Parla il padre. «Mai più un caso Alfie Evans»

By 9 Ottobre 2018Testimoni

Thomas Evans: «Una fondazione in nome del nostro piccolo. E cambieremo la legge perché nessuno muoia più come lui».

«Mi chiamo Thomas Evans. Sono il papà di un bellissimo bambino di nome Alfie». Ti aspetti un ricordo, una rievocazione con i verbi declinati al passato e invece è tutt’un parlare al presente, per dare seguito alla grande mobilitazione internazionale che scattò quando i tribunali inglesi decisero che quel piccolo andava accompagnato alla morte, in nome del suo «migliore interesse». Si commuove due volte papà Thomas. La seconda volta, all’incontro di Atreju, sull’isola Tiberina, la gente assiepata sotto il tendone scatta tutta in piedi, e a consolarlo gli si affianca – prendendo il posto dell’interprete – l’inseparabile compagna Kate, 41 anni in due e una determinazione che non ti aspetti. La stessa che – in presenza di un rischio genetico al 25 per cento – li ha portati a volere un altro figlio: «Il 6 agosto io e Kate – annuncia – siamo diventati i genitori di Thoams James, il fratello di Alfie». Perché Alfie c’è sempre. «Avremo sempre due bambini».

Avete capito di più della sua malattia e se c’erano margini per curarlo?
Era affetto da “deficit di Gaba transaminasi”, un disturbo neurovegetativo che avrebbe però concesso possibilità di cura. Ce l’aveva già detto Alfie, con tanti piccoli miracoli. Il primo quando noi, di fronte al primo responso dei medici (ancora sconvolti e frastornati) acconsentimmo a che fosse “lasciato andare”. Ma poi ci accorgemmo che, contrariamente a quel che ci avevano detto i medici, lui respirava da solo. Fu allora che decidemmo che non avremmo permesso a nessuno di interrompere la sua vita, e li obbligammo a ripristinare i supporti vitali. Un altro piccolo miracolo ci fu quando arrivò a Liverpool la presidente del Bambino Gesù, Mariella Enoc, e io girai l’ennesimo video di denuncia: Alfie aprì gli occhi, come a darci una nuova dimostrazione della sua voglia di lottare. Fino agli ultimi giorni, che sono stati un calvario, l’ultimo dei quali lo abbiamo passato dormendo per terra, tenuti a forza lontano dal bambino. Venne interrotta la ventilazione meccanica, ma Alfie compì l’ennesimo miracolo: respirava da solo. I medici avevano dichiarato al processo che sarebbe sopravvissuto poche ore, un giorno al massimo. Ma non fu così.

In che modo Alfie sarà, come voi dite, ancora presente?

Lo sarà attraverso la fondazione che stiamo costituendo, alla quale conferiremo tutti gli aiuti arrivati. Già una quindicina di bambini hanno fatto richiesta per le loro cure e noi vogliamo aiutarli, per evitare che ad altri possa accadere quel che è capitato ad Alfie. Lui, anche se è vissuto così poco e non ha avuto la possibilità di parlare, parla ancora al mondo intero.

Anche voi, come Alfie, vi sentite un po’ italiani?

Ci siamo sentiti amati e rispettati dalla gente italiana, è nata una grande collaborazione di cui saremo eternamente grati, come siamo grati in particolare all’associazione Steadfast che ha promosso quella fantastica mobilitazione.

Anche dalla Chiesa è venuta una grande solidarietà.

È stato per noi un privilegio essere ricevuti da papa Francesco e ottenere la sua benedizione. E il nostro grazie va anche all’ospedale Bambino Gesù, che è stato fantastico. Ci siamo davvero sentiti amati.

Con la Brexit, se ci fosse un nuovo caso, sarebbe ancor più difficile ricoverare un bambino in un altro Stato Europeo?

Noi ci stiamo battendo perché la legge cambi. Perché un caso Alfie, in un paese come il Regno Unito che è contro l’eutanasia, non possa più verificarsi per mano dei magistrati.

Che cosa sentite di dire agli italiani che vi sono stati così vicini?

L’Italia è stato il Paese che più di tutti ha protetto Alfie, lui è e rimarrà sempre italiano. Amiamo questo Paese, qui ci sentiamo come a casa, ci piacerebbe anche poterci vivere. Abbiamo ancora la casa invasa dai vostri messaggi, regali e pupazzetti. Una signora, Elisabetta, ci ha mandato l’acqua di Collevalenza, mentre i magistrati hanno voluto interrompere persino l’idratazione. Fino a quella notte del 28 aprile, in cui il nostro angelo è volato in Paradiso.

Angelo Picariello

Avvenire.it, 22 settembre 2018

https://www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/mai-piu-un-caso-alfie-evans