Perché è sbagliata la task force sulle fake news (ammesso che esista)

Non vorremmo che la censura colpisse chi avanza critiche all’operato del Governo e dei suoi “esperti”.

Il  4 aprile i media hanno riportato la notizia della costituzione, da parte del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri on Andrea Martella, dell’Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19 sul web e sui social network.

Abbiamo cercato dettagli sul sito della Presidenza del Consiglio, ma non abbiamo trovato nulla. Andando alla voce Dipartimento per l’informazione e l’editoria – della quale il sottosegretario Martella ha la delega politica – si scopre che esso sarebbe ancora guidato dall’on Luca Lotti: è propagandare fake news dire che non sembra un sito particolarmente aggiornato? Non si rintraccia alcun elemento informativo né azionando il motore di ricerca della Presidenza del Consiglio, né procedendo a una verifica senza motore di ricerca.

Il primo dato obiettivo è che viene istituita una task force contro le fake news (che fatica parlare in italiano!), e dopo due giorni manca una fonte ufficiale dalla quale attingere news. È un rilievo troppo formalistico? Tutt’altro: la pubblicazione sul sito del Governo permetterebbe di leggere il decreto di costituzione della nuova struttura, e quindi:
a) di comprendere quali sono le norme di riferimento, remote e prossime, in virtù delle quali l’Esecutivo ha istituito la task force (pure questo è un dato non formale);
b) di capire con esattezza quali saranno i compiti e i limiti operativi del nuovo organismo, e in che modo esso interferisce con realtà che nell’ordinamento italiano affrontano già la questione;
c) di verificare se prima che la nuova struttura inizi a lavorare non sia il caso che il Governo si confronti col Parlamento: nel momento in cui entrano in gioco le “news” – da verificare se e in che misura “fake” -, vi è infatti qualche disposizione costituzionale con cui fare i conti, in primis l’art. 21. In proposito è assai strano che l’Ordine dei Giornalisti non abbia avuto finora nulla da dire;
d) infine, di avere conferma dei suoi componenti (una parte dei quali è stata già resa nota da informazioni non ufficiali).

Alla ricerca di ragguagli non forniti dalle fonti ufficiali, la Repubblicaci informa che “scopo(della task force) è quello di combattere le cattive informazioni, che potrebbero indurre a comportamenti scorretti, i quali a loro volta rischierebbero di indebolire le misure di contenimento del contagio in questa fase così delicata”, cioè quella della pandemia Covid19.

Qui dobbiamo intenderci. Il Centro studi Livatino ha dedicato al tema un seminario il 23 marzo 2018 (Fake news: il difficile equilibrio fra libertà e verità; cf. in particolare la relazione del prof. Alessandro Candido). Su questo sito da circa 20 giorni, con cadenza quotidiana, esaminiamo i profili di quadro e di dettaglio delle “norme di emergenza”, varate a partire dalla dichiarazione dello stato di emergenza, il 31 gennaio scorso: la verifica che facciamo prende in esame differenti aspetti della normativa che si sta formando, nella consapevolezza che essa mai sarebbe entrata in vigore se il contesto non fosse di eccezionalità gravità.

Dunque, è l’emergenza che giustifica la compressione di diritti costituzionalmente fondati, in vista del bene superiore della salute di chi vive sul territorio italiano. Ma, proprio perché la limitazione di diritti esiste ed è forte, va presidiato con cura il confine fra le disposizioni – e le correlative privazioni per i cittadini – che sono assolutamente necessarie, e le disposizioni che invece questa necessità non lasciano intravvedere. Con la task force in questione il limite viene superato, per le ragioni che seguono.

La materia delle fake news non è sconosciuta al nostro ordinamento. Almeno tre realtà – due costituenti articolazione dello Stato, una di natura privatistica -, presidiano il terreno:
a) la prima è la Polizia postale e delle comunicazioni, che dal gennaio 2018, in virtù di un provvedimento del Capo della polizia, d’intesa con l’allora ministro dell’Interno Minniti, ha istituito il c.d. “Red button”, all’interno del sito commissariatodips.it. Il sito informa che “grazie ad esso il cittadino, giovandosi di un’interfaccia web semplice ed immediata, capace di guidarlo passo dopo passo nel più corretto utilizzo dell’applicazione, sarà in grado di comunicare alla Polizia l’esistenza di contenuti assimilabili a fake news. Attivata la procedura, la Polizia postale verificherà, per quanto possibile, l’informazione, con l’intento di indirizzare la successiva attività alle sole notizie manifestamente infondate o apertamente diffamatorie. In particolare, verrà presa in carico da un team dedicato di esperti del Cnaipic(Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche) che, in tempo reale (…) effettuerà approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici”. A conferma della tempestività e dell’efficacia di questo lavoro, in piena emergenza Covid19 e a essa in qualche modo collegata, l’ultimo intervento in ordine di tempo è avvenuto tre giorni fa, allorché (citiamo dal sito della Polizia postale) “gli specialisti (…) rinvenivano una massiva campagna di spamming mediante la diffusione di messaggi pubblicitari inerenti un presunto concorso a premi indetto dal noto marchio di birra Heineken. Il concorso, citando lo slogan “Resta a Casa e bevi 4 barili di birra gratis”, riportava i loghi della nota casa produttrice di birra. Nel messaggio veniva inoltre indicato un link che reindirizzava a un portale contenente un sondaggio caratterizzato da domande a risposta multipla. Alla fine del sondaggio l’utente veniva avvertito di aver vinto 4 barili di birra Heineken. Per completare la vincita doveva cliccare sulla finestra che reindirizzava a una pagina contenente un falso messaggio di errore del sistema operativo con la proposta di download per correggerlo con fantomatici aggiornamenti. Dall’analisi della pagina è emerso che si tratta di un FAKE e che la stessa non è in alcun modo collegata al famoso marchio. Inoltre il download proposto per correggere gli errori di sistema potrebbe inoculare malware e ransomware  per sottrarre dati personali o infettare il dispositivo elettronico.”
b) La seconda è l’Autorità giudiziaria. Le disposizioni penali tutelano in vario modo da notizie deliberatamente false: a solo titolo di esempio, è sufficiente ricordare gli articoli 658 e 656 del codice penale, che sanzionano rispettivamente – dalla rubrica di ciascuno di essi – i reati di “procurato allarme presso l’autorità” e di “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”; è stata depenalizzata, ma resta comunque sanzionata per via amministrativa, la condotta di cui all’art. 661 cod. pen. consistente nell’“abuso della credibilità popolare”. La tutela è prevista sul piano finanziario, con l’art. 501, che punisce il “rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”. Per non parlare delle norme di carattere generale che sanzionano le condotte di ingiuria (art. 594 cod. pen.), di diffamazione (art. 595) di minaccia (art. 612), e così via, o quelle introdotte dalla c.d. legge Mancino, il D.L. 26 aprile 1993 n. 122 conv. nella legge 25 giugno 1993 n. 205, riguardanti ogni tipo di discriminazione.
c) Infine ci sono i social network. In questo momento Facebook et similia, prima di permettere l’accesso in rete di notizie, effettuano una verifica di tutto ciò che rappresenta una campagna “sostenuta”, sulla scia di quell’autoregolamentazione per l’inserimento in rete di notizie già da tempo avviata.

Né l’emergenza ha eliminato la possibilità di correggere la disinformazione attraverso la verifica delle notizie stesse, ovvero col fact checking. È possibile raccogliere informazioni pubbliche e libere in rete, attraverso l’OSINT, acronimo di Open Source Intelligence, che rappresenta tutte le tecniche e gli strumenti di investigazione su fonti aperte, finalizzato a scoprire la veridicità di un’informazione e a portare alla luce quelle false. Esistono delle vere e proprie applicazioni specialistiche, come “Bellingcat” o “Maltego”, solo per citarne un paio, che consentono in poco tempo all’utente di verificare le fonti e le notizie, permettendogli di non dare per buono tutto ciò che legge. Da più authority è venuto l’invito a implementare la responsabilizzazione dei motori di ricerca e dei social, con adeguate misure di filtraggio. Senza escludere quel contrasto principe alla disinformazione che deriva dalla critica, dalla discussione e dall’educazione all’utilizzo consapevole di internet: cioè la “democrazia partecipativa” e il contraddittorio in rete, la trasparenza, il pluralismo e la tutela della libertà di espressione.
Sono quel contraddittorio e quella trasparenza che – purtroppo solo col tempo e con l’avanzare della pandemia – ci hanno permesso di considerare “fake” le iniziali “news” di una emergenza soft, che non avrebbe provocato alcuna vittima, diffuse da virologi che continuano a essere ospiti dei talk show sull’emergenza; o quelle che, a fronte di chi nei primi giorni sollecitava la totale chiusura a ingressi provenienti anche indirettamente da Wuhan e dalla regione di Hubei, proclamava che la vera emergenza era la discriminazione etnica e il razzismo; o, prima ancora della diffusione del virus, quelle che contrastavano la pratica dei vaccini, o quelle che si opponevano a interventi di respirazione artificiale, evocando l’accanimento terapeutico.

Alla fine non vorremmo che la censura della task force di Palazzo Chigi colpisse in prima battuta consulenti del Governo, o esponenti autorevoli dell’attuale maggioranza. O, con maggiore probabilità, chi avanza critiche all’operato del Governo e dei suoi “esperti”.

Alfredo Mantovano – magistrato
Daniele Onori – legal and business development specialist

7 aprile 2020

Perché è sbagliata la task force sulle fake news (ammesso che esista)