EDITORIALE – Il caso Lambert e il nostro Paese

La drammatica vicenda di Vincent Lambert, il 42enne tetraplegico francese “condannato a morte” sia dagli organismi giudiziari del suo Paese che dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per il semplice fatto di “essere malato”, anche se per il momento “l’esecuzione” è stata sospesa dalla Corte di Appello di Parigi dopo l’ennesimo ricorso degli anziani genitori che si sono battuti in tutte le sedi nazionali e internazionali perché il loro figlio “possa continuare a vivere”, interroga profondamente anche il nostro Paese dove alcuni stanno lavorando silenziosamente e alacremente affinchè “l’eutanasia di Stato” divenga legge.

Mi riferisco al progetto di legge denominatoRifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia” presentato al Parlamento dall’Associazione Luca Coscioni e attualmente all’esame delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali della Camera e al DDL del senatore Matteo Mantero (M5S). Pure alcuni politici del M5S, dal Presidente della Camera Roberto Fico (21 febbraio 2019) al Ministro della Salute Giulia Grillo, si sono dichiarati favorevoli: “La legge sull’eutanasia è assolutamente prioritaria per questo Paese: abbiamo aspettato tanto e ora c’è anche una sollecitazione dalla Corte costituzionale; non so cosa serva ancora per spingere il Parlamento a legiferare”. Infine, il segretario del PD Nicola Zingaretti, il 10 maggio ha preso una posizione ben precisa rispondendo ai microfoni di Corriere tv a una domanda di un ascoltatore: “Penso e spero che si faccia una legge sul fine vita che preveda anche l’eutanasia”, scordando che la legge sul fine vita esiste già, le cosidette DAT, e a completare l’opera manca unicamente “l’eutanasia di Stato”.

Perché dobbiamo opporci a questo nuovo attentato alla dignità della vita umana che vorrebbe sottrarre l’uscita dalla vita al destino trasferendola alla libertà del singolo?

Esaminiamo alcune motivazioni.

1.Il rapporto medico-paziente

La legittimazione dell’eutanasia comprometterebbe irreparabilmente “la fiducia”, elemento essenziale del rapporto medico-paziente e “l’alleanza terapeutica”.

Ogni medico, intraprendendo l’esercizio della professione si vincola nel promuovere l’ alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e nella condivisione dei principi a cui si ispira l’arte medica. La legittimazione dell’eutanasia introdurrebbe in questo rapporto comprensibili situazioni di diffidenza, di sospetto e di sfiducia in una relazione sempre più complessa.

2.Il “tradimento” della professione sanitaria

Recitando il Giuramento di Ippocrate, il medico giura di operare per il maggior interesse del paziente, come pure di perseguire la difesa della vita, la tutela fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza cui ispirerà con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni atto professionale.

L’eutanasia è in totale opposizione agli obblighi deontologici e al vertice dei principi etici in sanità che racchiude il fine primario della professione medica: il principio di beneficenza (o beneficialità).

Il dovere primario del medico è promuovere il bene del paziente ponendolo al centro di ogni servizio, accogliendolo e rispondendo olisticamente ai suoi bisogni. Inoltre, in termini di contratto societario, la collettività ha demandato al medico unicamente il compito di assistere e curare il malato.

Legalizzare l’eutanasia stravolge il significato della professione sanitaria, trasformando il medico da servitore della vita a collaboratore della morte, attribuendogli un ruolo improprio. Recentemente il presidente nazionale dell’Ordine Nazionale dei Medici, Filippo Anelli, ha dichiarato: “Da sempre la morte è il male per i medici. La consideriamo il nemico numero uno. Come sanitari siamo chiamati a migliorare la vita, abbiamo nel Dna il rispetto della dignità, l’alleviare, il venire incontro. Non abbiamo mai pensato di trasformare questo paradigma usando la morte per alleviare le sofferenze” (16 maggio 2019).

3.Le attese del malato

La maggioranza dei medici che operano in reparti di oncologia o in hospice, e anche la nostra esperienza professionale, testimoniano la faziosità e la falsità della motivazione principale evidenziata nella richiesta di una legge che liberalizzi l’eutanasia: “il desiderio del malato terminale”, trasformando, indegnamente, questa tematica in terreno di scontro politico e ideologico. Anche la supplica di alcuni: “fatemi morire”, espressa in un momento di disperazione o in una situazione di solitudine contiene, implicitamente, un’invocazione d’aiuto più che un desiderio di morte; significa: “Occupatevi di me e alleviate il mio dolore, perché non ce la faccio più!”. Quando al malato terminale si offrono un’autentica vicinanza e un valido supporto terapeutico ponendosi accanto fino agli ultimi momenti e accompagnandolo fino alla morte, la richiesta di eutanasia scompare.

Interessante è questa osservazione del giurista A. M. Gambino: “Diverso è, invece, quando il malato opta per la scelta eutanasica per motivi esistenziali. Qui ci troviamo davanti ad una drammatica sconfitta dello Stato e della Chiesa, intesi come comunità di credenti e non credenti, che non hanno saputo dare risposte ad una richiesta di dare un senso alla propria esistenza”(Intervista rilasciata a Zenit.org il 17 novembre 2014).

4.La libertà del malato

Per il giurista e bioeticista F. D’Agostino: “Praticare l’eutanasia non è rendere omaggio alla libera volontà di una persona che chiede di essere aiutata a morire, ma sanzionare quello stato di abbandono morale e sociale, che si avrebbe il dovere – sia da parte delle istituzioni che da parte di tutti gli individui di buona volontà – di combattere strenuamente” (Bioetica. Nozioni fondamentali, pg 207).

L’eutanasia, nella maggioranza dei casi, potrebbe trasformarsi da elemento di libertà in una formidabile pressione sul malato che è libero unicamente formalmente poiché sta vivendo una condizione di totale fragilità a livello psicologico, emotivo ed esistenziale. Si pensi, esempio, alle sollecitazioni che potrebbero essere esercitare sugli anziani, sui depressi e sui disabili, facendogli “pesare” i loro costi per la società.

5.Le motivazioni dei famigliari

Accompagnare un famigliare nel periodo terminale della vita affinchè “muoia con dignità” è un atto d’autentico amore! Questa visione si scontra con quella dei fautori dell’eutanasia che la giustificano, travisando vergognosamente la nobile affermazione del ”morire con dignità”, insinuando nei parenti il dubbio che procurare la morte del loro caro sia una modalità eccellente per mostrare affetto, cioè “un bene” compiuto nei suoi confronti. Per questo, a volte, implorano con insistenza i medici affinché “il loro caro non soffra più”. E così, l’eutanasia, si trasforma in una battaglia ideologica dei sani.

Non possiamo scordare che questo atteggiamento è determinato anche dall’angoscia che alcune patologie provocano nei famigliari; di conseguenza, possiamo dedurre che l’eutanasia è spesso la tentazione dei sani che temono il confronto con la propria sofferenza e la propria morte per liberarsi anticipatamente da un dolore che li coinvolge. Ma eliminare il malato non è la modalità più opportuna o il modo migliore per rimuovere una propria sofferenza, ma unicamente l’escamotage per evitare il confronto con la nostra condizione umana.

Se lo sconforto è ovvio, è incomprensibile una scelta di morte per sbarazzarsi velocemente “da qualcosa” che invece è “qualcuno”. Denunciava il cardinale C.M. Martini: “ ‘Mostruosa’ appare la figura di un amore che uccide, di una compassione che cancella colui del quale non si può sopportare il dolore, di una filantropia che non sa se intenda liberare l’altro da una vita divenuta soltanto di peso oppure se stessa da una presenza divenuta soltanto ingombrante”(6 dicembre 1989).

La risposta attesa dal malato terminale è il conforto dei parenti nella ricerca dei significati della malattia; il loro supporto per affrontarla con dignità poichè mentre i dolori fisici sono efficacemente sedati, resta terribile la sofferenza psicologica nel presagire l’approssimarsi della morte.

Olanda docet

L’Olanda fu il primo Paese europeo ad approvare l’eutanasia. Rileggendo la storia degli ultimi decenni di quella Nazione ci accorgiamo che “la via della morte” si aprì nel 1971 quando un tribunale assolse un medico che “aveva affrettato la morte della madre”. L’Associazione Medica, dichiarò che non avrebbe mai tollerato l’eutanasia, anche se nel 2001 la medesima Associazione, sconfessò la dichiarazione precedente e accettò “I’eutanasia per pietà” che divenne legge dello Stato. Il testo della normativa indicava da una parte la depenalizzazione dell’eutanasia come accoglienza del desiderio del paziente ma autorizzava anche il medico a sopprimere il sofferente motivato dal “miglior interesse per il malato”. Perciò, non meraviglia, che a Groningen, nel nord dell’Olanda, sorse il primo ospedale al mondo dove l’eutanasia fu lecita anche sui minori di 12 anni, oppure che tra i medici si raccontano questi episodi allucinanti.

La mentalità di morte è diventata la norma fra i medici olandesi. Conosco un internista che curava una paziente con cancro ai polmoni. Arriva una crisi respiratoria che rende necessario il ricovero. La paziente si ribella: ‘non voglio I’eutanasia!’, implora. Il medico l’assicura, I’accompagna in clinica, la sorveglia. Dopo sei ore la paziente respira normalmente, le condizioni generali sono migliorate. ll medico va a dormire. Il mattino dopo, non trova più la sua malata: un collega gliel’aveva ‘terminata’ perché mancavano letti liberi”. Oppure: “So di un malato d’Aizheimer ricoverato in una casa per non autosufficienti. Una settimana dopo la famiglia lo trova in stato di coma. Sospettano qualcosa e così lo fanno trasportare all’ospedale dove il paziente si riprende dopo l’infusione intravenosa di tre litri di liquido. Il figlio di un vecchio paziente ospedalizzato chiede ai medici di ‘accelerare il processo’, in modo che il funerale del padre possa avere luogo prima della sua partenza per le ferie all’estero già prenotate. I medici perciò gli somministrano molta morfina. Episodi del genere si raccontano come se fosse normale uccidere un paziente per compiacere i famigliari“.

E la valanga dei casi extra-legem è ormai inarrestabile. Si pensi, ad esempio, ad un’associazione di cittadini che dal 2010 si batte per l’eutanasia accessibile a tutte le persone che abbiano superato i 70 anni e si sentono semplicemente “stanche della vita”.

Approvando l’Eutanasia di Stato, domani potrebbe essere il turno del malato terminale, dopo domani del portatore d’handicap, un altro giorno degli anziani…, ingenerando in molti l’ incubo di essere trascritti in questa lunga lista di “condannati a morte”.

Ricordava il cardinale E. Sgreccia: “Quando si apre una porta, anche poco, si accetta l’idea che si spalanchi sempre di più. È un’illusione pensare di poter limitare l’eutanasia o il suicidio assistito entro confini rigidi, controllando la pratica”.

Allora, cristiani e non cristiani, sacerdoti e laici muoviamoci e facciamo sentire la nostra voce, affinchè non inizi anche in Italia questa terribile strage!

Don Gian Maria Comolli