LE DOMANDE AL DON… Visione cristiana e laica della vita

Tutti concordiamo sull’importanza della vita dell’uomo e di conseguenza sulla sua dignità. Ma per quanto riguarda il concetto di dignità, noi cristiani, siamo molto distanti ad esempio dai radicali, dall’Associazione Coscioni o da visioni culturali simili. Quali sono i motivi? Leonardo.

Oggi, tutti concordano, sull’obbligo etico-morale del rispetto della persona, ma le visioni si diversificano, come ricordato da Leonardo, approfondendo il concetto, e soprattutto nell’identificare a chi va attribuito l’appellativo di persona. Ad esempio, nel febbraio 2022, la rivista Journal of Medical Ethics pubblicò un articolo di Alberto Giubilini e Francesca Minerva dal titolo: «L’aborto post-natale: perché il bambino deve vivere?», in cui i due ricercatori si mostravano favorevoli anche all’aborto post-natale.
Per il  cristiano, ogni uomo è una persona, detentrice di dignità e di diritti; di conseguenza sempre meritevole di rispetto dal concepimento alla morte naturale, indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale, dalla razza e dalla religione. Ebbene, la dignità della persona è il valore fondante, e la sacralità della vita, la conseguenza.
Per gli altri, quelli che definiamo laici in senso «politico-sociale», cioè coloro che ritengono di poter risolvere le problematiche dell’uomo senza rivolgersi a Dio, la dignità della persona, è limitata ad alcuni aspetti e a determinate situazioni, privilegiando la nozione di «qualità della vita» come valore basilare dell’esistenza umana. È evidente, che questa differenza, comporta modi antitetici di porsi di fronte alle tematiche esistenziali, come pure a quelle che circondano la cura e l’assistenza.
Esaminiamo le due impostazioni.

La visione cattolica

Ha come fondamento assoluto, universale ed irrinunciabile la dignità e la sacralità della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Questa persuasione si fonda sulla creaturalità dell’uomo: «ogni persona è stata voluta da Dio per se stessa ad immagine e somiglianza del Dio vivente e santo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2319). Un’essenza, questa, che offre all’uomo la più alta dignità rispetto alle creature terrene, e rende la vita di ogni persona «non disponibile» a nessuna situazione o atto che possa nuocerla cioè al sopprimerla nella fase iniziale, ad esempio con la pratica dell’aborto, o nella fase terminale con la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, con l’eutanasia o con il suicidio consapevole. Per la grandiosità e la rilevanza che l’uomo possiede agli occhi di Dio, ogni vita, anche quella con grave handicap fisico o ritardo mentale, o vissuta in stato vegetativo permanente, è sempre un immenso valore, perciò unicamente il Creatore, può deciderne l’esordio e la conclusione. «Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente» (Donum vitae, 4); di riflesso, «di questa vita (…) Dio è l’unico signore: l’uomo non può disporne» (Evangelium vitae, 39).

La visione laica, rilevando la distinzione tra «vita biologica» e «vita umana», e ritenendo il concetto di esistenza un dato non metafisico, predilige la caratteristica della qualità. Dunque, non è l’esistenza in quanto tale o l’ espressione di una volontà divina ad essere autorevole, ma la sua qualità; di conseguenza, in alcune situazioni giudicate di “non qualità”, può essere interrotta. Il suo valore non è intrinseco, ma trae origine e significato dalle modalità in cui è vissuta. Nel «Manifesto di bioetica laica», si afferma: «serve garantire agli individui una qualità della vita quanto più alta possibile, di contro al principio che fa della mera durata della vita il criterio dominante della terapia medica. Se vi è un senso nella espressione “rispetto della vita” questo non può risiedere nel separare un concetto di “vita” dagli individui concreti, che hanno il diritto a vivere e morire con il minimo di sofferenza possibile» (C. Flamigni – A. Massarenti – M. Mori – A. Petroni, Il Sole 24Ore, 9 giugno 1996). Ciò denota che non esistono limiti pregiudiziali alla volontà di autodeterminazione; il paternalismo medico è da rifiutare, la morale non possiede validità universale ed eterna dato che nel campo etico e morale, secondo loro, le conclusioni sono soggettive e provvisorie.
Da dove originano posizioni estreme, riassunte da H.T. Engelhardt: «Non tutti gli esseri umani sono persone. I feti, gli infanti, i ritardati mentali gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di non persone umane. Tali entità sono unicamente membri della specie umana. Non sono partecipanti primari all’impresa morale. Solo le persone umane hanno questo status» (Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1991, 126).
La risposta la fornisce F. M. Dostoewskij: «Se Dio non c’è tutto è permesso!». L’errata interpretazione di laicità dello Stato che mira a ridurre il cattolicesimo ad un semplice aggregato filosofico, eliminando i valori morali, etici e religiosi dalla società civile, pone a rischio l’esistenza dei più fragili, a volte oggetti di sopruso. Nelle discussioni sulla vita non nata o quella giunta al termine, si è eclissato l’imperativo categorico di E. Kant, che imponeva di trattare l’essere umano sempre come fine e mai come mezzo. Per questo concordo con il cardinale G. Biffi che nel 1991, al Concistoro Straordinario dedicato alla vita minacciata, affermò: «Il guaio primario e più radicale della scristianizzazione non è la perdita dalla fede: è la perdita della ragione», e l’arcivescovo emerito di Bologna concluse con un esempio: «Si è riusciti a convincersi che sopprimere una vita umana ai suoi inizi (embrione o feto) non sia sopprimere una vita umana».

Di fronte alla drammaticità di alcune situazioni esistenziali, ragionare in termini di scontro confessionale ed ideologico è fuorviante. Unicamente un reale confronto tra i modelli valoriali consentirà di collocare nella giusta prospettiva i dilemmi che la scienza e la sanità stanno affrontando, permettendo di riappropriarsi della cultura della malattia che offre senso al soffrire e significato di esperienza umana al morire.

Don Gian Maria