ALCUNE TESTIMONIANZE sull’handicap

By 13 Agosto 2025Attualità

LA FIGLIA CON SINDROME DI DOWN

“La nostra terza figlia è affetta dalla sindrome di Down, e dal momento in cui è nata, la nostra vita è cambiata profondamente sia sul piano sociale che su quello affettivo-sentimentale.

Quali difficoltà abbiamo dovuto affrontare?

“ ‘L’impreparazione’: quando si partorisce un figlio ‘diversamente abile’ si è completamente impreparati; si sa che capita, ma si pensa sempre che interessi gli altri.

‘La completa ignoranza sulla malattia’: non avevamo la minima idea su cosa comportasse l’essere down. Gli aiuti sono stati pochi e rapidi: presto ci siamo ritrovati da soli, con l’ indirizzo e il numero di telefono di un’associazione. Per noi la vita è cambia totalmente, e dopo un certo numero di anni, possiamo affermare che è cambiata ‘in meglio’. La nostra figlia, ormai cresciuta, si è rivelata un dono di Dio e ci ha aiutato a comprendere le reali priorità della vita. Ci riempie inoltre con l’ affetto, e spesso non ci accorgiamo delle sue differenze. Ma non è così per tutti!”.

‘L’handícap è il rívelatore del grado di civiltà della società, così come lo sono i bambini e gli anziani (A. Cenevari – A. Goussot, La difficile storia degli handicappati, Carroccio, Milano pg. 69). A questa importante affermazione il cristiano deve aggiungere che essi sono i “prediletti” del Signore, ma la loro presenza nella società registra ancora dei “momenti bui”, e anche  nel XXI  secolo, si sono commessi abominevoli soprusi, non solo dal nazismo con somministrazioni di medicinali, con manipolazioni del sistema genetico, con esportazione di organi e interventi chirurgici al cervello anche negli anni ’60 e ‘70 in Svezia e in Francia. “Per più di 15 anni handicappati mentali e down sono stati sterilizzati in ospedali pubblici in Svezia. Qualcosa di simile è accaduto in Francia – lo riportò Le Monde – in ospedali sia pubblici che privati. Purtroppo la società identifica il proprio handicap nell’handicappato”(La difficile storia degli handicappati, op. cit., pg. 146). In Italia è in corso, ormai da decenni, un processo per passare dalla “segregazione” all’ “integrazione”, favorendo pari opportunità ed inclusione sociale. Significativi, fra I’altro, nel 1975 l’abolizione delle “scuole speciali” e la “legge quadro” sull’handicap nel 1992, anche se, ovviamente, rimane ancora una lunga strada da percorrere, soprattutto a livello culturale, per creare mentalità aperte e senza pregiudizi che portino all’integrazione totale anche a livello lavorativo.

Nel nostro Paese il numero dei disabili è di 2.615.000 persone dai 6 anni in su e 43.600 bambini da 0 a 5 anni. Un dato che equivale al 4,9% della popolazione e nel problema della disabilità sono coinvolte il 5% delle famiglie.

La nascita di un “bambino diversamente abile” a volte distrugge la famiglia: mamma e bimbo da una parte, papà dall’altra; oppure, il neonato, è abbandonato dai genitori in ospedale. Non possiamo infine tralasciare il ricordo di un’azione medica che spesso invita alla pratica abortiva nel caso in cui il feto sia identificato “a rischio”.

Da ultimo menzioniamo il cosiddetto “dopo di noi”; un’emergenza nelle famiglie con persone disabili, quando le figure genitoriali invecchiano o muoiono.

LA STORIA DI GISELLA

“Gisella, quarantotto anni, vive con il secondo marito Sergio e quattro figli; è malata da cinque anni di S.L.A. (sclerosi laterale amiotrofica), patologia neurologica dovuta alla degenerazione delle cellule nervose, quelle che consentono il movimento dei muscoli.

Gisella iniziò ad avere difficoltà nel camminare; in seguito e gradualmente si indebolì tutta la muscolatura, finché si ritrovò costretta alla carrozzina e poi a letto immobile. Le crescenti difficoltà respiratorie la portarono a ricorrere alla ventilazione non invasiva, con una maschera sul viso; dapprima nelle ore notturne, poi sempre più frequentemente anche di giorno. Infine, si dovette ricorrere alla tracheotomia, con il suo consenso, quindi al supporto continuo con un ventilatore meccanico. Ora Gisella non può parlare e comunica con una lavagnetta. Il medico di medicina generale visita periodicamente la sua paziente e il suo intervento è integrato da quello di un infermiere dell’assistenza domiciliare. I figli adolescenti accettano volentieri l’avvicendarsi dei parenti e delle amiche della mamma per poter uscire. Le figlie, trentenni, garantiscono l’assistenza in momenti di particolari necessità. L’incarico di svolgere i numerosi e impegnativi compiti di accudimento continuo: aspirazione delle secrezioni tracheali, mobilizzazione, nutrizione e igiene è demandato a una badante. Nei tempi di riposo di questa, Sergio è l’infermiere della sua compagna: le sere e le notti, i sabati e le domeniche sono  impegnati per lei. Gisella è cristiana, ha anche operato nella sua parrocchia e nella comunità. La storia di questa donna ha commosso molti che sostengono Sergio e i ragazzi con vari servizi, ma soprattutto con immensa delicatezza. Gisella con i suoi semplici messaggi a volte vorrebbe incoraggiare chi la circonda; a volte invece è difficoltoso comprendere il suo pensiero e i suoi desideri”[1].

La testimonianza mostra il profondo disagio della famiglia!

Esaminiamo alcuni “punti critici” e le “risorse disponibili”.

Punti critici.

-La malattia devastante e inesorabilmente progressiva.

-Il rinnovato rapporto dei familiari con l’ ammalata.

-Le criticità di comunicazione e, di conseguenza, di relazione.

-Le decisioni terapeutiche conseguenti alle scelte della paziente come risultato di un complesso percorso di consapevolezza della malattia e delle prospettive di vita.

-L’onere economico per garantire un’assistenza ininterrotta.

-La ricerca di senso e la mancanza di prospettive per il futuro.

Risorse.

-Il percorso di adattamento compiuto da Gisella e dai suoi famigliari.

-La presenza di un’ assistente familiare (badante) affidabile e preparata.

-La cooperazione di conoscenti ed amici.

-Il sostegno offerto dalla fede.

-La comunità cristiana apportatrice di affetto, aiuto e vicinanza.

Concludendo

Le famiglie spesso gestiscono malattie complesse, irreversibili e inguaribili. L’allungarsi dell’età media di vita della popolazione, l’aumento delle persone con patologie cronico-degenerative e tumorali, le possibilità di intervento terapeutico e di cura in situazioni critiche che consentono la sopravvivenza, a volte in condizioni di equilibri alquanto precari, coinvolgono sempre maggiormente la famiglia nella drammatica realtà della sofferenza.

“La famiglia – ha ricordato papa Francesco – possiamo dire, è stata da sempre l’ ‘ospedale’ più vicino. Ancora oggi, in tante parti del mondo, l’ospedale è un privilegio per pochi, e spesso è lontano. Sono la mamma, il papà, i fratelli, le sorelle, le nonne che garantiscono le cure e aiutano a guarire” (10 giugno 2015). Ebbene, un nucleo famigliare isolato, non può affrontare e risolvere i problemi generati da una patologia complessa di un suo membro; soccombe nonostante gli atti di eroismo individuale così descritti sempre da papa Francesco: “Quante volte noi vediamo arrivare al lavoro un uomo, una donna con una faccia stanca, con un atteggiamento stanco e quando gli si chiede ‘Che cosa succede?’, risponde: ‘Ho dormito soltanto due ore perché a casa facciamo il turno per essere vicino al bimbo, alla bimba, al malato, al nonno, alla nonna’. E la giornata continua con il lavoro. Queste cose sono eroiche, sono l’eroicità delle famiglie! Quelle eroicità nascoste che si fanno con tenerezza e con coraggio quando in casa c’è qualcuno ammalato” (10 giugno 2015).

Da qui l’appello alla comunità cristiana a dilatare l’interesse alle famiglie dei malati instaurando rapporti umani ed affettivi, sostenendole moralmente, affinchè superino la giustificata demoralizzazione. L’appello si estende poi alla comunità civile che nonostante l’accresciuta cultura del “welfare community” e la presenza di normative a favore delle famiglie dei sofferenti, queste per essere attuate, spesso necessitano il supporto e la pressione di una società civile sensibile, preparata e determinata. Infatti la famiglia, frequentemente, oltre le problematiche del parente malato, deve affrontare un tormentato e travagliato percorso per ottenere dalle Istituzioni l’ “l’indispensabile” per cure efficaci e una dignitosa qualità di vita. Code interminabili per accedere alle informazioni, per acquisire ausili o presidi medici, per compilare richieste di invalidità o di accompagnamento, ed incomprensibili lungaggini burocratiche nell’adempimento delle pratiche amministrative. La costosa e dannosa burocrazia in continuo incremento come precedentemente affermato, è “il muro” contro il quale si scontrano spesso i parenti dei malati che lottano per gravose patologie che, a volte, non concedono tempo.

Don Gian Maria Comolli