Quale società lasceremo loro?

By 13 Giugno 2020Attualità

Qualche sera fa ero ospite da una famiglia di amici che ha due figli: Beatrice di quattro anni e Lorenzo di sei che felicemente giocavano nel salotto, inconsci del “macigno” che stiamo ponendo sulle loro teste, cioè il debito che lo Stato sta accumulando, ipotecando il futuro di tre generazioni con prestiti che prima o poi andranno restituiti, e a questi si aggiungono 800 miliardi di spesa pubblica mai riqualificata.

Chi rimborserà questo debito? Certamente noi, ma soprattutto le future generazioni, le migliaia di “beatrici” e di “lorenzi”. E, allora, nasce spontanea una domanda: quali strumenti adottare per rendere più tollerabile ai nostri figli, nipoti e pronipoti la fatica del domani? La risposta è una sola. Porre accanto agli investimenti per produrre occupazione e rinnovamento una credibile politica demografica.

Unicamente riprendendo a generare l’Italia avrà un futuro sostenibile, non potendo scordare che mentre il XX secolo fu caratterizzato dal “baby boom” nonostante la recessione economica degli anni ’30 e due guerre mondiali, il XXI sarà distinto dall’invecchiamento della popolazione essendo lo standard prevalente delle famiglie il “figlio unico” o il rifiuto del figlio. Una catastrofe, poiché la maggioranza delle famiglie non riuscirà a soddisfare i bisogni che sorgeranno nella stessa, l’attuale sistema sanitario “universalistico” non reggerà e quello previdenziale si trasformerà in un miraggio. Utopia? Dai numeri non direi. Secondo i dati Istat nel 2019 solo 435mila nascite (344mila da madri italiane e 91mila da madri straniere); 14mila in meno rispetto al 2018 che già ebbe una riduzione di 6mila bebè rispetto al 2017. E, senz’altro il 2020, per la paura e l’incertezza diffusa non andrà meglio; altro che #tutto andrà bene! Numeri che impressionano maggiormente se li confrontiamo con il 1964 quando nacque il doppio dei bambini o con le 560mila nascite del 2010 . Per di più, “l’indice di natalità” per donna è del 1,29%, mentre per un equilibrio della popolazione occorrerebbe un indice di crescita minimo del 2,16%. Come se non bastasse, nel 2020 “l’indice di vecchiaia”, cioè il rapporto percentuale tra le persone ultrasettantacinquenni e gli adolescenti con meno di quindici anni, sta superando il 120%. Si comprende la gravità del dato esaminando i risultati dei censimenti degli ultimi decenni: la percentuale nel 1951 era del 40%, nel 1991 del 80%, nel 2001 del 91%, nel 2011 del 104%. Alcuni dicono: “dobbiamo avere la stessa voglia e lo stesso entusiasmo che contraddistinse i reduci della seconda guerra mondiale nella ripresa”. Pura utopia! Allora il 72% per cento della popolazione aveva meno di 45 anni, oggi questa percentuale si è ridotta al 45%. E, l’età, fa la differenza!

Questi numeri evidenziano che una Nazione che non mobilita le energie migliori per infondere fiducia nei cittadini, soprattutto ai giovani, a investire a favore della ricchezza maggiore, vale a dire Ia vita, è destinata a un lento ma inesorabile declino. Ce lo ricorda la storia come evidenziato già nel 2004 dal cardinale J. Ratzinger: “C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, sono visti come una minaccia per il presente. Ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Non sono sentiti come speranza, bensì come limitazione. Il confronto con I’Impero Romano al tramonto s’impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo; aveva esaurito la sua energia vitale” (Senza radici, Mondadori). Questo ben lo compresero anche i regimi comunisti, prima l’Unione Sovietica con Stalin che nel 1936 e nel 1944 promosse due controriforme famigliari e la Cina che nel 2012 abolì il “Programma di Controllo delle Nascite” che obbligava il “figlio unico”. E, per essere ancora più chiari, l’aggressione alla famiglia tradizionale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna che prosegue da anni e il criminale atto dell’aborto, oggi diventano ancora più problematici.

Che Italia stiamo progettando? Che Italia vogliamo lasciare a figli e nipoti, e soprattutto a quali figli affideremo la nostra Nazione? Le “beatrici” e i “lorenzi” si ritroveranno a essere la punta di una piramide sociale rovesciata, portando su di loro il peso schiacciante delle generazioni precedenti!

Mentre pensavo sento l’annuncio entusiastico del ministro alle Pari opportunità Elena Bonetti: “Il nostro paese si dota per la prima volta di una riforma ampia per le politiche familiari, per la prima volta c’è un Governo che vede le famiglie come un soggetto capace di dare un contributo fondamentale alla nostra società. L’approvazione di questa riforma è il primo atto vero di ripartenza dopo mesi difficili; assegno universale unico mensile per tutti i figli, un incremento dei servizi educativi in particolare per la fascia 0-6, una riforma dei congedi parentali per aiutare a vivere la loro autonomia. E’ una scelta di speranza e di coraggio…”. Ma il mio entusiasmo è di breve durata leggendo le principali scadenze temporali previste per l’adozione dei singoli provvedimenti attuativi: “dodici mesi dall’entrata in vigore della legge di delega, per emanare un decreto legislativo istitutivo dell’assegno universale recante il riordino e la semplificazione delle misure di sostegno economico per le figlie e i figli a carico, nonché uno o più decreti legislativi per la istituzione e il riordino delle misure di sostegno all’educazione delle figlie e dei figli”. Dunque, se tutto andrà bene, le famiglie riceveranno il mitico assegno da giugno/luglio 2021, e per entrare a regime, poiché siamo molto concreti, si giungerà alla fine del 2021.

Certamente prima di esprimere un giudizio più puntuale occorre aspettare i testi attuativi e soprattutto conoscere la cifra dell’assegno poiché le coperture scarseggiano. Ma di fronte ad un Governo che finora ha abituato gli italiani a una delusione dietro l’altra, la massima cautela è d’obbligo. Non vorremmo che questo Disegno Legge fosse un misero cerotto o resti come cantava Mina: “Parole, parole, parole… soltanto parole”.

Di una cosa il Governo si deve rendere velocemente conto. Se questo progetto non supporterà adeguatamente le famiglie, se non invoglierà “il generare”, l’Italia imploderà, si sfalderà e alla fine scomparirà.

Don Gian Maria Comolli