Un figlio e molto altro. Flavia, l’aborto rifiutato, il piccolo G.

Era ancora minorenne, Flavia, quando rimase incinta. Rimase turbata e piena di paure. Come dirlo ai genitori? La situazione economica familiare era a dir poco disperata. Stefano, il fidanzato, appena qualche anno in più, non ne voleva sapere di quel figlio che veniva a turbare i suoi progetti. Unica soluzione, l’aborto. Flavia si ritrovò contro il padre e la mamma. Sola, confusa, depressa, tentava di far sentire la sua volontà. Inutilmente. Troppo debole, troppo fioca per essere ascoltata.

Fu fatto tutto nel giro di pochi giorni, con uno zelo degno di miglior causa. Documenti, appuntamenti, permessi. Tutto era pronto quella mattina. “L’intruso” sarebbe andato via. Si ritornava a vivere. Flavia piangeva, si disperava, cercava di suscitare la pietà dei suoi. Niente da fare. In fondo era così giovane, avrebbe dimenticato in fretta quell’incidente di percorso, pensavano. Il suo fidanzato le aveva promesso di ritornare con lei se si fosse liberata dall’ingombro. Una cosa di routine, in fondo, come estirpare un’antipatica verruca. La banalità del male. E Flavia si arrese. O, almeno, così apparve a chi le voleva bene. Sfinita, stanca di soffrire e di lottare, fu accompagnata in ospedale. Continuava a invocare aiuto. Pregava. Piangeva. Pensava: i problemi erano tanti, davvero, ma non era quella la soluzione.

In clinica Flavia incontrò Daniele, un nostro volontario, amante della vita e dell’Autore della vita. Un uomo buono, paziente, che ha imparato a conoscere il cuore umano, le sue paure, le angosce, le speranze. Ma, soprattutto, che sa bene che la maggior parte degli aborti dei poveri potrebbe essere evitata se questa nostra ipocrita società venisse incontro ai loro bisogni. Daniele intuisce. Cerca di avvicinare Flavia. Non è facile. Grazie all’aiuto di Daniele e delle parrocchie cui fa riferimento sono nati negli ultimi anni almeno un centinaio di bambini destinati all’aborto. Cose che difficilmente si dicono, si scrivono, si raccontano. Quante vale la vita di un essere umano? Quanto dovremmo essere disposti a rischiare, a pagare, per strapparla alla fogna e farle contemplare l’azzurro del cielo? Daniele, naturalmente, non sa che Flavia, per poche settimane, è ancora minorenne. L’avvicina con garbo, le parla, le offre un opuscoletto. «Parla, Signore, che il tuo servo ascolta».

La potenza della preghiera. Quando Daniele, Gianna, Stefania, Briana, Maria vanno in “missione”, tanti credenti, a casa, pregano. Non tutti sono contenti di quella presenza, ma la loro bontà, il rispetto che hanno per tutti, gli aiuti concreti che offrono finiscono con l’intenerire anche i più duri.

Flavia entra in clinica. Tutto è pronto. Viene stesa sul lettino. Ancora un poco e tutto sarà finito. Quel che succede nel cuore di questa ragazza coraggiosa e bella non lo sapremo mai. Chiama a raccolta tutte le sue povere forze, scende, scappa via. Non vuole rinunciare a quel figlio. Già lo ama. Daniele le ha dato il coraggio di fare la sua scelta, e contro il parere di tutti torna a casa. I giorni che la separano dalla maggiore età passano in fretta. La famiglia pian piano accetta. Un’altra vittoria della vita sulla morte. Un altro essere umano strappato alla morte all’ultimo momento. Noi eravamo felici.

Scrissi di lei, raccontai la sua storia. “Avvenire” la pubblicò come editoriale. Un signore che non conosco promise e inviò un aiuto con il quale abbiamo assistito Flavia per tutto il tempo della gravidanza. Pochi mesi fa è nato G., un bambino stupendo. Un capolavoro che solo Dio sa creare. Un essere destinato a dare vita ad altre vite. Un uomo per il quale Gesù Cristo è morto. Pochi giorni fa Flavia lo ha portato in chiesa, me lo ha deposto tra le braccia. L’ho guardato con commozione, stupito da tanta bellezza. Che opera d’arte.

Flavia non era sola, con lei, a fare da custode al bambino, c’era Stefano, il suo giovane papà. Grondava di orgoglio e di gioia. «Vuoi darlo a me?», gli chiedo scherzando. Mi sorride. Capisce. «No, padre, guai a chi lo tocca…». A casa anche i nonni sono euforici per l’arrivo del piccolo. Mi ritorna in mente Chesterton, uno scrittore che non smetto mai di leggere: «L’ avventura suprema è il nascere. È allora che cadiamo improvvisamente in una splendida e sorprendente trappola.

È allora che vediamo davvero qualcosa che non abbiamo mai sognato prima… La vita è sempre un romanzo. La nostra esistenza può smettere di essere un canto, può smettere persino di essere uno splendido lamento, ma è pur sempre una storia. Nell’incandescente alfabeto di ogni tramonto si legge ‘segue nel prossimo numero’». Grazie, Flavia.

Maurizio Patriciello

Avvenire.it,  23 settembre 2018

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-figlio-e-molto-altro