Belgio, aumenta il ricorso all’eutanasia: 2.028 nel 2016 e 2.309 nel 2017

Lievemente maggiore la percentuale degli uomini (50,9%) rispetto alle donne (49,1%). A morire con l’iniezione letale sotto i 18 anni sono stati tre pazienti (due nel 2016, uno nel 2017); 25 persone avevano meno di 30 anni (13%); tra i 60 e gli 80 anni sono state 2.058 persone (47%); 1.237 anziani tra gli 80 e i 90 anni hanno chiesto l’eutanasia e ci sono stati anche 12 ultracentenari a voler morire così.I numeri della “dolce morte” in Belgio per gli anni 2016-2017 sono stati pubblicati nell’VIII Rapporto alle camere legislative della Commissione federale di controllo e valutazione dell’eutanasia. I dati si basano sulle relazioni compilate dai medici che praticano l’eutanasia e inviate alla Commissione incaricata di controllare che le procedure dichiarate siano conformi alla legge. Risulta quindi che nel 2016 è stata praticata l’eutanasia su 2.028 persone e su 2.309 nel 2017. Per il 78% sono stati pazienti della regione di lingua olandese, per il 22% della regione francofona. Lievemente maggiore la percentuale degli uomini (50,9%) rispetto alle donne (49,1%). A morire con l’iniezione letale sotto i 18 anni sono stati tre pazienti (due nel 2016, uno nel 2017); 25 persone avevano meno di 30 anni (13%); tra i 60 e gli 80 anni sono state 2.058 persone (47%); 1.237 anziani tra gli 80 e i 90 anni hanno chiesto l’eutanasia e ci sono stati anche 12 ultracentenari a voler morire così. Circa il 45% ha scelto di morire a casa. Il dato è che “nel corso degli anni, l’evoluzione del numero di eutanasie è stata costante”, interrotta solo da una “apparente stagnazione nel periodo 2014-2016”: tra il 2016 e il 2017 i casi sono aumentati del 13%. Non è però possibile calcolare il numero reale di eutanasie praticate: la Commissione non registra infatti tutti i casi in cui “in fase terminale si fa uso di farmaci non letali” come la morfina per combattere la sofferenza anche se il suo uso “può affrettare il decesso”. La Commissione ha anche verificato i 58 casi di eutanasia avvenuti in base a una “dichiarazione anticipata”: il paziente ha chiesto l’eutanasia in una situazione segnata contemporaneamente da malattia grave e incurabile, stato di incoscienza, situazione irreversibile. È stato il caso di malati di tumore cerebrale maligno o di due tentativi di suicidi finiti in coma irreversibile. Ci sono poi state 23 persone che tra il 2016 e il 2017 sono arrivate dall’estero per farsi fare l’iniezione letale in Belgio. Al 93% dei pazienti è stato iniettato il tiopental, come ai condannati alla pena di mote. Otto pazienti hanno voluto donare i propri organi.

Le ragioni. Nel 64% dei casi la richiesta è arrivata da un malato oncologico: è una percentuale in aumento, mostra il rapporto, anche se la proporzione rispetto alle altre ragioni per chiedere l’eutanasia è andata riducendosi. Cresce ad esempio il gruppo di pazienti con polipatologie (il 16% dei casi nel 2017) percentuale quasi raddoppiata rispetto a quattro anni fa. Nel 70% dei casi si è trattato di persone con oltre 80 anni. Per il 50% di loro la prospettiva era quella di morte a breve termine. “Si ricorda”, puntualizza però il rapporto, che “senza situazione medica conforme alla legge, la fatica di vivere non è mai accettata dalla Commissione come giustificazione dell’eutanasia”. C’è poi il 6,9% dei malati che aveva patologie del sistema nervoso, il 4% di quello respiratorio. I “problemi mentali e di comportamento” sono stati la motivazione della richiesta per l’1,8% dei casi. In questa fetta, sono compresi i malati di demenza (ultra 70enni), ma ci sono stati anche pazienti con meno di 40 anni trattati per molti anni per “disturbi della personalità e del comportamento” alla cui origine erano “traumi psicologici gravi in età molto giovane”: violenza domestica, negligenza psicologica o abuso sessuale. Tra le ragioni di richiesta ci sono anche malattie “infettive e parassitarie”, dell’occhio, della pelle, dell’orecchio, in un caso per “malformazioni congenite e anomalie cromosomiche”, un altro per “malattie la cui origine è nel periodo perinatale”.

Complessivamente il 4% dei malati ha dichiarato di voler morire per “sofferenze psichiche”, il 33% per “sofferenze fisiche”, il 62% per fisiche e psichiche insieme.

I minori​. Il Rapporto dedica un paragrafo a parlare dei tre casi di eutanasia su pazienti minori nel 2016-2017. Si è trattato di bambini di 9, 11 e 17 anni, due nella regione olandese e uno in quella francese, che soffrivano di “malattie incurabili e particolarmente gravi che avrebbero portato alla loro morte in tempi brevi”. Soffrivano, nello specifico, di disturbi muscolari e neuromuscolari (distrofia muscolare di Duchenne grave), di un tumore maligno dell’occhio, del cervello e di altre parti del sistema nervoso centrale e il terzo di “anomalie del metabolismo: muscoviscidosi” (nota come fibrosi cistica). Poiché i rapporti dei medici erano estremamente precisi, la Commissione ha potuto verificare che “la capacità di discernimento del minore è stata confermata in modo esplicito da uno psichiatra infantile o da uno psicologo”. A questi sono stati affiancati i referti di molti altri medici e operatori sanitari per cui la Commissione ha all’unanimità avvallato le procedure usate. E il paragrafo conclude: “Sebbene, fortunatamente, siano coinvolti pochi bambini, l’estensione della legge ai minori in grado di intendere e di volere ha senso, perché mira a permettere loro una libera scelta riguardo al loro fine vita e di esprimerla”.

Osservazioni e raccomandazioni. Il Rapporto rileva che tutti i casi di eutanasia registrati nel 2016-2017 si sono svolti secondo quanto previso dalla legge. In alcuni casi è stata necessaria una verifica ulteriore rispetto all’analisi delle relazioni dei medici, ma non è c’è stata la necessità di deferire al Procuratore del Re nessun caso del biennio passato. Tra le osservazioni generali sull’applicazione della legge si trova, ad esempio, una precisazione quanto alle “consultazioni obbligatorie” (di norma due, una nei casi di pazienti oncologici terminali): la Commissione ha registrato che nel 62% dei casi ci sono stati altri medici (oltre ai due obbligatori) che hanno espresso il proprio parere: se questo dimostra che c’è stata “discussione” nell’equipe medica, se è importante l’approccio multidisciplinare e la trasparenza dei processi decisionali, “tuttavia”, suggerisce la Commissione federale, “conviene evitare che le consulenze supplementari non creino condizioni non previste dalla legge, a detrimento del rispetto della volontà del paziente” dal momento che “le due persone che in definitiva devono prendere la decisione sono il medico e il paziente”.
Tra le raccomandazioni che i 16 membri della Commissione hanno formulato, una riguarda il fatto che non esiste ancora uno studio nazionale sulle diverse decisioni mediche nel fine vita (sedazione, uso massiccio di oppiacei, sospensione dei trattamenti), così come manca ancora una “informazione sufficiente” su quanto prevede la legge. Ci sono state “numerose iniziative d’informazione da parte di attori non governativi” , ma bisogna che “le autorità prendano iniziative o sovvenzionino iniziative terze”.

Si indica che tutti coloro che fanno un percorso in ambito sanitario (medici o paramedici) dovrebbero obbligatoriamente accedere a corsi di formazione sulle cure del fine vita così come dovrebbe essere disponibile una “brochure informativa” che spieghi la legge sull’eutanasia, quella sui diritti dei pazienti e quella sulle cure palliative. Si “deplora” che non si sia risolta la complessità procedurale della dichiarazione anticipata di eutanasia e del suo rinnovo, cosa che resta “un ostacolo” per i cittadini. Infine, dato il numero crescente di casi di eutanasia bisognerebbe predisporre un documento di registrazione elettronico per i medici che devono fare le dichiarazioni di eutanasia, in modo da semplificare la raccolta e l’analisi dei dati e dare più soldi anche alla Commissione, che lavora in grande parte su base volontaria.

Sarah Numico

SIR, 28 luglio 2018