ABORTO IN IRLANDA – Soldi e ideologia. Perché i politici irlandesi hanno voluto il referendum sull’aborto

Il primo ministro Leo Varadkar si dichiarava pro life e oggi vota sì. Perché? C’entrano i voti, l’opinione pubblica ma anche il vil denaro.

«Mi considero pro-life nel senso che accetto l’idea che il bambino non nato è un essere umano che ha diritti. Non posso, pertanto accettare il punto di vista secondo cui si tratta di una semplice questione di scelta. In ogni gravidanza sono coinvolte due vite. Per tale ragione, come molte persone in questo paese, non sono favorevole all’aborto su richiesta». Quale ministro della Sanità irlandese ha pronunciato queste parole quattro anni fa? Per caso uno dei 31 deputati e senatori del Fianna Fáil che, in dissenso col segretario del loro partito, hanno dichiarato il loro voto per il No al referendum per l’abrogazione dell’emendamento costituzionale anti-aborto? Oppure qualche vecchio combattente del governo di coalizione fra Fine Gael e laburisti guidato da Garret FitzGerald che indisse il referendum del 1983 che introdusse l’ottavo emendamento? Niente affatto: sono parole pronunciate in parlamento nel 2014 da Leo Varadkar, allora ministro della Sanità nel governo di coalizione fra Fine Gael e laburisti presieduto da Enda Kelly, oggi primo ministro (o, come dicono gli irlandesi, Taoiseach) del governo che ha indetto il referendum per l’abrogazione dell’ottavo emendamento e che ha steso una bozza di legge sull’aborto legalizzato estremamente permissiva. E che oggi dice: «L’ottavo emendamento è troppo rigido e impone una legge molto dura all’Irlanda e alle donne irlandesi. L’ottavo emendamento dice che il diritto alla vita del non nato è uguale a quello della madre, pertanto il diritto alla vita di un feto che ha solo pochi giorni di gestazione è uguale al diritto alla vita di vostra madre, vostra sorella o delle vostre amiche e colleghe di lavoro». Alla vigilia del voto Varadkar ha affermato che la vittoria del Sì spazzerà via «l’eredità di vergogna che pesa sulla società irlandese» e il «marchio di infamia sulle donne costrette a recarsi all’estero, spesso in segreto, per mettere fine alle loro gravidanze». Questo è lo stesso uomo che nel 2010, già portavoce di governo, posto di fronte alla questione delle donne che andavano all’estero ad abortire, rispondeva: «Continuamente ci sono persone che vanno all’estero a fare cose che in Irlanda non sono legali. Dobbiamo impedire alla gente di andare a Las Vegas? Dobbiamo impedirgli di andare ad Amsterdam? Ci sono cose che sono illegali in Irlanda e noi non impediamo alle persone di andare all’estero per usufruire di quelle cose».

Non è da meno di Varadkar il ministro della Sanità Sam Harris, responsabile della bozza di legge che permetterebbe di abortire su richiesta fino al terzo mese, per motivi di salute fisica e psichica della madre fino al sesto mese e per patologie del concepito a prognosi infausta fino al momento della nascita. Il ministro che oggi dichiara che l’ottavo emendamento è collegato «ai periodi più bui della nostra storia» (quelli della Magdalene Laundries, pensionati per ragazze madri simili a prigioni per le condizioni di vita) è la stessa persona che nel 2008 si rivolgeva ai pro-life irlandesi chiedendo il loro voto con lettere di questo tenore: «Sono felice e orgoglioso di assicurarvi che sono pro-life (…). Siate certi del mio sostegno. Ho bisogno dei vostri voti per le elezioni di venerdì per essere messo in condizione di sostenere queste posizioni in parlamento»,

Che cosa ha fatto cambiare idea a questi e ad altri meno importanti esponenti politici irlandesi? Varadkar sostiene che siano stati i “casi pietosi” di cui è venuto a conoscenza. Naturalmente pochi credono a questa spiegazione: nel 2014 il Toaiseach era già un uomo di 35 anni e per di più un medico, impossibile che fosse poco informato sulla materia. In Irlanda ci sono due scuole di pensiero sull’argomento: quella di chi denuncia l’opportunismo e la spregiudicatezza dei politici senza ideali, e quella di chi evidenzia rapporti di interesse con grandi finanziatori dell’industria farmaceutica e delle lobbies antinataliste. Le due scuole di pensiero confluiscono nella persona di Greg Daly, giornalista del periodico Irish Catholic. «Perché Varadkar ed Harris hanno cambiato opinione? Perché vanno dove tira il vento, annusano la direzione che sta prendendo l’opinione pubblica e fingono di essere loro a volere il cambiamento e a guidarlo. A loro interessano i voti, e li vanno a cercare dove credono di aver capito dai sondaggi che si trovino. Poi c’è la questione internazionale: la politica irlandese si sta americanizzando, l’agenda politica nazionale riflette l’andamento del dibattito politico e culturale statunitense. I nostri leader vogliono fare bella figura quando vanno all’estero, vogliono apparire moderni e progressisti, e legalizzare l’aborto fa parte di questa operazione di immagine». Greg Daly però è stato anche uno dei primi giornalisti che hanno approfondito il caso dei fondi provenienti dalla Open Societies Foundation di George Soros illecitamente incassati da Amnesty International Irlanda, Abortion Rights Campaign e Irish Family Planning Association per finanziare le loro campagne per la legalizzazione dell’aborto in Irlanda.

Il mutamento antropologico in direzione dell’individualismo libertario che i politici rincorrono per non perdere consensi non spiega tutto. Ci sono questioni di vil denaro, di conflitti di interesse, di consorterie e congreghe di personaggi che indossano molti cappelli contemporaneamente. Il caso più eloquente è quello di Tony O’Brien, direttore del ministero della Sanità nominato nel 2012 dopo una lunga carriera nella sanità pubblica che lo aveva visto consigliere capo per l’attuazione della Strategia nazionale di controllo oncologico e direttore dei programmi di screening, in particolare quelli del tumore al seno e del tumore della cervice uterina. Proprio questo lo ha messo nei guai: nell’aprile scorso il ministero della Sanità ha dovuto ammettere che 206 donne hanno sviluppato il cancro della cervice dopo che in un programma gratuito di screening promosso dal ministero erano state dichiarate sane. Le donne non erano state avvisate che una revisione dei test aveva successivamente portato alla conclusione che erano difettosi, e i loro risultati potevano essere falsi negativi. Sono fioccate le richieste di dimissioni (oltre che le cause contro il ministero), che sono andate ad aggiungersi a quelle che l’opposizione aveva già chiesto per un altro affare nel quale O’Brien risultava coinvolto: da gennaio era entrato a far parte del Consiglio d’amministrazione della grande azienda farmaceutica americana Evofem con la carica di direttore non esecutivo e un compenso di 65 mila dollari annui e opzioni di acquisto di azioni fino a 450 mila dollari. Il problema è che Thomas Lynch, il presidente della Evofem che ha assunto O’Brien, è anche direttore dell’Ireland East Hospital Group e del Mater Hospital a Dublino, che negoziano servizi e tariffe col sistema sanitario irlandese. Il primo ministro Varadkar e il ministro della Sanità Harris hanno difeso strenuamente O’Brien, che avevano confermato alla guida della sanità quando il loro governo era entrato in carica, affermando che era la persona più adatta a condurre un’indagine interna sulla vicenda dei test oncologici difettosi e che non c’era alcun conflitto di interesse fra la sua attività come direttore della Sanità e la carica nel consiglio di amministrazione di una multinazionale farmaceutica americana. Varadkar ed Harris avevano esplicitamente autorizzato O’Brien ad assumere la carica presso Evofem mentre restava direttore della sanità irlandese. Fatto sta che a maggio nel giro di una settimana O’Brien si è prima autosospeso dal consiglio di amministrazione di Evofem e poi dimesso dalla carica di direttore della sanità, che sarebbe comunque scaduta alla fine di luglio. Nel frattempo è stata ritirata fuori una notizia già data dall’Irish Independent un anno fa senza troppi clamori: Thomas Lynch aveva promosso un evento di fundraising in forma di “cena segreta” a favore di Varadkar, alla vigilia della sua nomina a primo ministro, presso l’esclusivo Stephen’s Green Hibernian Club. Con questo precedente che prima o poi sarebbe saltato fuori, è stupefacente la faccia tosta con cui Varadkar aveva dato il permesso a O’Brien di lavorare per la Evofem e poi lo aveva difeso da chi ne chiedeva le dimissioni.

Ma questo non è tutto. Prima di dedicare la sua carriera alla sanità pubblica irlandese, Tony O’Brien era stato un dirigente delle agenzie private per il controllo delle nascite: direttore esecutivo della Irish Family Planning Association dal dicembre 1991 all’agosto 2002 e direttore esecutivo della Family Planning Association britannica dal maggio 1995 all’aprile 1996. Ora, si dà il caso che la Evofem sia una delle più grandi produttrici mondiali di pillole abortive e di apparecchiature per l’aborto per aspirazione, che da anni collabori con la International Planned Parenthood Federation da sempre è interessata a introdurre una legislazione pro-aborto in Irlanda, e alla quale è affiliata la Irish Family Planning Association diretta per 11 anni da O’Brien. In Irlanda il capo di Evofem raccoglie donazioni per Varadkar, il quale indice un referendum per introdurre l’aborto legale nel paese. Ma guarda un po’… Commenta Greg Daly: «Un tempo si diceva che in Irlanda non c’era libertà perché preti, politici e poliziotti facevano congrega, controllavano tutto e soffocavano gli scandali; oggi sono solo cambiati due dei tre componenti della camarilla: grandi aziende americane e gruppi di pressione per i “diritti riproduttivi” al posto di poliziotti e preti».

Rodolfo Casadei

Tempi.it, 26 maggio 2018