QUESITO – Vocazioni di «Speciale Consacrazione» a servizio dei sofferenti

Quando le suore operavano in ospedale era molto meglio. Le suore avevano una dedizione al reparto e una continuità di presenza che le rendevano un punto di riferimento costante. Gestivano con grande oculatezza il materiale e consentivano risparmi significativi. Erano severe e attente al personale e soprattutto alla cura dei pazienti. Ma con amarezza, oggi, possiamo unicamente affermare: «C’ erano una volta». Qual è la sua opinione?  Gaia.

Tra le molteplici vocazioni troviamo quella di consacrazione al Signore Gesù nella sanità collaborando con Lui nella cura del sofferente, accogliendo e accompagnando caritatevolmente la vita debole e fragile (cfr Pontificio Consiglio della Pastorale degli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori Sanitari, Roma 1984, 4). Questa vocazione permette alla persona di fare propria l’esperienza del Cristo misericordioso, terapeuta e salvatore.

Nel corso dei secoli, una moltitudine di donne e di uomini, abbracciarono questa vocazione servendo con generosità, e immani sacrifici i sofferenti, dediti a servizi umili e non gratificanti umanamente, fedeli fino alla morte. Ad esempio, le suore nei reparti degli ospedali, erano presenti silenziosamente di giorno e di notte. Oggi, le vocazioni religiose, soffrono un accentuato periodo di crisi. Di conseguenza, Ordini Religiosi e Congregazioni, abbandonano i servizi sanitari ed ospedalieri, e anche coloro che gestiscono proprie strutture socio-sanitarie, faticano a perseverare in questo servizio. Eppure «il mondo della salute è, oggi più che mai, il crocevia dove convergono le grandi speranze e i grandi problemi della società; l’ambito dove si realizzano gli eventi fondamentali dell’esistenza umana, lo scenario dove si presenta la “serietà” della vita e dove si ripercuotono gli stili della vita e della cultura. Lavorare nel campo della salute significa essere attivamente presenti dove tutto rinvia alla radice» (A. Brusco – L. Biondo -a cura di-, Religiose nel mondo della salute, Camilliane 1992, 78). Papa Benedetto XVI al Policlinico San Matteo di Pavia approfondì il concetto di ospedale affermando che è un luogo sacro, «dove si sperimenta la fragilità della natura umana, ma anche le enormi potenzialità e risorse dell’ingegno dell’uomo e della tecnica al servizio della vita. La vita dell’uomo!»(22 aprile 2007). Fra’ Pascual Piles, già Priore Generale dell’Ordine Ospedaliero di san Giovanni di Dio, presentò l’ospedale come un Tempio; «un luogo consacrato, sacro, perché parlare di dolore, di vita e di morte, ci fa entrare nel sacro, nel misterioso e definitivo, nel profondo della nostra realtà». Evidenziò, inoltre, un profondo rapporto tra celebrazione dei sacramenti, particolarmente l’Eucarestia nel tempio-Chiesa e nel tempio-Ospedale: «Quando celebriamo l’Eucarestia rendiamo presente il Mistero Pasquale di Gesù Cristo in quel che ha di sacrificio e di morte, ma, allo stesso tem­po, con la sua apertura alla Resurrezione. ( … ) Possiamo definire ogni processo di malattia come una liturgia, in cui si celebrano, non come sa­cramento, bensì esistenzialmente, la sofferenza, la morte e la Risurrezio­ne. In ogni intervento chirurgico, ad esempio, c’è una sofferenza fisica e morale. Chiunque passi per la sala chirurgica cade in un sonno paragonabile al sonno della morte, benché sia presumibile un risveglio. Nel momento in cui ci si risveglia, si sperimenta la sensazione della sofferenza, parte ne­gativa del Mistero Pasquale, poi però giunge la risurrezione con il recu­pero progressivo, con l’uscita dall’ospedale, che ci porta a vivere nuova­mente e con animo rinnovato il senso della vita. Processi meno vistosi, ma simili, possono avvenire in diverse malattie» (L’ospedale: tempio dell’umanità sofferente, in «Dolentium hominum», 31, 104, 1996).

In Italia sono presenti circa 100mila suore; 10mila impegnate nella sanità e nell’assistenza. Negli anni passati operavano in ospedale, oggi prevalentemente servono i sofferenti sul territorio,  oppure come assistenti spirituali nelle cappellanie ospedaliere. Per questo, le suore, sono segni di amore, manifestando la tenerezza di Dio. «Sono l’emblema delle opere di misericordia corporale e spirituale: il segno di una carità testimoniata nelle opere e pagata di persona» (Religiose nel mondo della salute, op. cit., 21). Ciò che le caratterizza è la personificazione dei sentimenti, dei gesti e degli atteggiamenti di Cristo buon Samaritano, rivissuti nella sensibilità femminile, e concretizzati nella tenerezza e nella disponibilità, oltre che con un’opera profetica di coscienza critica. Scrisse un malato: «Quando le infermiere entrano nella mia camera sono preoccupate di fare alcune operazioni. Quando la suora entra rivolge particolare attenzione al mio essere, cioè alle mie paure, ansie e preoccupazioni e mi sta ad ascoltare (…). Quando le infermiere escono da questa camera e da questo reparto e tornano a casa hanno molte cose da pensare e da occuparsi. Quando la suora si allontana dalla mia camera e torna in convento, lei pensa ancora a me…, e mi porta nel cuore, nelle sue preoccupazioni, nella sua preghiera…» (Religiose nel mondo della salute, op. cit., 72).

Alle religiose esprimiamo la nostra ammirazione e il nostro ringraziamento, invocando il Signore Gesù affinché non privi la nostra società e la nostra sanità di questi segni di amore e di speranza.

don Gian Maria Comolli