AVVENIRE.IT – Il caso Umbria. Roccella: «Ru486 senza ricovero? Ma così abbandonano le donne»

Sulla polemica nata dopo la decisione della Regione Umbria di cancellare il day hospital per l’aborto farmacologico interviene l’autrice del provvedimento ministeriale che nel 2010 dispose il ricovero.

Durante il lockdown è stata fortissima la pressione per avere ancora più mano libera nell’uso della pillola Ru486. Gli ospedali italiani hanno sempre garantito la possibilità di ricorrere all’aborto chirurgico, ma il coronavirus è stato spesso invocato negli ultimi mesi come “giustificazione” per rendere ancora più facili le procedure. Diverse Regioni, come la Toscana, prevedono già la possibilità del day hospital per l’aborto chimico, mentre la presidente della Regione Umbria Donatella Tesei pochi giorni fa ha deciso di rendere obbligatorio il ricovero. Una scelta rispettata dal presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini («Non la condivido, ma è legittimo» ha detto in un’intervista) ma aspramente criticata da molti altri. Sul tema interviene Eugenia Roccella, ex sottosegretario alla Salute, che nel 2010 ha contribuito a stilare le raccomandazioni ministeriali sull’aborto chimico. «La Regione Umbria – spiega – ha deciso semplicemente di rispettare la normativa vigente. L’indicazione dei tre giorni di ricovero in ospedale è stata confermata da tre pareri del Consiglio superiore di sanità e non ha valenza ideologica. L’intero processo di interruzione di gravidanza chimica dura 15 giorni: non è una cosa da prendere alla leggera».

Quali i rischi per la salute?

Il tasso di mortalità per l’aborto chimico è dieci volte superiore rispetto al chirurgico. Il dato è stato riportato da uno studio sul New England journal of Medicine mai smentito da ricerche successive. Oltre ai pesanti aspetti psicologici, si rischia la vita per infezioni ed emorragie. È facile sottovalutare gli eventi avversi e persino le morti, perché senza il ricovero ospedaliero quello che succede alle donne dopo l’assunzione dei farmaci spesso si ignora.
Alla base c’è quasi sempre una storia di solitudine…

E’ inutile continuare a parlare di “valore sociale della maternità” se poi le donne vengono lasciate completamente sole. La legge prevede che l’aborto sia preceduto da almeno una settimana di riflessione e che avvenga in strutture pubbliche, per evitare che qualcuno possa averne vantaggi economici. Usando la pillola abortiva in day hospital, la società si deresponsabilizza lasciando la donna a se stessa. E’ un metodo che tende a scardinare la 194.

Un processo di modifica delle precauzioni previste nel 2010?
Prima la pillola abortiva poteva essere assunta solo fino a 7 settimane di gestazione, il limite ora è stato spostato a 9. La Food & Drug Administration Usa ha ampliato il periodo a 10. Il follow up è fondamentale. In questo modo, invece, le donne tornano a casa, assumono la pastiglia, e può capitare qualsiasi cosa. Nessuno lo verrà mai a sapere…

Danilo Poggio

23 giugno 2020

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