APPROFONDIMENTO – Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica “Salvifici doloris”

By 4 Febbraio 2022Pillole di saggezza

PREMESSA

L’ 11 febbraio 1984 san Giovanni Paolo II pubblicò la Lettera Apostolica: Salvifici doloris, commentando la lacerante esperienza della sofferenza umana. Fu il primo documento di un pontefice che affrontò sistematicamente l’argomento.

Presentando il testo, il Papa, riassunse il significato: “Ho ritenuto opportuno e significativo nell’Anno Santo della Redenzione esortare tutti i cristiani a meditare, con più profondità e maggiore convinzione, sul valore insostituibile della sofferenza per la salvezza del mondo. Tale Lettera vuole essere di aiuto a guardare a Cristo crocefisso e accettare il ‘Vangelo della sofferenza’ con amore e coraggio nel disegno misterioso, ma sempre amoroso, della divina provvidenza. Infatti, ciò che per la ragione rimane inscindibile enigma, per la fede alla luce del Cristo morto e risorto diventa messaggio di elevazione e di salvezza” (9 febbraio 1984).

Dal Documento emergono due impegni.

-I sofferenti devono essere i “privilegiati” dalla comunità cristiana e la loro cura un impegno costante.

-Alla sofferenza umana va riservato un adeguato spazio nella catechesi e nell’ educazione alla fede.

STRUTTURA DELLA LETTERA APOSTOLICA

La Lettera è composta da 8 capitoli suddivisi in 31 paragrafi.

Nell’ introduzione si evidenzia che la Chiesa deve perseguire I’ incontro con l’uomo particolarmente “sulla via della sofferenza” essendo questa condizione inseparabile dall’esistenza della persona (cfr.: nn. 1-4): “il tema della sofferenza è un tema universale che accompagna l’uomo ad ogni grado della longitudine e della latitudine geografica: esso, in un certo senso, coesiste con lui nel mondo, e perciò esige di essere costantemente ripreso” (n. 2).

Nella seconda parte: “il mondo dell’umana sofferenza”, sono analizzati “i rapporti” tra la sofferenza e le altre dimensioni umane (cfr.: nn. 5-8).

Nella “terza parte”, il Papa, indaga sulle risposte da offrire al dolore, soprattutto quello dell’ innocente. Con questi paragrafi, san Giovanni Paolo II, corregge un opinione comune ma errata: il rapporto tra “peccato individuale” e “sofferenza” come punizione per le colpe commesse (cfr.: nn.9-13).

La “quarta parte” è intitolata: “Gesù Cristo: la sofferenza vinta dall’amore” (cfr.: nn.14-18). Il Cristo ha sconfitto definitivamente il peccato e la morte; dunque “la parola ultima e definitiva” non è loro ma del Messia. Ciò si realizzò percorrendo “un itinerario di amore”: Dio donò il suo Figlio al mondo ed Egli accettò l’atroce morte in croce.

Il contenuto della “quinta parte” è riassunto nell’intitolazione: “Partecipi delle sofferenze di Cristo” (cfr.: nn. 19-24). Il Papa, riferendosi ad alcuni brani delle Lettere di san Paolo, illustra sinteticamente “la teologia della croce e della gloria” per mostrare come si attua, anche oggi, la “partecipazione mistica” alla corporeità storica del Cristo sofferente.

La “sesta parte”, “Il Vangelo della sofferenza” (cfr.: nn. 25-31), mostra la rilevanza della testimonianza anche mediante I’ accettazione delle afflizioni personali e apostoliche. E, imitando l’esempio di Cristo, ogni uomo è invitato ad identificarsi con il “buon Samaritano” il soggetto della “settima parte” (cfr.: nn. 28-30) che indica che il Vangelo è I’antitesi della disperazione e della passività (cfr.: n.30).

L’ impegno per attenuare le afflizioni umane deve vincolare tutti, particolarmente chi opera nel settore sanitario (cfr.: n. 31).

La Lettera Apostolica è riassumibile in sei temi.

-Cos’è la sofferenza.

-Perché esiste la sofferenza.

-Cristo, mediante un gesto d’amore, presenta il significato della sofferenza.

-Il cristiano è invitato a condividere le sofferenze del Signore Gesù.

-“Vivendo” il Vangelo della sofferenza.

-“Assumendo” le caratteristiche del buon Samaritano.

Approfondiamo alcuni temi.

Salvifici doloris: “IL MONDO DELL’UMANA SOFFERENZA” (parte seconda).

La vita è continuamente ricattata dalle tribolazioni, dai pericoli e dalla morte. Malattie, calamità naturali, minacce terroristiche, violazione dei diritti della persona, errori umani, rischio di autodistruzione causata da un eventuale guerra nucleare o “Terza Guerra Mondiale” non più “a pezzi” come più volte citato da Papa Francesco, sono sempre in agguato. Dunque, nessuna esistenza o epoca storica, sfugge al dolore! Ognuno vorrebbe eliminare queste disavventure e sviluppare la sua esistenza senza intoppi poiché la sofferenza appare assurda. Di fronte a tali “illogicità” e alla quotidiana pervasa dalla fatica, dal dolore, dagli anni che scorrono velocemente, l’ uomo si interroga. Molti, come C. Bernard, affermano: “Non mi lamento di soffrire, ma di soffrire per nulla” (L. Jerphagnon, Le mal et l’esistence, Cerf, Paris 1955, pg. 139), oppure come J. Cotureau dichiarano: “Non credo in Dio. Se Dio esistesse sarebbe il male in persona. Preferisco negarlo piuttosto che addossagli la responsabilità del male” (Thomas l’imposteur, NRF, Paris 1923, pg. 78).

Il Papa, ben conscio dell’enigmaticità e dell’intangibilità del dolore, cita due considerevoli sofferenze profondamente radicate nell’umano: la “sofferenza fisica” (il dolore del corpo) e la “sofferenza morale” (il dolore dell’anima) (cfr.: n.5).

Evidenzia, poi, alcune “esperienze” di sofferenza presenti nell’Antico Testamento:

-la propria morte o quella dei figli, particolarmente i primogeniti e i figli unici;

-l’assenza di prole poichè con la propria dipartita tutto si conclude;

-la nostalgia per la Patria quando il popolo d’Israele fu esule a Babilonia;

-la persecuzione e l’ostilità dell’ambiente;

-la derisione e I’abbandono da parte degli amici e dei vicini;

-l’incomprensione della prosperità dei malvagi e dei patimenti dei giusti.

In queste pagine, anche se non citati esplicitamente, sono menzionati i vocaboli di “salute” e di “malattia” secondo l’accezione oggi più diffusa che illustreremo inseguito. Infine, salute e malattia, non sono eventi unicamente personali ma anche societari investendo le scelte della collettività e le sfide della comunione e della solidarietà (cfr.: n. 8).

Salvifici doloris: “ALLA RICERCA DELLA RISPOSTA ALL’ INTERROGATIVO SUL SENSO DELLA SOFFERENZA” (parte terza).

Alcuni interrogativi riguardanti la sofferenza: “Che senso hanno le disavventure che mi hanno colpito? Che cosa ho commesso per essere castigato? Perché Dio mi punisce così duramente?…”. Domande complesse che coinvolgono lo stesso Dio!

Un esempio, tra i più espressivi, è Giobbe il giusto tormentato da innumerevoli avversità e sciagure. Il libro di Giobbe esordisce narrando la prosperità di questo uomo giusto (cfr.: 1,1-5) che, improvvisamente, s’interrompe ed è “messo alla prova” da orrendi e molteplici dolori (privato dei beni, dei figli e delle figlie e  soggetto di gravi malattie). Immediatamente, in Giobbe, scaturisce la domanda propria di ogni uomo: “Che colpe ho commesso? (cfr.: cap. 3). Tre conoscenti tentano di convincerlo che è gravato da disavventure conseguenze degli orrendi reati da lui commessi. Tutto è consentito da Dio, assolutamente giusto, per proteggere “l’ordine di giustizia” del cosmo. Giobbe, però, contesta queste affermazioni ritenendosi una vittima innocente ma, da credente, persevera nel confidare nell’Assoluto (cfr.: 42,2-4). Il dramma più intollerabile è “il silenzio di Dio”; attende una risposta e non si dà pace finché non l’ ottiene. E questa fiducia, alla fine, è vincente! Dio rimprovera i tre conoscenti e il racconto termina affermando: “(di nuovo) possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Ebbe anche sette figli e tre figlie (…). Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni” (42,12-16). Dunque, la sua sofferenza “innocente”, deve essere accolta come “mistero”, non avendo l’uomo la capacità di penetrare con la sua miserabile intelligenza questo meandro. Il Libro di Giobbe, osserva il biblista G. Helewa, mostra che “un individuo può soffrire, e soffrire molto, senza che per questo debba essere ritenuto in qualche modo colpevole e da Dio punito” (G. Helewa, Voce: Sofferenza  –  Approccio  biblico  (A.T.),  in  AA.  VV.,  Dizionario  di  teologia  pastorale  sanitaria, Camilliane, Torino 1997, pg. 1169). Anzi, “l’autore ha voluto farci assistere ad una metamorfosi: da grande sofferente alla ricerca di Dio quale era, Giobbe si è convertito in un grande credente che ha trovato il suo Dio” (Sofferenza – Approccio biblico (A.T.), op. cit., pg. 1700).

Quindi, Dio, è il “colpevole” o il “lontano” dalla sofferenza? La Dottrina cristiana  non approva l’interpretazione che escluda totalmente Dio dall’ argomento, anche se si è concordi nel riconoscere che il Creatore non è l’origine del dolore conseguenza del peccato originale e causato da svariate situazioni, come pure non condivide la “visione dolorista” che nel passato ha mitizzato le varie afflizioni della vita. La tendenza attuale è di celebrare il pregio e la grandezza della vita e della salute. Da qui, l’obbligo morale, della tutela del proprio ben-essere, anche se, sottolinea il Papa, pure i patimenti sono impregnati di significati. Ma per intuire ciò è basilare fissare lo sguardo alla “rivelazione dell’amore divino” manifestato pienamente nell’Incarnazione.

Salvifici doloris: GESÙ CRISTO: LA SOFFERENZA VINTA DALL’AMORE” (parte quarta).

Questa parte ci indirizza alla nascita di Cristo, descritta da san Giovanni Paolo II citando il testo dell’evangelista Giovanni: “Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv. 3,16). Dio, dunque, offre al mondo il Figlio che non abolisce la sofferenza ma le conferisce un inedito contenuto. E, il Cristo, lo ha compreso pienamente, infatti nella sinagoga di Nazaret esordì leggendo un brano del profeta Isaia ed affermando che la profezia si realizzava: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con I’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc. 4,18-19). Sostengono i teologi M. Flick e Z. Alszeghy: “Cristo è il Liberatore, Cristo è il Guaritore; Cristo è colui che viene a liberare la creazione dalla servitù del peccato che I’ha coinvolta e viene a ricostruire il ‘disegno prioritario’ della creazione; Cristo è colui che assumendo la natura umana dà un significato al dolore” ( Il mistero della croce, Morcelliana, Brescia 1978, pg. 155).  Il Messia ha liberato l’uomo dalla schiavitù, dalla sofferenza e dalla malattia, ridonandogli gli equilibri della salute fisica e morale e del rapporto con Dio, con gli altri e con il creato. L’essenza della riflessione del Papa è il seguente: nel mondo sono presenti la sofferenza e il male essendosi troncato I’equilibrio tra I’uomo e se stesso, tra uomo e uomo, tra uomo e cosmo, tra uomo e Dio. Ciò è riconducibile al “peccato originale”. Spiega Helewa: “Dal racconto della creazione, traspare l’ intenzione di scagionare il Creatore e di non fare risalire, alla creazione come tale, le disarmonie che rendono penosa I’esistenza umana. L’uomo soffre perché, allontanandosi da Dio, si è procurato questa disgrazia: è espulso dal giardino, (cfr.: Gn. 3, 23) ossia non è più nella condizione di avvalersi di un rapporto integro con iI suo Creatore (…).Cedere alla lusinga del tentatore (cfr.: Gn. 3,1-7) è più che un errore mentale: è una ribellione a Dio, la hybris di una creatura che si rifiuta di gestire come tale i propri giorni. Genesi, dunque, dei mali che proliferano nella storia e pesano sull’essere umano è la tremenda realtà del peccato” (Cfr.: Sofferenza – Approccio biblico (A.T.), op. cit., pp. 1664-1665).

Cristo, assumendo il dolore e la morte, situazioni comuni a tutti gli uomini, divenne realmente “uno di noi” ma, con la sua divinità, spezzò la tragica frontiera del dolore, fecondò il soffrire, schiuse il morire all’alba della risurrezione. Da ciò scaturì “la rinnovata umanità dei figli di Dio” (cfr.: Rm. 6,6) e la “nuova Gerusalemme”, quando dalla terra rigenerata si affaccerà un “inedito cielo” (cfr.: Ap. 21,1-2) e nascerà, come da un parto sofferto, la “nuova creazione” (cfr.: Rm. 8,19-22).

Questo è l’ annuncio del cristianesimo, l’unica religione che presenta Dio coinvolto “in prima persona” nella salvezza dell’uomo. La redenzione è un gesto di amore totale poichè il Creatore liberò l’uomo “non da lontano” o dall’esterno della storia, ma “dal di dentro” e da vicino, condividendone il suo destino. Il Signore Gesù, afferma il Papa, con la croce ha mozzato il male alla radice (cfr.: n. 13). Puntualizza il cardinale G.F. Ravasi che l’esperienza del male rimane “ ‘si’  angosciante come un carcere, ma l’ingresso del Figlio di Dio in questo carcere segnò una svolta: esso non è sbarrato per sempre, in un’immanenza che si consuma in se stessa, ma viene aperto per un ‘oltre’ ” (G.F. Ravasi, Sulle tracce di un incontro. Soglie del mistero per credenti in cammino, San Paolo, Milano 2011, pg. 81).

Don Gian Maria Comolli

(prima parte)