A cosa serve leggere? La risposta del “povero idiota” di Dostoevskij

By 26 Agosto 2018Cultura

Al’annuale Summer School dell’associazione “Il mondo parla”, in collaborazione con Diesse e l’Istituto Luosi di Mirandola, si è esaminato il romanzo “L’idiota“.

Quali significati non visibili ad uno sguardo superficiale racchiude la storia del principe Myškin, di cui si parla ne L’idiota di Dostoevskij, finito di scrivere a Firenze nel 1869 e che già stava uscendo a puntate su una rivista russa? Giunto a Pietroburgo in treno da Varsavia, dopo aver trascorso quattro anni in Svizzera a curare una malattia che provoca tremiti e convulsioni, il giovane erede di un casato di cui è l’ultimo rappresentante si definisce “un povero idiota” dimostrando tuttavia, nel corso del romanzo, una sensibilità del tutto particolare. Tornato in patria povero e vestito di un solo misero mantello, il principe si arricchisce dell’umanità altrui e trasforma con la compassione i personaggi con i quali entra in rapporto. Chi è e cosa rappresenta?

Non è certo la prima volta che ci si interroga di fronte a simile capolavoro. Ha continuato a farlo un gruppo di docenti convenuti a Sestola, sull’appennino modenese, per l’annuale Summer School curata dall’associazione “Il mondo parla”, in collaborazione con Diesse e l’Istituto Luosi di Mirandola. Le giornate di formazione si sono avvalse, come da sei anni a questa parte, delle lezioni della professoressa Tat’jana Kasatkina, membro dell’Accademia delle Scienze Russa, coadiuvata da Elena Mazzola, traduttrice e ricercatrice.

Il piano di lavoro proposto è stato contrassegnato da una sorta di patto tra le relatrici e la cinquantina di corsisti presenti (tra di loro anche insegnanti giunte appositamente dalla Russia): per leggere il testo occorre il cambiamento della posizione del lettore che per comprendere ciò che è nascosto tra le righe deve mettersi in ascolto, cercando di non sovrapporre al testo le proprie impressioni più immediate. Solo una sana epochè, fatta di silenzi e riletture, può permettere di cogliere qualcosa dell’immenso mondo di simboli e rimandi nascosto sotto la superficie di una vicenda che di per sé è già altamente intricata. Sarebbe forse il caso di dire “implicata”, in quanto il principe è un personaggio che si muove poco, attirando però attorno a sé una intera società ed allacciando legami con tutti.

Ruotano attorno al giovane malato di mal caduco anzitutto l’amico/nemico Rogožin e quindi le due bellissime donne rivali Nastas’ja, pallida e consunta dalla vita, e Aglaja, la figlia minore del generale Epancin. Dipendono dal principe anche altri personaggi, come l’arrivista e spregiudicato Gavrila, che nelle prime pagine attribuisce a Myškin la coscienza di una missione da svolgere, e i tanti giovanissimi che gli si stringono attorno: Ippolit, Kolja, Vera Lebedeva. Lo stesso principe d’altra parte è come un bambino, insidiato però da Rogožin e conteso dalle due rivali. Solo grazie ad un lavoro attento sul testo, da soggetto a soggetto, è stato detto al corso, è possibile inoltrarsi nel mistero di Dostoevskij per cogliere i due piani della trama.

In qualche modo fa da discrimine e tramite tra le due dimensioni del racconto il dipinto “Il corpo di Cristo morto nella tomba” di Holbein il Giovane (1521), una copia del quale fa mostra di sé nella casa di Rogožin: “Quel quadro! Esclamò d’un tratto il principe, quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno”. Infatti ad un “primo” sguardo il Cristo sembra veramente morto. E morto Cristo, tutto è finito. Ma ad un “secondo” sguardo che non cede alla tentazione del già saputo e si spinge a scrutare i particolari, il Cristo di Holbein è l’inizio della Resurrezione, infatti le dita della mano destra si stanno muovendo e la testa del Signore è percorsa da una energia che sta per farla ruotare verso lo spettatore. Il dipinto colpì profondamente lo stesso Dostoevskij, in visita a Basilea dove è conservato. Colpisce ancora oggi, e la sua duplicità ci riporta all’idiota, al suo ruolo nel romanzo e alle ripercussioni che il romanzo può avere sulla vita di ciascuno di noi, lettori distanti nel tempo, ma vicini nello spazio in cui riaccadono i fatti descritti davanti ai nostri occhi.

È possibile intendere la storia del principe come quella di un ingenuo, proiettato suo malgrado entro le affettazioni dell’alta società russa di metà Ottocento, insidiata dalla minaccia portata dagli esclusi, i malati di nichilismo, soprattutto giovani. C’è però un altro modo di guardare il personaggio e il suo mondo. Se si approfondiscono i segnali disseminati dall’autore seguendo il metodo di lettura suggerito, comprensivo del dialogo tra docenti, si percepisce continuamente che in Myškin e nei principali soggetti dell’opera agisce un intreccio tra due nature. La natura alta, tesa alla resurrezione della carne, e la natura bassa, che guarda solo alla perfezione del corpo, si mescolano continuamente. Questo intrico è il terreno della discesa del principe tra gli umani del suo tempo, un groviglio dal quale risulta toccato.

Tuttavia, egli porta qualcosa che non corrisponde né a un potere più forte né ad una scaltrezza mondana, ma solo a simpatia per l’umano a tal punto da essere incerto tra le due donne rivali. Alla fine del racconto confessa di amarle tutte e due. Un amore di altra natura rispetto alla semplice passione di Rogožin o alle calcolate misure di Gania.

In questo senso, L’idiota di Dostoevskij contiene una delle più belle definizioni di Cristianesimo mai espresse dalla letteratura: “la nozione di Dio come nostro vero padre e la gioia di Dio davanti all’uomo come gioia del padre davanti al figlio suo”. Il principe si abbassa per elevarsi, si immischia per salvare, si annulla per tracciare con gli uomini e le donne una storia nuova. Questi pochi spunti, tra gli innumerevoli emersi dal corso, fanno intendere, forse, che lavorare su Dostoevskij è allo stesso tempo un impegno e una occasione di cambiamento personale.

Il corso ha insegnato un metodo, non una tecnica. Rimane perciò vero, pensando a un simile compito da svolgere con i propri alunni nella scuola, magari non sullo stesso testo, ma su altri con lo stesso criterio, che la lettura di opere letterarie non solo è fondamentale per la crescita di una coscienza della realtà, ma soprattutto occasione per un coinvolgimento di esistenze che sono tutte richiamate non a misurarsi con lo specchio della propria istintività, ma invitate a guardare a uno scopo più alto.

Fabrizio Foschi

www.ilsussidiario.net, 03 agosto 2018