Abbiamo iniziato la settimana scorsa in occasione del Giubileo dei Governanti a fermare la nostra attenzione sulla Comunità Politica. Dopo aver esaminato il concetto di Autorità Politica, oggi porremo l’attenzione sui FONDAMENTI BIBBLICI DELLA POLITICA.
La “signoria” di Dio
La Bibbia accenna per la prima volta la politica quando il popolo di Israele reclamò di essere governato da un re. Afferma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: «il popolo di Israele, nella fase iniziale della sua storia, non ha re, come gli altri popoli, perché riconosce soltanto la signoria di Jahvè. È Dio che interviene nella storia attraverso uomini carismatici, come testimonia il Libro dei Giudici. All’ultimo di questi uomini, Samuele, profeta e giudice, il popolo chiederà un re» (377).
Dunque Samuele, l’ultimo dei giudici d’Israele e il primo dei profeti, attorno al 980 a. C. unse Saul, un beniamita, come primo re di Israele (cfr. 1 Sam. 10,1-8). Ma Saul sarà un sovrano empio e infedele a Dio che gli annunciò, tramite Samuele, che lo avrebbe deposto. A lui subentrò Davide, che nonostante il ragguardevole governo, si innamorerà di Betsabea, moglie di un suo luogotenente, commettendo peccato.
Alcuni dei re d’Israele furono sapienti e ponderati, altri empi, inadeguati e maldestri, trascinando il popolo in enormi sventure: dalle guerre alle deportazioni in esilio.
Ma, nonostante queste vicissitudini, notiamo profilarsi in filigrana la figura del Messia, infatti «negli oracoli messianici c’è attesa per il tempo escatologico, cioè la figura di un re abitato dallo Spirito del Signore, pieno di sapienza e in grado di rendere giustizia ai poveri» (Compendio 378). Ciò si realizzerà in Gesù Cristo, come Lui stesso proclamò nella sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc. 4,18-19).
Gesù e l’autorità politica
Gesù di Nazaret rifiutò il messianismo politico. Ciò fu esplicitamente confermato dal Cristo nel colloquio con Ponzio Pilato che sostenne nelle ore della passione (cfr. Gv. 18,33-39). Il governatore romano rivolse al Messia due interrogativi: uno relativo alla veridicità della sua regalità e l’altro inerente alla tipologia.
Alla prima domanda rispose affermativamente; alla seconda replicò: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei, ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv.18,36).
Ebbene, il Signore Gesù, si proclamò re, puntualizzando che il Regno di Dio è già presente nel mondo, ma escluse ogni contaminazione del Suo Regno con la potenza, il dominio e il prestigio, caratteristiche dei governanti di tutti i tempi. Inoltre, il Cristo, nel suo ministero pubblico non contestò mai l’autorità del suo tempo. Emblematica fu la diatriba relativa al tributo (cfr. Mt. 22.17-21) sorta a seguito di un ambiguo interrogativo dei farisei e degli erodiani: «Dicci il tuo parere. È lecito o no pagare il tributo a Cesare?».
Il Messia adottò una singolare modalità di risposta. Esige una moneta e dichiarò: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare», rammentando la lealtà dovuta allo Stato. Usufruendo alcune prestazioni organizzate e gestite dallo Stato, forse non sempre efficienti, il cittadino ha il dovere dell’onestà nei confronti delle Istituzioni contribuendo alla retribuzione di ciò che è erogato; quindi è doveroso il tributo a Cesare.
Ma, Cristo, indicò anche un altro passaggio: «Date a Dio quello che è di Dio». Con questa affermazione il Maestro rammentò una verità imprescindibile. Solo quando Dio è centrale nella nazione, i doveri societari assumono la corretta misura e proporzione. Estromesso l’Assoluto, come ammoniva lo scrittore e filosofo russo F. Dostoevskij, tutto è legittimo; nessun dovere è obbligatorio e nessun diritto è garantito.
Questa osservazione del Messia è ricca anche di contenuti spirituali non menzionando unicamente la distinzione tra la sfera di autorità di Cesare e quella di Dio, tra l’ambito politico e quello religioso, ma rammentando che esclusivamente Dio può esigere tutto dall’uomo.
Le prime comunità cristiane
La lealtà allo Stato, come dichiarò Gesù nella diatriba del “dare a Cesare quel che è di Cesare”, è richiamata in alcuni passaggi delle Lettere che san Paolo e San Pietro indirizzarono alle prime comunità cristiane.
La sottomissione all’autorità, però, non deve essere vissuta passivamente bensì giustificata dalle ragioni di coscienza (cfr. Rm. 13,5) poiché il potere costituito risponde all’ordine stabilito da Dio (cfr. Compendio 380).
L’autorità politica, composta da uomini, organizza, coordina e tutela i cittadini e, quindi, anche il cristiano che appartiene ad una comunità, oltre che riconoscersi totalmente uomo del suo tempo, ha il dovere di rispettare l’autorità pur difendendo e custodendo con la dialettica i valori e principi irrinunciabili. In questa ottica san Paolo esplicita maggiormente i rapporti nei confronti dell’autorità nella Lettera ai Romani (cfr. Rm. 13,1-7), mentre san Pietro esorta i cristiani a rimanere «sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore» (1 Pt. 2,13).
In entrambi i casi, sottolinea il Compendio, «si tratta di un’obbedienza libera e responsabile ad un’autorità che fa rispettare la giustizia, assicurando il bene comune” (n. 380).
Il Compendio inoltre, sollecita a pregare per i governanti, «una preghiera raccomandata da san Paolo durante le persecuzioni, che indica esplicitamente ciò che l’autorità politica deve garantire: una vita calma e tranquilla, da trascorrere con tutta pietà e dignità» (Compendio 381).
È questo un consistente supporto che i cittadini donano a chi gestisce il bene comune, come più volte richiamato da Papa Francesco nelle sue omelie mattutine pronunciate dalla Cappella di Casa Santa Marta, fino a definire «un peccato da portare in confessione non pregare per i governanti» (18 settembre 2017).
Pregare, anzitutto, affinché i politici si pongano alcune domande. Ha affermato il Santo Padre: «ogni uomo e ogni donna che assume responsabilità di governo deve porsi queste due domande: io amo il mio popolo per servirlo meglio? E sono umile da sentire le opinioni degli altri per scegliere la migliore strada? Se costoro non si fanno queste domande, il loro governo non sarà buono» (16 settembre 2013).
Pregare, dunque, affinché Dio, il Governatore della Storia, doni agli eletti dal popolo “la saggezza per governare”.
Concludendo, il nostro pensiero si rivolge a Salomone, il terzo re d’Israele che governò per circa quarant’anni (970-930 a. C.), che conscio dei i suoi limiti e della sua mediocrità di fronte ad un incarico oneroso, invocava l’Assoluto: «Dammi la sapienza, che siede accanto a te in trono, perché io sono uomo debole e dalla vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi. Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito» (cfr. Sap. 9,1-18).
Don Gian Maria Comolli (fine seconda parte)
Prima parte: l’Autorità Politica