un punto di riferimento per tutti coloro che nel mondo si occupano del fenomeno della tratta e delle nuove schiavitù.

Blessing Okoedion è oggi una testimone straordinaria di questa lotta. Perché ha avuto il coraggio di ribellarsi e di denunciare i suoi sfruttatori, ma anche la fortuna di fare un percorso di riappropriazione della propria libertà e dignità grazie alle religiose Orsoline di Casa Rut di Caserta. Oggi lavora come mediatrice culturale e aiuta altre ragazze a liberarsi dalla schiavitù della prostituzione coatta. Ha scritto anche un libro in cui racconta la sua esperienza, Il coraggio della libertà (Paoline) che è appena uscito in edizione speciale inglese per l’Italia (The Courage of Freedom) perché possa aiutare altre donne che stanno vivendo la sua stessa, drammatica esperienza a trovare anche loro il coraggio di liberarsi. (A.P.)

Pubblichiamo ampi stralci del discorso che la nigeriana Blessing Okoedion ha pronunciato ieri a Washington ricevendo dal governo americano il premio come «eroina contro la tratta» di esseri umani.

Sono molto onorata di essere qui oggi e voglio ringraziare ed esprimere tutto il mio apprezzamento per il lavoro instancabile e appassionato di tanti movimenti che, in tutto il mondo, lottano contro la tratta di esseri umani e per ricostruire la dignità perduta di moltissime persone. Voglio anche ringraziare l’ambasciatrice Usa presso la Santa Sede, Callista Gingrich, per la sua grande solidarietà. Ricordo la prima volta che l’ho incontrata, il 31 gennaio scorso, quando ha fatto visita a Casa Rut di Caserta, una casa di accoglienza per donne e bambini vittime della tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale. La sua presenza in questa Casa ha ricordato alle donne che vi sono ospiti che non sono sole e che ci sono moltissime persone che le amano e si prendono cura di loro. Suor Rita Giaretta ha fondato Casa Rut nel 1995 con altre suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria. Quando ha visto moltissime donne e ragazze africane costrette con la forza dai loro sfruttatori a riempire le strade d’Italia – mostrando il loro corpo come una merce da acquistare, usare e buttare via quando non serviva più – ha fatto suo l’appello a lottare per la loro libertà e ad aiutarle a ritrovare la dignità, rendendole protagoniste del proprio futuro.

Casa Rut ha fatto nascere nel 2004 anche una cooperativa sociale che si chiama «NewHope», dove le ragazze imparano la sartoria e altri tipi di lavoro. NewHope è un luogo pieno di tessuti colorati, segnati dalle lotte, dalle storie e dal senso di sorellanza di chi li lavora. I fili con cui questi tessuti sono intrecciati sono forti, caldi, coraggiosi e duraturi. Dicono che ognuno deve fare la propria parte e deve spingere il sistema a offrire soluzioni, deve porre domande e richiedere risposte, piuttosto che sedersi e lamentarsi. Noi per prime possiamo essere degli straordinari esempi oltre a testimoniare che è possibile sopravvivere. Abbiamo imparato a tessere i fili della nostra vita che un tempo erano stati fatti a pezzi dai nostri sfruttatori. Siamo tessitrici di nuova speranza! È capitato anche a me di essere una di quelle donne. Sono arrivata in Europa nel 2013 con un visto di lavoro di due anni. Ma era tutto un inganno. Quando sono giunta in Italia ho scoperto che l’impiego che mi era stato prospettato non esisteva. I miei sfruttatori mi hanno detto che ero in debito con loro di 65mila euro e che avrei dovuto ripagarli attraverso la prostituzione. In quel momento ho capito di essere caduta nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Grazie a suor Rita Giaretta e a Casa Rut di Caserta sono riuscita a rimettermi in piedi, a riconquistare la mia dignità e a lottare per la libertà di altre donne e bambini africani, dicendo instancabilmente ‘no’ alla tratta di esseri umani.

Non avrei mai immaginato che un giorno mi avrebbero chiamata «vittima della tratta di esseri umani per sfruttamento sessuale». Avevo fatto molti sacrifici per studiare e costruire il mio futuro. Dopo essermi laureata in informatica, mi sono trasferita a Benin City, dove ho iniziato un’attività su piccola scala di riparazione e vendita di computer, accessori e altri prodotti. Benin City è la capitale di Edo State e il crocevia della tratta dalla Nigeria. Ero consapevole delle attività dei trafficanti di esseri umani, perché la tratta non è un fenomeno nuovo in Nigeria. È una delle piaghe che, più di ogni altra in questi ultimi anni, ha contribuito al processo di mercificazione di tante persone vulnerabili, donne, uomini e bambini, costretti a vivere in condizioni di povertà estrema, decadenza morale e ignoranza. È un business mortalmente sofisticato e flessibile, che permette ai trafficanti di guadagnare ogni giorno milioni di dollari sulla pelle dei più poveri. La Nigeria è un Paese di origine, transito e destinazione della tratta di esseri umani. Migliaia di bambini, ragazze e donne vengono ingannati da trafficanti senza scrupoli, che poi li trasformano in nuovi schiavi per la prostituzione coatta e il lavoro domestico (e non solo) in Europa. All’interno della Nigeria moltissime comunità rurali sono diventate il bacino di riferimento di una sofisticata rete di trafficanti e contrabbandieri che reclutano ragazze provenienti da famiglie molto povere e che non hanno accesso all’istruzione. La Nigeria è un Paese pieno di ingiustizie sociali, dove il povero non ha alcuna possibilità di difendersi. Le vittime vengono trafficate attraverso percorsi lunghi e pericolosi, durante i quali subiscono molteplici abusi e violenze. Molte ragazze vengono violentate e sono costrette ad abortire forzatamente, altre sono state infettate da malattie sessualmente trasmissibili. In Libia vengono spinte a prostituirsi in condizioni drammatiche, spesso con violenze e torture.

Una delle ragazze che ho incontrato nel mio attuale lavoro di mediatrice culturale mi ha raccontato che il suo sfruttatore in Libia l’ha venduta a una madam in Italia. Lei non aveva scelta, perché il trafficante decide tutto della tua vita finché sei nelle sue mani. È una forma perpetua di schiavitù. L’ha costretta a imbarcarsi su un gommone ed è riuscita a sopravvivere per miracolo. Ma non posso dimenticare i 26 cadaveri di donne nigeriane portati a terra da una nave militare spagnola. Chissà se qualcuno ha almeno informato i loro genitori… Nel 2016, sono arrivate in Italia 11mila giovani donne nigeriane, molte di loro minorenni; oltre l’80 per cento, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), sono vittime di tratta per la schiavitù sessuale in Europa. Di fronte all’enorme numero di persone ridotte in schiavitù è necessario fare molto di più per contrastare questo terribile fenomeno. Tutte queste donne non possono essere lasciate senza voce e abbandonate in un continente come l’Europa che professa di avere nei diritti umani i suoi valori fondanti.

Tuttavia se la tratta di esseri umani a fini di sfruttamento sessuale è in continuo aumento è anche perché in Italia come negli altri Paesi europei c’è una forte e crescente domanda di sesso a pagamento. Questa cultura così diffusa tra gli uomini europei deve essere scoraggiata a tutti i livelli. I clienti delle donne costrette a prostituirsi devono essere puniti per legge. E questo non dovrebbe dipendere dal fatto che la donna presenti segni visibili di abuso. Uomini e ragazzi devono essere educati a non considerare le donne come meri oggetti per la loro soddisfazione sessuale: questo non è un loro diritto, né è compatibile con la dignità delle donne e con le loro libertà fondamentali. Ma anche le vittime devono essere accompagnate perché tornino a sentirsi delle persone, delle donne. Perché quando sei su una strada non sei nessuno. Per il tuo trafficante sei solo una merce in vendita; per il cliente sei solo un prodotto da consumare. In questo modo inculcano anche dentro di te un sentimento che ti fa sentire un oggetto, un robot, la loro schiava. Per questo dobbiamo unire le nostre voci. Per dire ‘basta’ alla tratta di esseri umani. E per dare voce alle troppe ragazze buttate su una strada piene di paure e con catene invisibili, che gridano in silenzio per la loro libertà.

Blessing Okoedion

Avvenire.it,  29 giugno 2018