Futuro del giornalismo: cosa ne pensano i direttori

By 12 Luglio 2019Web e Comunicazione

Il focus di In Terris per capire quale strada stiamo percorrendo.

l massmediologo Marshal McLuhan diceva che il mezzo è il messaggio. È ancora così? O la post-modernità ha sostituito la mediazione giornalistica con i social? Qual è il ruolo che giocheranno i media tradizionali in una realtà che ormai offre contenuti digitali sempre più facili da reperire gratuitamente in rete? Questa è la domanda su cui giornalisti e direttori si sono confrontati nell’evento organizzato da Forma Camera, azienda speciale della Camera di Commercio di Roma, “Le notizie nell’era digitale: quale futuro per la carta stampata?” che si è svolto nella capitale al Tempio di Adriano in piazza di Pietra, a due passi da Palazzo Chigi. In una fase complessa in cui si rincorrono le voci su ipotetiche scalate di gruppi editoriali effettuate da cordate straniere, In Terris, prendendo spunto da questo importante convegno, ha organizzato un forum sulla stampa, ascoltando direttori e giornalisti di testate nazionali, per capire quale sarà il futuro prossimo dell’informazione.

Quale strada sta imboccando il giornalismo in Italia?

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire: “Il futuro della carta stampata e, in generale, dell’informazione di qualità è legato al lavoro dei professionisti dell’informazione. Un concetto che dipende direttamente da un binomio: qualità e identità. I giornali continueranno ad esistere se saranno dei pozzi di acqua potabile dell’informazione. In un tempo di acque fangose e velenose diffuse su tutte le piattaforme, la gente ha bisogno di pozzi affidabili che aiutino a leggere la realtà, senza mistificare né inquinare lo sguardo che esercitiamo sull’attualità. Se i giornalisti saranno in grado di garantire questo, avranno ancora futuro, indipendentemente da quale piattaforma verrà letta. A me interessa lo strumento giornale. Se poi il supporto sarà cartaceo o digitale a me non interessa. Molto dipende da noi giornalisti, se continuiamo a scivolare verso una informazione aggressiva e volgare al servizio di tutti i poteri possibili, meno che al diritto fondamentale che conta: la libertà del lettore”.

Lucia Annunziata, direttrice dell’Huffington Post: “Il futuro dell’informazione è dove sta il pubblico. E il pubblico è su internet. Il nostro Paese è in ritardo per un vizio sia di natura intellettuale sia di natura sociale. Gli editori pensano che l’informazione su internet sia di serie B, mentre quella sulla carta stampata sia di serie A. Poi  associano questa idea alla convinzione che la pubblicità sulla carta stampata valga di più che sul web. Questo non è quello che penso io. Al contrario, io credo che se gli editori spostassero tutto laddove sta la maggiore quota del mercato, sarebbe uno shock enorme. La regola aurea, secondo me, è quella che si è affermata nel resto del mondo: 80% internet e 20% carta stampata. Nulla impedisce alla carta stampata di sopravvivere, ma bisogna rendersi conto di qual è la sua reale portata. In Italia ci sono siti di giornali che realizzano 3 milioni di visualizzazioni al giorno mentre il quotidiano cartaceo vende 150 mila copie”.

Don Aldo Buonaiuto, direttore di In Terris: “Tra poche settimane la nostra testata celebra i suoi cinque anni di vita. In un lustro, il panorama dell’informazione è radicalmente mutato. In queste ore sono in corso ridefinizioni di assetti editoriali a livello nazionale e internazionale. L’impegno di informare diventa sempre più un dovere etico per gli operatori della comunicazione. In Terris si adopera quotidianamente per testimoniare, attraverso il lavoro di una redazione multimediale, la propria presenza in uno scenario globale in tumultuosa trasformazione. Ciò che dico ai miei giornalisti è di non accontentarsi di descrivere l’oggi, ma di sforzarsi di immaginare il futuro attraverso l’esperienza di interlocutori qualificati e di fonti accreditate. Ci sarà sempre bisogno di un cronista e di una testata in grado di far conoscere l’attualità e di far riflettere sulle forze e sulle dinamiche che muovono una realtà sempre più “glocal”, cioè con i piedi ben piantati in terra ma con la mente aperta a nuovi scenari. Questa è la sfida per incidere sulle mutate esigenze del mercato planetario dell’informazione”.

Marco Travaglio, direttore de Il Fatto quotidiano: “Io credo che il futuro del giornalismo sia uguale al suo passato. Ci saranno altri mezzi di diffusione, altri media che, purtroppo, stanno togliendo spazio alla carta stampata. Dico purtroppo, perché la carta stampata è l’unica che garantisce approfondimento, grazie ai tempi di lettura lunghi. Per cui, si va sempre verso una progressiva superficialità dei contenuti e una semplificazione spacciata come sintesi. Ma il giornalismo continuerà ad avere un futuro se sarà informato e se sarà firmato. È chiaro che, spostandosi sul web, i pezzi devono essere firmati da giornalisti che si sono costruiti una credibilità e un prestigio presso i lettori. Su internet vince chi ha una faccia e una reputazione. Fatte queste distinzioni, rispetto al passato io credo che vincerà sempre l’aggiornamento e la specializzazione, la precisione e la professionalità. Non ci sono altre strade”.

Angelo Marmo, vicedirettore di Quotidiano Nazionale: “C’è da distinguere due aspetti: uno che riguarda i contenuti e uno che riguarda le forme che questi contenuti devono assumere. Sul primo punto, credo che il giornalismo avrà un futuro quanto più saprà essere in grado di fornire approfondimenti originali sulle notizie che, bene o male, circoleranno da sole e in tempo reale. Quindi, il giornalismo, inteso come carta stampata, avrà un futuro nella misura in cui si sapranno fornire buoni approfondimenti, diffusi in tempo reale. Per quanto riguarda la diffusione dei contenuti, credo che i giornali, o digitali o in altre forme, avranno bisogno di essere accostati a qualcos’altro in termini di marketing. Per cui, bisogna trovare delle forme in cui il giornale sia la parte di qualcos’altro senza dissacrare niente. Dovrà, però, esistere una forma di marketing editoriale con un ruolo significativo. Per esempio, abbonamenti digitali dei giornali collegati a beni durevoli o di altre forme di co-marketing”.

Maurizio Belpietro, direttore de La Verità: “Il futuro del giornalismo è in mano ai giornalisti. Nel senso che sono loro a dover tornare a fare il loro mestiere. Anziché occuparsi di cose che interessano solo ad una élite, dovrebbero iniziare a occuparsi di che cosa è importante per i lettori. Troppe volte nelle redazioni si parla soltanto ai politici, ai banchieri. In sostanza, ci si rivolge esclusivamente ad un ceto medio alto, pensando di essere più considerati. In realtà, bisogna parlare alla gente che va in edicola, o che scarica il giornale sul proprio device, a cui interessano informazioni non così scontate. E soprattutto non vuole cose che siano già riportate da televisioni, radio e internet. Insomma, noi giornalisti dobbiamo tornare a fare il nostro mestiere indagando, facendo belle interviste, cercando di scoprire le notizie, tornando ad essere un punto di riferimento. Credo che sia importante, inoltre, trattare anche vari argomenti: non c’è solo la politica e l’economia, ma un modo di vivere e un mondo che cambia. Questo va interpretato e soprattutto raccontato”.

Luca Collodi, coordinatore di Radio Vaticana: “Credo che sia una strada molto rischiosa, perché purtroppo nella società attuale vedo una comunicazione contrapposta e vedo i giornalisti diventare più che osservatori della realtà nel tentativo di spiegarne le varie caratteristiche. Vedo giornalisti che stanno diventando sempre più tifosi di una parte contro l’altra e questo non aiuta l’opinione pubblica, anzi a mio giudizio se il giornalismo non torna a far pensare la gente, se i giornalisti non tornano a spersonalizzare la loro professione, cercando di guardare ai fatti e a raccontarli per come sono e non per come dovrebbero essere, il giornalismo va in crisi. Tra l’altro, noi spesso abbiamo un’idea di un’opinione pubblica un po’ ‘bue’. In realtà non è così: nonostante la stampa prenda posizione, vediamo che l’opinione pubblica si muove in tutt’altro modo. I media possono anche cambiare, c’è una rivoluzione tecnologica che nessuno può arrestare. Il problema però è come cambierà il giornalista, cioè l’attore principale che fa muovere i media”.

Alessandro Banfi, direttore di Mediaset: “I problemi sono complessi. Abbiamo una crisi di credibilità dovuta principalmente a diversi fattori: un fenomeno sociale che Bauman, il famoso sociologo, descriveva come la polverizzazione delle notizie che circonda la nostra società. Non è più chiaro il confine tra chi produce le notizie e chi le legge. Un problema, soprattutto per i giornalisti, che spesso posticipano la verifica delle notizie pur di arrivare in tempo. Questo, però, abbassa sempre di più la qualità dell’informazione e, quindi, della credibilità dei giornalisti. Soluzioni semplici non ci sono. Per esempio, c’è sempre bisogno di storie attendibili, di credibilità e di un’interpretazione della realtà, soprattutto in un contesto dove i politici comunicano direttamente via social e le informazioni arrivano in ogni dove. Proprio in questo contesto, sarà premiata la qualità dell’interpretazione che può dare un giornalista. Non so se è una soluzione, ma dobbiamo lavorare sull’indispensabilità del nostro contributo”.

Paolo Liguori, direttore di TGcom24: “La situazione da cui parte il giornalismo è una situazione di stallo. Credo che il giornalismo si sia arenato e difficilmente risolverà i suoi problemi da solo. Soltanto in alcuni casi riuscirà a trovare delle strade autonome, piegando le tecnologie. Al momento, il giornalismo italiano neanche ci riesce, è troppo ripiegato su sé stesso, con logiche di consenso che fanno male. Tendenzialmente, le persone che lavorano in questo settore ormai sono poco preparate. Ho un giudizio pessimista su quello che potrà essere il futuro del nostro mestiere. L’unica cosa che può aiutare il giornalismo a riprendersi è il ripartire dalle cose semplici, come dalle nuove generazioni di colleghi. Puntando su dei nomi nuovi, sulla formazione e sull’entusiasmo dei giovani giornalisti”.

Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano: “Il punto di osservazione del quotidiano della Santa Sede rende evidente che la visuale della maggior parte degli organi di stampa italiani sia limitata, asfittica, incentrata sul Paese. L’evoluzione tecnologica, inoltre, destabilizza gli assetti tradizionali della comunicazione. Resta, poi, il problema di sempre: la qualità dell’informazione che ha a che fare con la coscienza e il senso della responsabilità che ogni comunicatore dovrebbe possedere. La strada da imboccare è, dunque, quella di considerare il giornalismo un servizio (alla verità, ai cittadini) e non un potere. Ci vuole curiosità, competenza, creatività. E onestà, un’apertura mentale per evitare quello che il Papa ha detto proprio ieri a Napoli parlando della ‘vera’ sindrome di Babele, cioè ‘non ascoltare quello che l’altro dice e credere che io so quello che l’altro pensa e dirà’. Per non sparire è necessario, dunque, spezzare l’autoreferenzialità e, come direbbe il Papa, ‘uscire’: solo la strada può salvare un giornalismo fermo al proprio tavolino pieno di preconcetti e tesi da confermare”.

Vittorio Feltri, direttore di Libero: “Nel futuro del giornalismo vedo una tomba. Queste nuove tecnologie ci hanno stroncato, ci hanno messo nelle condizioni di far fatica a sopravvivere. La gente è più predisposta a consultare i nuovi dispositivi. Nel mio giornale, cerchiamo di costruire qualcosa di nuovo, ma non è facile riuscire a rendere attuali delle notizie che gli utenti hanno già consultato in tempo reale il giorno stesso. Noi le proponiamo in ritardo di 24 ore. Esiste ancora uno spazio per i commenti, ma è chiaro che si riduce il bacino dei lettori. Un tempo, durante la giornata raccoglievamo notizie che venivano messe sulle pagine del giornale senza che nessuno le conoscesse. Oggi questo non lo possiamo più fare. Per quanto riguarda i siti, io credo che ancora non ce ne siano di molto autorevoli, ma è solo questione di tempo. E questo avverrà a scapito della carta stampata”.

Alvaro Moretti, direttore del Messaggero.it: “In questo momento, in tutto il mondo si stanno affermando dei modelli disintermediati come, per esempio, nel mondo del commercio Amazon. Questo da tanti anni riguarda anche il giornalismo. Attraverso i social e le ricerche in rete, in qualche maniera, l’informazione ci arriva con l’illusione di essere disintermediata. Un’illusione che il pubblico si è costruito anche per colpa dei giornalisti che, in alcune situazioni, non sono stati all’altezza della situazione. Io, però, non penso che questo sarà il futuro dell’informazione: credo che le persone torneranno ai media tradizionali e qualificati. Contestualmente, credo che si costituirà un altro tipo di giornalismo, più leggero. La mia considerazione, da persona che è responsabile di siti web per giornali della carta stampata, è che stiamo osservando un fenomeno per cui anche il web, che nasce libero e gratuito, facendo credere alle persone che le informazioni siano una merce che si può acquisire in maniera gratuita, di fatto dequalificano l’informazione. Tuttavia, il pubblico chiede informazioni di qualità a costo zero. Una situazione che ha creato un problema importante agli editori”.

Andrea Balzanetti, redattore capo del Corriere della Sera di Roma: “Sul futuro dei giornali io sono pessimista: credo che lo strumento sia ormai superato. Uno può confezionare un giornale al meglio, ma è la carta ad essere morta. Non credo che nessuno abbia le ricette per risolvere il problema. Chi parla dei modelli seguiti dal New York Times, non fa i conti con la lingua, che permette l’accesso a molti mercati. Forse l’unica soluzione è smettere di pensare il giornale come lo consideriamo ora, vale a dire come un contenitore di notizie con degli approfondimenti. La mia personale ricetta sarebbe quella di limitare al massimo le notizie sull’attualità. Bisognerebbe introdurre delle analisi di alto livello, anche se questo limiterà di molto la professione dei giornalisti. Per quello che riguarda i siti, sono convinto che non si possano far pagare: la rete è libera, per definizione. Una soluzione potrebbe essere produrre e vendere notizie e contenuti studiati apposta per i social media”.

Ilario Piagnerelli, RaiNews24: “Per affrontare il futuro del giornalismo, occorre partire dalle fake news che hanno dato uno choc a tutti gli addetti ai lavori. Secondo alcuni, le elezioni di Trump e la Brexit sono stati indirizzati, in parte, dalla pervasività del fenomeno delle fake news, le finte notizie che vengono propagate da testate non registrate, ma molto attive sui social network. Questo fenomeno negativo ha, tuttavia, dei lati positivi: ha allargato la platea. Gente che non si era mai informata ha cominciato a leggere un articolo scritto. Una cosa diversa dal semplice guardare il telegiornale. Insomma, spesso queste testate sono in mano a lobby e a pubblicitari, ma almeno hanno il merito di aver avvicinato molti alla lettura. Per questa ragione, i media tradizionali sono in mezzo a un terremoto. Alcuni si stanno attrezzando, e stanno esplorando nuove strade, come i sistemi che consentono l’accesso a determinati contenuti di un sito Internet solo a pagamento, mentre altri sono più in difficoltà”.

Luis Badilla, direttore del Sismografo: “La questione è di che tipo di giornalismo stiamo parlando. Carta stampata, digitale, radio e tv sono mondi troppo diversi ed una risposta seria che valga per tutti, secondo me, è impossibile. In un’epoca come quella che stiamo vivendo, chiunque può fare giornalismo, basta avere un accesso ad Internet, uno smartphone, una macchina fotografica decente e un minimo di senso per la realtà. Io credo che la questione sia un’altra, e non riguarda solo l’Italia. Il futuro del giornalismo dipende soprattutto se si arginerà la perdita della capacità di confrontarsi con la lettura. Se le persone non sono in grado di accrescere la loro capacità di capire il mondo tramite la lettura, vuol dire che nessun tipo di giornalismo scritto ha futuro. Tutto dipenderà alla fine dalla scuola e da che cosa insegnerà in termini di interesse per la realtà. Il giornalismo esiste di per sé, perché c’è qualcuno che segue i fatti e cerca di capire cosa significano”.

Su una cosa tutti i direttori ascoltati da In Terris sembrano essere d’accordo: nella società del futuro il giornalismo continuerà a giocare un ruolo centrale. In una realtà sempre più disarticolata come quella che stiamo vivendo, c’è chi pensa che possano funzionare soltanto le forme di comunicazione più diretta. In realtà il mondo dell’informazione deve affrontare nuove sfide senza tirarsi indietro. La responsabilità ricade tutta sulle spalle dei giornalisti e degli editori, che hanno il compito di ripensare il mestiere e le piattaforme su cui proporre contenuti sempre più vari, attingendo anche dall’esperienza e dalla ricchezza dei canali della comunicazione diretta. Si tratta di una giungla fertile di idee e di metodi innovativi che dà ai giornalisti – e soprattutto a quelli giovani, più a loro agio con questo mondo – la possibilità di raggiungere  un pubblico che per numero e varietà di utenti era assolutamente impensabile fino a soltanto pochi anni fa. Del resto, come insegnava Borges, finché ci saranno storie da raccontare, servirà qualcuno in grado di farlo.

William Valentini

22 giugno 2019

https://www.interris.it/italia/futuro-del-giornalismo–cosa-ne-pensano-i-direttori