Cosa sono i ‘dark pattern’ che controllano la nostra vita online

By 26 Agosto 2018Attualità

Una guida agli imbrogli che le aziende usano online per convincerci a fare sempre quello che vogliono loro e come difendersi.Il design dell’interfaccia (o UI, User Interface) è una delle discipline che da diversi anni a questa parte contribuisce profondamente alla nostra vita online, rendendo più intuitiva e scorrevole la navigazione e l’utilizzo di servizi più o meno fondamentali. Uno degli elementi fondamentali della UI è la presenza di un utente, il quale è il soggetto al centro della progettazione poiché si tratta di colui che usufruisce del servizio e deve trarne beneficio.

È ovvio che progettare un’interfaccia senza tenere conto di chi la utilizzerà è un suicidio: una cattiva UI può determinare la morte per abbandono del prodotto, semplicemente perché il prodotto sarà il più delle volte inutilizzabile. All’interno di questa dinamica, però, c’è una corrente di pensiero più maliziosa: quella composta da chi decide volontariamente di progettare male un’interfaccia al fine di portare o obbligare l’utente a compiere determinate azioni, che il più delle volte avvantaggiano proprio chi eroga il servizio.

I dark patterns, chiamati così per la prima volta da Harry Brignull nel 2010, sono elementi dell’interfaccia accuratamente disegnati e combinati fra di loro per confondere l’utente, con il fine di portarlo a compiere azioni non desiderate oppure di scoraggiarlo a prendere decisioni che potrebbero danneggiare l’azienda. Esempio banale: vi arriva una newsletter per email ma non c’è traccia del tasto “disiscriviti”

Ancora, per vedere un dark pattern in azione basta fare così: aprite il vostro account Amazon e provate a cancellarlo, io ho provato e vi assicuro che non è per niente semplice: dopo vari tentativi e una decina di passaggi (nessuno dei link su cui ho cliccato menzionava la parola “cancellazione”) sono riuscita a trovare una mail a cui scrivere per fare richiesta. Questa è la beffa finale: Amazon non ti permette di eliminare l’account automaticamente, la richiesta viene gestita da un operatore.

Harry Brignull, ricercatore e UX designer statunitense, ha cominciato a raccogliere tutti i dark patterns su darkpatterns.org a scopo divulgativo. L’esempio appena citato si chiama Roach Motel: una situazione in cui è molto semplice infilarsi, ma da cui è estremamente complicato uscire.

Moltissime aziende ricorrono a queste tecniche ed è altamente probabile che ognuno di noi si sia trovato in una situazione del genere: caselle di mail piene di newsletter moleste da cui è estremamente complicato cancellarsi o un sovrapprezzo sul viaggio che stiamo acquistando che ci viene imposto in modo apparentemente obbligatorio (Ryanair sto parlando proprio te).

Avete presente quando prenotate un volo con Ryanair e tutto sommato di scegliere il posto non ve ne frega nulla? Ecco.

Brignull ha denominato questo pattern “Misdirection”: gli elementi grafici sono volontariamente disegnati in modo da distogliere l’attenzione dell’utente da alcuni elementi, in modo da favorire un comportamento specifico. Lo fa Ryanair, ma anche Sephora nella sua newsletter.

Altrettanto comune e psicologicamente fastidiosa è la pratica del “confirmshaming” che Brignull definisce come “l’atto di convincere l’utente a scegliere di fare qualcosa,” spiega. “L’opzione per rifiutare il servizio è frasata di modo che l’utente proverà una certa vergogna nel farlo, e l’uso più comune di questa tecnica è sfruttato per convincere le persone a iscriversi a delle mailing list, e lo si trova spesso quando si tenta di uscire da un sito o quando si viene sommersi di popup di vario tipo.” Esiste anche un Tumblr dove vengono raccolti tutti i casi più estremi di confirmshaming.

La dark UX (o anche asshole design, come amano chiamarla su Reddit) si basa principalmente sul ribaltamento di basilari teorie di psicologia usate in ambito visivo, come ad esempio la Teoria del Carico Cognitivo Pertinente (ovvero la nostra capacità di risparmiare memoria di lavoro memorizzando degli schemi di comportamento che tendiamo a ripetere, dando per scontato l’output e ignorando piccole “modifiche” al percorso che possono essere sfruttate per ingannarci).

Il risultato è un’interfaccia fastidiosa e difficile da usare, disseminata di trappole cognitive che ci richiedono una soglia di attenzione estremamente alta durante la navigazione. A proposito, vale la pena ricordare qui vale la pena ricordare che secondo uno studio svolto in Canada nel 2015, Microsoft ha rivelato che la soglia di attenzione media per gli umani è crollata dai 12 secondi di inizio secolo ad appena 8 oggi, probabilmente perché siamo obbligati al multitasking.

La soglia di attenzione media per gli umani è crollata dai 12 secondi di inizio secolo ad appena 8 secondi oggi, probabilmente perché siamo obbligati al multitasking.

L’aspetto più preoccupante della diffusione di pratiche di dark UX è che proprio le grandi aziende a cui affidiamo le nostre informazioni tutti i giorni — e di conseguenza da cui dovremmo pretendere un approccio etico — sono le prime a sistematizzare questi trucchi per influenzare pesantemente le scelte degli utenti.

Ryanair e Amazon per primi, seguiti da LinkedIn che ha perso una causa da 13 milioni di dollari a causa di pratiche di raccolta dati piuttosto sporche, passando per Tumblr, che obbliga l’utente a spuntare interminabili liste per non ricevere più newsletter o impedire ai propri dati personali di finire nella mani di aziende terze, arrivando a Microsoft, che ha ammesso di aver forzato un po’ troppo la mano con quell’aggiornamento di Windows 10 che nessuno voleva, obbligando decine di migliaia di utenti a passare al nuovo sistema operativo nonostante l’esplicita negazione del consenso. Più o meno tutte le grandi tech companies a un certo punto e per un qualsiasi motivo hanno provato a ostacolarci.

Oltre ad avere un’impatto diretto sulle nostre scelte la dark UX viene utilizzata anche nell’ambito ormai tristemente noto delle fake news per creare una sensazione di falsa affidabilità della fonte. Lo spiega molto bene Kelsey Campbell-Dollaghan in The Year Dark Patterns Won, “Anche i dettagli delle interfacce usate da Facebook e Google tradiscono gli utenti: camuffando ogni URL con le stesse identiche vesti, tutte queste aziende legittimano la diffusione di menzogne attraverso il design,” un po’ come il caso del fu Giornale/Giomale.

Conoscere queste tecniche è uno dei modi migliori per evitarle e per riprendere il pieno controllo della nostra attività online, oltre a darci gli strumenti per fare advocacy e ottenere maggiore trasparenza durante la navigazione. Un esempio lampante è l’introduzione, grazie alla GDPR, del diritto di accesso e portabilità dei dati, che obbliga le organizzazioni a rendere facilmente accessibili e leggibili i dati personali all’utente che desiderasse farne richiesta.

La dark UX può sembrare una fastidiosa tecnica da venditori di fumo, ma se sistematizzata, come tante grandi compagnie hanno cominciato a fare da tempo, può diventare un vero e proprio sistema di coercizione dell’utente.

Probabilmente una mail di spam in più nella casella della posta non ci dà troppo fastidio, ma cedere informazioni private anche quando non vorremmo o non riuscire a trovare il modo di cancellare il nostro account potrebbe diventare problematico.

L’unica soluzione? Conoscere bene il nostro nemico e – perché no – divertirci, aiutando Brignull ad aggiornare la sua Hall of Shame.

Antonella Di Blasi

www.vice.com, 31 luglio 2018