La complessità dell’eutanasia

Quando si pongono le grandi domande sulla vita e la morte, spesso ci rifacciamo ai credo fondamentali sui diritti assoluti e la libertà dell’individuo. Questo vale in particolare per la domanda se una persona debba essere in grado di morire in un momento scelto da lei. Le esigenze e il sentire dell’individuo sono visti come avere la priorità sopra e oltre altre preoccupazioni di carattere morale.

Ma queste assunzioni di fondo che caratterizzano un tale individualismo liberale sono sbagliate? L’argomento fautore delle libertà civili a favore dell’eutanasia e del suicidio assistito è attraente alla superficie, ma, una volta che lo si è messo più a fondo in questione, i suoi fondamenti e le sue implicazioni destano più che qualche riserva.

Il doppio standard dei fautori delle libertà civili

L’ex senatrice dell’Australia del Sud, Amanda Vanstone, all’inizio di luglio, ha messo bene in evidenza l’argomento fautore delle libertà civili del singolo individuo: «Non si dovrebbe essere in grado di togliere la vita a un’altra persona. Ma la tua vita è tua». Questa frase esemplifica il credo liberale delle libertà civili. Tuttavia, la maggior parte delle persone non lo applica in maniera coerente.

Applicheremmo lo stesso modo di pensare a un adolescente vittima di bullismo? Oppure a un testimone di Geova che rifiuta una trasfusione che gli salverebbe la vita? O a persone che sostengono le loro famiglie e hanno perso il lavoro e il senso di vivere? È ragionevole ritenere che ogni morte che sia il risultato di queste circostanze rappresenti qualcosa di tragico, davanti alle quali sussiste per noi come società un’obbligazione a cercare di impedirle. Allora, ci potremmo chiedere perché permettere e facilitare le morti o i suicidi di persone anziane o malati terminali?

Sofferenza e libertà sono, generalmente, le risposte preponderanti a questa domanda. L’argomento fautore delle libertà civili si concentra sulla libertà; ossia, che le persone dovrebbero essere in grado di controllare le loro proprie vite e di evitare il soffrire. È chiaro che nessuno ha un controllo completo sulla propria vita e può evitare ogni sofferenza. Ma dovremmo essere in grado di evitare una sofferenza non necessaria?

Il mondo accanto

Nel dare risposta a questa domanda, l’argomentazione fautrice delle libertà civili dell’individuo incappa in alcuni problemi di fondo. Inavvertitamente essa indebolisce libertà e individualismo, da un lato, e, dall’altro, si trasforma fondamentalmente in qualcosa che pone gli altri in una situazione di obbligazione.

Con il suicidio assistito non si tratta solo di vedersi «data una scelta». C’è tutto un sistema che sarebbe necessario creare fatto di ricercatori e produttori farmaceutici, ospedali, dottori, personale infermieristico, avvocati, politici e nuclei familiari, che sono tutti coinvolti nella facilitazione di questa scelta. Dovremmo tenere in considerazione la libertà di tutte queste persone per facilitare tale scelta?

L’idea che qualcuno possa obbligare il resto di noi a legittimare o facilitare la sua morte è anch’essa ingenua. Quali potrebbe essere le conseguenze inaspettate nel creare e mantenere tutte queste attività che circondano il suicidio assistito? Come tutto questo potrebbe intaccare o cambiare la nostra libertà?

Un tale sistema produce delle conseguenze che saranno portate da quelli che rimangono vivi, non da coloro che sono morti. Queste conseguenze includono, generalmente, cambiamenti nel rapporto medico-paziente, nel sistema sanitario e legale, e anche una negligenza rispetto al sistema di cure palliative. Include anche un’alta possibilità di abusi che costringono o portano alla morte di morenti o anziani che non volevano morire.

Cedere potere sulla vita, l’enigma per lo stato

Basandosi su dati inerenti regimi esistenti in materia di eutanasia e suicidio assistito, il presidente della Commissione parlamentare neozelandese sull’eutanasia, S. O’Connor, ha affermato che «è molto difficile vedere come potrebbero darsi tutele sufficienti per proteggere effettivamente persone vulnerabili in Nuova Zelanda. E questa è stata anche l’esperienza oltremare. Probabilmente tutto si riduce alla semplice questione “di quanti errori sarebbe pronto ad accettare in merito il parlamento”».

Vi sono poi anche trasformazioni basilari su come vita, morte e speranza sono configurate e costruite in una società. Questi cambiamenti riguarderanno il modo in cui gli anziani o i morenti anziani percepiscono sé stessi, in particolare coloro che si sentono posti sotto pressione o sono privi di supporto alla fine della loro vita. Inoltre, tutto questo manda anche un chiaro segnale a chiunque sulla vita e la sofferenza; cosa che ha portato, in alcuni paesi, a un’espansione di eutanasia e suicidio assistito per quanto concerne i giovani o coloro che si trovano in condizioni di difficoltà.

Nel suo intervento Vanstone ricorre anche a Dio per supportare la sua posizione fautrice delle libertà civili, affermando che Dio non sarebbe troppo interessato e preoccupato per l’eutanasia e che non vorrebbe che degli esseri umani controllino la vita della gente. Questa è una povera interpretazione di Dio.

Per i cristiani Dio è profondamente interessato a ciascuno di noi e per il nostro bene. Questo interesse e attenzione non riguarda il «controllo» delle nostre vite, ma ci chiama a rispettarle profondamente e a viverle in pienezza. Questo significa che chiunque ha il diritto alle migliori cure mediche per alleviare il suo dolore – cosa che il nostro sistema sanitario può fare con un alto livello di efficienza se viene amministrata la cura e la terapia adatta. Questo non significa necessariamente un prolungamento della vita.

Significa anche non cercare di avere controllo assoluto sulla propria vita o su quella di un’altra persona. Uccidere o assistere qualcuno che uccide se stesso vuol dire prendere controllo assoluto sulla vita. Per lo stato autorizzare questo tipo di controllo sulla vita di una persona è qualcosa di inedito e significa aprire alla possibilità di abusi approvati statalmente.

Una benedizione inattesa

Inoltre, mettere mano alla cesura della vita significa mancare momenti potenziali di auto-rivelazione e opportunità per la cura e la solidarietà da parte di altri, soprattutto a livello familiare. Ricordo che quando mia nonna stava morendo, sebbene fosse un tempo difficile, la nostra occasione di mostrare amore e cura per lei come famiglia è stata una benedizione inaspettata.

Eutanasia e suicidio assistito non sono così semplici come sembrano. Gli argomenti fautori delle libertà civili, da ultimo, non sono in grado di confrontarsi e farsi carico della complessità della vita, della libertà e dell’amore.

Joel Hodge (docente di teologia presso l’Australian Catholic University a Melbourne)

www.settimananews.it 27 luglio 2018