Aborto. Diciamoci tutta la verità senza ingannare le donne

Il 22 maggio 1978, cioè quarantaquattro anni fa, il Parlamento Italiano approvò la legalizzazione dell’aborto con la legge 194. E, dal quel drammatico giorno della storia della nostra repubblica, 6.292.828 (dati delle Relazioni del Ministro della Salute sulla attuazione della legge ) di “futuri bambini” furono uccisi con l’autorizzazione dello Stato. Inoltre, ai numeri ufficiali, dobbiamo sommare quelli sconosciuti dell’abortività clandestina e le morti provocate dalle pillole abortive. Non possiamo scordare che ogni anno sono vendute 380mila confezioni di pillole, che con varie modalità bloccano il concepimento o evitano l’impianto dell’ovulo fecondato nell’utero materno. Ciò significa, che migliaia di futuri bambini pur non essendo nati, non sono registrati ufficialmente come aborti.

 Rischi per la donna

I “paladini dell’aborto”, sempre più aggressivi, inneggiano a questa strage come segno di civiltà di un popolo e, vogliono farci credere che la tematica sia unicamente religiosa, quindi un diritto di uno stato laico, mentre l’atto dell’aborto chiama in causa TUTTI, cioè l’umano, anche in base alle evidenze scientifiche riguardanti l’inizio di una vita. Ha affermato papa Francesco: “Il problema dell’aborto non è un problema religioso: noi non siamo contro l’aborto per la religione. No. E’ un problema umano e va studiato dall’antropologia. Studiare l’aborto incominciando dal fatto religioso è scavalcare il problema poiché c’è la questione antropologica sull’eticità di far fuori un essere vivente per risolvere un problema. Questa è la discussione. Io non permetto mai che si incominci a discutere il problema dell’aborto dal fatto religioso. No. E’ un problema antropologico, è un problema umano” (26 agosto 2018).

I “paladini dell’aborto”, inoltre, nascondono, occultano e offuscano la sofferenza della donna e i rischi fisici e psicologici che deve affrontare sottoponendosi all’interruzione volontaria della gravidanza. Poiché, essendo onesti intellettualmente,  vogliamo tutelare anche la sua mamma, che a volte subisce violente pressioni affinchè abortisca, non sorretta dallo Stato come richiesto dalla legge 194/78 (art. 5). Per questo, ricordando la tragica giornata di quarantaquattro anni fa, vogliamo riflettere sui rischi fisici e psicologici che l’aborto comporta per la donna.

Rischi fisici

Il 27 aprile 2022 nella sala “Caduti di Nassirya” del Senato è stato presentato il dossier “Aborto: dalla parte delle donne” zeppo di riferimenti bibliografici, dati e statistiche,  da dove apprendiamo che oltre 1.400, secondo dati sottostimati, sono le donne che ogni anno, in Italia, subiscono danni fisici immediati oltre quelli incalcolabili che si manifestano nel tempo (danno cervicale, perforazione della parete uterina, infertilità, aborti spontanei ricorrenti, malattie autoimmuni fino al cancro al seno…) come conseguenza dell’aborto.

Rischi psichici

L’aborto, inoltre, implica alla donna, inestimabili sofferenze e incommensurabili devastazioni psicologiche avendo reciso un legame profondo e ancestrale, oltre che una relazione intensissima tra madre e figlio instaurata fin dal concepimento. Avviene quanto accade di fronte alla morte di una “persona cara”. Si spalanca una ferita profonda e permanente che raggiunge l’apice di fronte alla morte di un figlio sia piccolo sia adulto. “E’ come se il tempo si fermasse e si apre una voragine che inghiottisce il passato e anche il futuro”(Papa Francesco, 24 giugno 2015). Per questo, un notevolissimo numero di donne, si chiedono insistentemente e disperatamente: “dov’è il mio bambino?”. E, ovviamente, sono insufficienti le banali affermazioni: “non pensarci più”, o “dimentica”, oppure “la vita continua”. E’ la cosiddetta “Sindrome Post-Abortiva” che “ferisce” circa il 60% delle donne che hanno interrotto la gravidanza. Può manifestarsi immediatamente dopo l’aborto oppure presentarsi a distanza di mesi o di anni. La dott.ssa C. Baccaglino, psicoterapeuta, ha equiparato l’IVG a una “mina” che dopo essere stata innescata è gettata nell’oceano. “Questa mina – afferma Baccaglino – può rimanere inattiva per svariati anni oppure esplodere dopo brevissimo tempo, può ovviamente anche non esplodere. Però una ‘piccola’ mina può affondare anche una grossa nave! Uscendo dall’esemplificazione, la ‘mina’ cioè l’aborto, vaga nel ‘mare’ che è l’inconscio, l’ostacolo su cui può detonare è la percezione dell’interruzione stessa. Infatti, la donna può rimuovere, può anche negare, mediante meccanismi di difesa, quanto è accaduto, però può anche recuperare la percezione cosciente dell’interruzione avvenuta, evidenziando il bisogno di elaborazione del lutto” (Il Timone, 8/2019, pg. 27).

Dello stesso parere è la dott.ssa B. Foa, psicologa clinica e counselor, che nel testo “Dare un nome al dolore. Elaborazione del lutto per l’aborto del figlio” (ed. Effatà) alla domanda: “Come si manifesta lo stress post aborto?”, così risponde: “Per quello che ho potuto constatare, la donna dopo l’intervento abortivo non rimane più la stessa. Necessariamente si deve incassare un colpo enorme: un trauma. Il trauma è tale che si vive una sorta di schizofrenia tra due diverse rappresentazioni del sé: l’immagine che si aveva della propria persona prima dell’evento aborto, e l’immagine nuova di sé, che non corrisponde più a quella precedente all’aborto, e che è, di fatto, quella reale. La donna, dopo aver compiuto una scelta decisiva, pensa, erroneamente, di poter andare avanti come se l’evento aborto non fosse mai accaduto. Ma la coscienza, prima messa a tacere, si rifà viva. Infatti è proprio la morte del figlio che rende la donna consapevole del fatto che in precedenza il bambino era vivo; e che era un bambino, non un girino” (pg. 86).

Anche a Simona Ventura, conduttrice televisiva e showgirl che abortì in giovane età, la ferità “rimase aperta” per decenni. “Ho avuto il primo rapporto sessuale a 19 anni e sono rimasta incinta e ho abortito. Feci quel gesto ed è rimasta una ferita sempre aperta. Lui (il mio compagno) era un amore, ma non l’ha mai saputo, non gliel’ho mai detto. Perché? Perché era una scelta mia e non era un suo diritto saperlo. Ma quella decisione mi ha procurato delle conseguenze psicologiche per anni ed è stato molto difficile superarle” (Il Messaggero.it, 26 giugno 2018).

Da ultimo, non possiamo scordare i dati scientifici presenti in numerosi studi internazionali che testimoniano che la sindrome post-abortiva non solo procura profonde depressioni ma anche pensieri suicidi. Tra i molti ricordiamo La ricerca dell’Elliot Institute for Social Sciences Research di Springfiel (Illinois – USA),  che giunse alle seguenti conclusioni. -Il 90% delle donne che hanno abortito soffre danni psichici nella stima di sé; -il 50% incomincia o aumenta il consumo di bevande alcooliche e/o quello di droghe; -il 60% è soggetta ad idee di suicidio spesso legate a date speciali: anniversario dell’aborto, data presunta del parto…; il 28% ammette di aver tentato di suicidarsi; il 52% ha rancore o avverte sentimenti di odio nei confronti di chi gli ha “consigliato l’aborto”.

L’equipe Suicide anonymous di Cincinnati (Ohio – USA), coordinata da M. Uchmann, si occupò per due anni e mezzo di oltre 4.000 tentativi di suicidi di donne; oltre la metà erano reduci dall’aborto. E, Lo studio STAKE, condotto per quattordici anni in Finlandia, arruolando tutte le donne che avevano interrotto la gravidanza, mostrò in queste una mortalità tripla e un tasso di suicidiarietà sette volte superiore alle partorienti.

E’ “boicottata” la consapevolezza delle donne.

Da quanto affermato fin qui possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che si vuole boicottatare la consapevolezza delle donne sull’incidenza dell’aborto sulla loro salute; cioè non si comunica loro cosa è l’aborto e cosa può provocare.

A coloro che presentano l’opportunità di abortire come positivo per le donne, scordandosi che potrebbero pagare sulla loro pelle le conseguenze, magari per tutta la vita, chiediamo l’ onestà intellettuale di smetterla di propagandare la loro ideologia mortifera su persone inconsapevoli. Amare, tutelare e salvaguardare la donna significa raccontarle cos’è l’aborto e le conseguenze fisiche e psicologiche che rischia, oltre che farle conoscere chi può accompagnarla perché eviti questo atroce atto.

La conferenza stampa di presentazione del dossier “Aborto: dalla parte delle donne” si è conclusa con la testimonianza di Francesca Siena: “La maggior parte delle donne incontrate in questi anni (più di 800) non sapeva assolutamente della possibilità di ottenere sostegni concreti per portare avanti la gravidanza. Per loro l’aborto non era una “scelta”, ma l’unica via d’uscita da una situazione difficile. Proprio per questo motivo la percentuale di donne aiutate che poi va ad abortire è veramente bassissima (si parla del 1, massimo l’1,5%” (Presidente del Cav “Ardeatino” di Roma).

 Don Gian Maria Comolli