DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (5) – Le pietre miliari: bene comune supportato dalla solidarietà, sussidiarietà e partecipazione.

Concludiamo la serie di Pillole di Saggezza dedicate alla Dottrina della Chiesa evidenziando le pietre miliari di questa Dottrina.
La “pietra miliare” era una piccola colonna che gli antichi romani ponevano sulle strade di maggiore importanza per indicare la distanza progressiva, misurata in miglia, in particolare da Roma. Oggi, la perifrasi, è utilizzata per indicare qualcosa di indispensabile, di insostituibile e di irrinunciabile in uno specifico percorso.
“Quali sono le pietre miliari della Dottrina Sociale della Chiesa?”
La pietra miliare per eccellenza è il “Bene Comune” supportato da altre tre: la solidarietà, la sussidiarietà e la partecipazione.

Bene Comune

L’origine della nozione di “Bene Comune” la riscontriamo nel racconto della Creazione narrata nei primi capitoli del Libro della Genesi, quando Dio dona all’uomo la terra per dominarla con il suo operare, per poi gioirne dei frutti. Gioirne però non da padrone assoluto ma da collaboratore del Creatore. Affermò il cardinale Dionigi Tettamanzi: «poiché immagine di Dio, e quindi collaboratore di Dio, l’uomo non è l’arbitro insindacabile o il padrone assoluto del creato: è unicamente “l’economo di Dio”»(L’uomo immagine di Dio. Linee fondamentali di morale cristiana, Piemme, 45). E, Papa Francesco, definì questa missione una «tremenda responsabilità dell’uomo nei confronti del creato»( Enciclica Laudato sì, 66). Da ciò comprendiamo che l’uomo non può rivendicare un diritto assoluto all’uso dei beni, seguendo criteri individualisti. Deve invece apprendere che questa fruizione, riferendosi al diritto naturale e al principio della destinazione universale dei beni, abbraccia tutti e supera ogni privilegio o monopolio come affermato da san Paolo VI nella Enciclica Populorum Progressio: «tutti gli altri diritti, qualunque essi siano, incluso quello di proprietà e al libero mercato, devono essere subordinati alla universale destinazione dei beni» (22).

Nel contesto cattolico la prima formulazione di Bene Comune fu dei Padri della Chiesa, in particolare di Basilio di Cesarea (330-379) nel testo Il buon uso della ricchezza (Cfr. Il buon uso delle ricchezze, Nuova Editrice Berti ). Qui leggiamo un’eloquente metafora. Il santo invita ad osservare un pozzo. Se attingiamo l’acqua la sorgente la ricrea, perciò la possiamo distribuire a chi la necessita, se invece l’acqua non è prelevata, dopo un po’ di tempo diviene inutilizzabile. Così è il Bene Comune: deve circolare, cioè produrre opportunità per ciascuno e per tutti contemporaneamente. San Tommaso d’Aquino approfondisce il concetto: «per gli aspetti che ha comuni con tutti i viventi e con tutti gli animali l’uomo sia subordinato alla comunità sociale e politica sacrificando il suo bene individuale per la comunità» ( De regimine principum, Carabba, l. I, c. 1). Ma l’Aquinate puntualizza: «l’individuo ha da realizzare certi valori che non possono essere sacrificati per nessuna cosa al mondo»( De regimine principum, op.cit.).

Con il trascorrere dei secoli, il concetto di Bene Comune fu maggiormente strutturato. Evidenziamo, tra i molti, due contributi.
La Costituzione Pastorale Gaudium et spes lo definisce: «l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e spedito della loro perfezione» (74).
Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa afferma: «il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune» (164).
Ebbene, il Bene Comune può essere conseguito unicamente operando tutti insieme, ognuno esercitando le sue responsabilità e avvalendosi delle opportunità che la vita gli offre, non scordando però che ogni uomo ha il diritto di ottimizzare la propria esistenza e potenziare le proprie doti per affermarsi totalmente e consapevolmente mediante la libertà di parola, di pensiero, di azione e pervenire così a una degna “qualità della vita”.

La dicitura “bene comune”, pur possedendo un ampio valore, oggi rischia il tramonto sostituita da espressioni che potrebbero apparire simili ma non lo sono. Pensiamo a “bene pubblico”, “beni comuni” (al plurale, che fissa l’attenzione prevalentemente su quelli materiali), “bene collettivo”, “interessi generali”… Queste locuzioni non sono affini al “bene comune” poiché tracciano visioni antropologiche e sociali riferendosi a ideologie divergenti, almeno in parte, da quella cristiana. Il “bene pubblico” è inerente al liberalismo, gli “interessi generali” all’utilitarismo sociale e il “bene collettivo” è un’espressione tipica del socialismo. Inoltre, la modifica del Titolo V della Costituzione italiana (cfr. Legge 3/2001), rivitalizzò il principio di sussidiarietà ma lo puntellò sull’interesse generale e non sul Bene Comune. Invece, il Bene Comune proposto dalla DSC, si differenzia dalle prospettive evidenziate poiché si prefigge primariamente la valorizzazione della singolarità e della sacralità di ogni uomo depositario contemporaneamente di diritti e di doveri.
Ricercare il Bene Comune non è pauperismo, ma un processo personale e comunitario che armonizzi «la capacità di vedere il bene altrui come se fosse il proprio» (Compendio 167). Pur essendo complesso operare per il Bene Comune, oggi è l’unica opportunità per oltrepassare e sconfiggere scenari che da decenni ci logorano e che la pandemia e il conflitto Russo-Ucraino hanno accresciuto.
Lungi da essere reputato un’utopia o un’idea astratta, il Bene Comune orienta virtuosamente condotte, comportamenti e atteggiamenti da ricostruire, oltrepassando lo stereotipo che individua, sempre e comunque altrove, le responsabilità di ciò che accade. Comunque, la responsabilità per il Bene Comune, non prescinde dalla ricerca del proprio “ben-essere”, ma postula contemporaneamente l’obbligo di valutare l’appagamento altrui come il proprio, riconoscendo, rispettando e accrescendo i diritti di ogni membro della società.
Il traguardo del Bene Comune è irraggiungibile senza percorsi educativi, formativi e culturali di cittadinanza attiva e responsabile. Già nel 2001, in La rabbia e l’orgoglio, la giornalista e scrittrice Oriana Fallaci (1929-2006) ammoniva: «da decenni in Italia si parla sempre di diritti e mai di doveri. In Italia si finge di ignorare o si ignora che ogni diritto comporta un dovere»( La rabbia e l’orgoglio, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 73). Tutto ciò lo aveva ben compreso nel 1971 Paolo VI, che nell’enciclica Octogesima adveniens trattando del Bene Comune indicò chi doveva assumere la responsabilità di diffonderlo. «Non spetta né allo Stato né ai partiti politici che sarebbero chiusi su se stessi, di imporre un’ideologia con mezzi che sboccherebbero nella dittatura degli spiriti, la peggiore di tutte. È compito dei raggruppamenti culturali e religiosi, nella libertà d’adesione che essi presuppongono, di sviluppare nel corpo sociale, in maniera disinteressata e per vie loro proprie, queste convinzioni ultime sulla natura, l’origine e il fine dell’uomo e della società» (25).
Ebbene, da decenni, la cultura dominante incita la rivendicazione dei diritti soggettivi, scordandosi dei doveri dell’ “io personale” verso il “tu comunitario”, cioè del Bene Comune, ritenuto un limite alla libertà.

Principio di Solidarietà

La DSC come interpreta la solidarietà e di conseguenza il “Principio di solidarietà”?
Affermava Giovanni Paolo II: «Non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Sollecitudo Rei Socialis, 38).

Dunque, il principio di solidarietà, evidenzia un’ovvietà che frequentemente fatichiamo a riconoscere. Ogni uomo è strutturalmente vincolato agli altri e nessuno può vivere e realizzarsi senza la loro collaborazione. Di conseguenza, ognuno, è responsabile dei singoli e della comunità, che deve prendersi cura di ogni membro operando per la sua realizzazione con un’attenzione particolare ai più fragili e ai più vulnerabili. Pertanto, solidarietà, è assumersi totalmente la preoccupazione per lo sviluppo di tutti, non unicamente donando cose o tempo, ma favorendo il loro potenziamento umano e culturale e la loro felicità.
In ambito cristiano la solidarietà ha come prototipo Dio, il primo solidale con l’uomo, e questo atteggiamento è presente in tutto l’Antico Testamento, raggiungendo l’apice nel dono di Gesù di Nazaret all’umanità, il cui insegnamento è intriso di solidarietà. Ricordiamo solamente il suggerimento che il Cristo consegna con la parabola del “buon samaritano” (cfr. Lc. 10,25-37), dove presenta il rapporto di “uno sconosciuto con un altro sconosciuto” basato sulla fratellanza, sulla solidarietà e sulla partecipazione al suo dramma, caratteristiche che oggi stanno dissolvendosi, come rammenta papa Francesco: «dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate»(Papa Francesco, Fratelli tutti, 67).
Ebbene, all’inizio della storia, Dio, nel libro della Genesi, all’uomo non solo proibì di versare il sangue di un altro uomo rischiando una punizione esemplare, ma pose a Caino una domanda gravosa: «Dov’è Abele tuo fratello?» (Gen. 4,9). Cioè significa che ogni vita umana è affidata alla premura, alla sollecitudine e alla solidarietà dell’altro. E Caino rispose: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen. 4,9b). “Sì”, ogni persona è il guardiano di suo fratello e il custode di ogni uomo, perché mentre gli amici ce li scegliamo i fratelli ci vengono affidati. Ne vale sempre la pena? Per l’uomo a volte “no”, ma se siano consapevoli che Dio è presente in ogni persona, sempre e comunque, qualunque siano i costi e i sacrifici ne vale la pena poiché equivale a venerare il Creatore che ha impresso in ogni uomo la propria immagine. Questa è la solidarietà!
Il principio di solidarietà è presente anche nella Costituzione Italiana (cfr. articolo 2) evidenziando la predisposizione solidaristica del nostro Paese. La solidarietà, auspicata nella stesura della Carta Costituzionale, sia dal versante cattolico che da quello laico-socialista, si è incrementata negli anni ‘90 del XX secolo con il dibattito che ha accompagnato la transizione dalla fase di Welfare State a quella di Welfare Community, con il posizionamento del volontariato e del no-profit nelle finalità di interesse generale presenti nell’ordinamento giuridico-costituzionale.

Principio di Sussidiarietà

Il vocabolo “sussidiarietà” deriva dal termine latino “subsidium” che significa: soccorso, promozione, sviluppo… Dunque, la sussidiarietà, dovrebbe essere l’intervento “compensativo” e “ausiliare” che lo Stato promuovere a favore dei singoli e dei gruppi supportandoli nel loro sviluppo, memori però che una nazione che massifica, che si propone da “grande fratello orwelliano”, che svaluta e deprezza le singolarità gestendo ogni servizio, dall’istruzione alla sanità, che priva di responsabilità le famiglie… non solo ferisce e mortifica i cittadini ma causa colossali disservizi dovuti a uno statalismo incontrollabile, a inflessibili amministrazioni e impersonali burocrazie. Mentre la trasparente concorrenza tra Stato, mercato e società civile, o meglio una partnership tra questi soggetti in condizioni paritetiche (sussidiarietà circolare), offre prestazioni più efficienti, a un costo minore e con notevole soddisfazione della popolazione. Questa è la sussidiarietà!
Purtroppo, dobbiamo costatare che nel nostro Paese, il principio fatica a essere compreso e attuato essendo stato latitante fino al 2001, quando fu incrementato con l’introduzione nella Costituzione degli articoli 118 e 119 a seguito della riforma del Titolo V della Carta Costituzionale. Esso riguarda da una parte la ridistribuzione delle competenze alle Città metropolitane, alle Province e alle Regioni, e dall’altra, è presente l’invito a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale» (art. 118). Alcuni comuni, provincie e regioni hanno recepito questa novità normativa, altri l’hanno completamente ignorata e in molteplici situazioni, come pure nella visione politica attuale, si ha l’impressione che l’apparato Statale voglia restare, o meglio ritornare a gestire totalmente i servizi, concedendo ai corpi intermedi soltanto funzioni di supplenza nei settori in cui l’amministrazione pubblica fatica a intervenire. Esempio emblematico sono la gestione delle nuove povertà, dell’emarginazione e dell’immigrazione.

La sussidiarietà, pur vantando centinaia di anni di storia, ebbe uno slancio nel 1625 quando l’olandese Huig de Grott (trad. italiana: Ugo Grozio), giurista, filosofo e politico, pubblicò il saggio De iure belli ac pacis, indicando il rapporto da instaurarsi tra il monarca e i cittadini. Con il trascorre del tempo, superate quasi totalmente le forme di governo autoritario, la sussidiarietà si è sempre più aperta al Welfare.
Per la Chiesa cattolica è uno dei principi fondamentali della sua Dottrina Sociale, espresso per la prima volta nell’enciclica Rerum Novarum: «non è giusto che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo stesso Stato: è giusto invece che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare, salvo il bene comune e gli altrui diritti» (28).
Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno puntualizzando la sussidiarietà, ammonì: «è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità possono fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle» (80). In altre parole, il Pontefice specificò che lo Stato non deve ingerire o insinuarsi nei settori di competenza degli organismi minori ma è tenuto ad occuparsi delle funzioni proprie e istituzionali. Di fatto, precisava Papa Ratti, «il solo mantenimento di questo livello di ordine gerarchico renderà l’azione dello stato più prospera e tanto più forte sarà la potenza sociale» (81). Con una puntualizzazione: lo Stato deve esercitare, esaminando caso per caso, il ruolo di direzione, di coordinamento, di sorveglianza, di vigilanza oltre che di impulso e di stimolo (cfr. 81).
Giovanni XXIII, nell’enciclica Mater et magistra, richiamò ulteriormente la sinergia che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra Stato e enti sociali, asserendo che «i poteri pubblici devono essere attivamente presenti allo scopo di promuovere, nei debiti modi, lo sviluppo produttivo in funzione del progresso sociale a beneficio di tutti i cittadini. Ma la loro azione, che ha carattere di orientamento, di stimolo, di coordinamento, di supplenza e d’integrazione deve ispirarsi al principio di sussidiarietà» (40). Infine, Papa Wojtyla, nell’enciclica Centesimus annus attribuì al principio una visione più ampia evidenziandone gli aspetti etici e morali. «Disfunzioni e difetti dello stato assistenziale derivano da un’inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato. Anche in questo ambito deve essere rispettato il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali in vista del bene comune» (48).

Ebbene, la DSC, offre al principio di sussidiarietà, associandolo a quello di solidarietà, un ruolo primario nell’ organizzazione della società tramite una corretta ed efficiente collaborazione delle varie soggettività e condannando l’ingiustificata supplenza da parte delle istituzioni. E, la sussidiarietà si applica in tre modalità: verticale, orizzontale e circolare.

Concludendo e riassumendo possiamo affermare che il principio di sussidiarietà, oltre che disegnare un innovativo ruolo dell’autorità pubblica, quella di garante del bene comune, si erge in chiara polemica sia nei confronti del centralismo dello Stato e di esecutivi sempre più influenti ed evadenti, sia nei riguardi dell’esclusione sociale e dell’individualismo che vorrebbero far prevalere la logica del “fai da te”.

Principio di Partecipazione

Altro principio della DSC è quello della partecipazione attiva e dinamica della popolazione alla vita societaria. Ma ciò potrà realizzarsi unicamente se i rappresentanti dello Stato, eletti dai cittadini, si presenteranno moralmente inattaccabili oltre che credibili e attendibili, assicurando efficienti modelli organizzativi e salvaguardando i singoli, offrendo loro l’ accesso a «tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l’abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, all’educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso» .
I partiti politici che selezionano i candidati per i vari ruoli rappresentativi, e che nelle democrazie sono gli intermediari tra istituzioni e cittadini, dovranno anche riconquistare il prestigio, l’autorevolezza e la competenza smarrita negli ultimi decenni. Problematica già denunciata negli anni 70’ del XX secolo dal professor Giuseppe Lazzati, ma che con il trascorrere degli anni si è ulteriormente deteriorata, dando origine ai preoccupanti fenomeni del “populismo”, dell’ “anti-politica” e dell’ “anti-casta”. Affermava il Rettore dell’Università Cattolica: «quello che prevale e si coglie è l’impressione che il singolo partito non cerchi il bene comune, ma il proprio bene che coincide con l’acquisto del potere e lo cerchi come se fosse solo a muoversi in questo senso e, cioè, senza avere, e aiutare ad avere, coscienza dialettica del bene comune»( Costruire, da cristiani, la città dell’uomo a misura d’uomo, op. cit, 23).

La partecipazione, come osservato, ha protagonisti i cittadini, in parte colpevoli dell’attuale situazione, avendo scordato il dovere di partecipare responsabilmente e consapevolmente alla scelta dei propri rappresentanti oltre che verificarne l’operato. Ricordava il presidente americano Franklin Roosevelt che «la democrazia non può avere successo se coloro che esprimono le proprie scelte non sono preparati a farlo con oculatezza. La vera salvaguardia della democrazia è dunque l’istruzione»( F. Regalzi -a cura di- Franklin Delano Roosevelt, Ripartiamo! Discorsi per uscire dalla crisi, Add editore 2011. 52), Inoltre, nel tempo, molti italiani, hanno ostentano sempre maggiormente i loro diritti, compreso i “nuovi diritti”, omettendo però i doveri e scordato l’osservanza delle norme e delle regole della comune convivenza, oltre che non subordinando gli interessi privati a quelli della collettività.

Don Gian Maria Comolli

Excursus

Le principali Encicliche dei Papa riguardanti la Dottrina Sociale della Chiesa.
-Leone XIII “Rerum novarum” (1891)
-Pio XI “Quadragesimo Anno” (1931)
-Giovanni XXIII “Mater e Magistra (1961)
-Giovanni XXIII “Pacem in terris” (1963)
-Paolo VI “Popolorum Progressio” (1967)
-Paolo VI “Octagesima Adveniens” – Lettera Apostolica (1971)
-Giovanni Paolo II “Laborem Exercens” (1981)
-Giovanni Paolo II “Sollecitudo Rei Socialis” (1987)
-Giovanni Paolo II “Centesimus Annus” (1991)
-Giovanni Paolo II “Evangelium vitae” (1995)
-Benedetto XVI “Caritas in Veritate” (2009)
-Papa Francesco “Laudato si’ (2015)
-Papa Francesco “Fratelli tutti” (2020)
Non possiamo scordare infine la Costituzione Apostolica Conciliare “Gaudium et Spes” (1965).

IN PRECEDENZA

LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA (1) – Cos’è?

Brevi appunti sulla Dottrina Sociale della Chiesa (2). Le colonne portanti

Dottrina Sociale della Chiesa (3). Tutto ruota attorno alla “persona”

Dottrina Sociale della Chiesa (4) – Chiesa e società: “interferenza” o “collaborazione”?