Non per vendetta ma per giustizia. Il debito di Battisti, il dovere della politica

By 30 Gennaio 2019Attualità

Perfino l’arresto di un terrorista pluriomicida come Cesare Battisti, che finalmente e giustamente sconterà le sue condanne in un carcere italiano dopo quasi 40 anni di scandalosa latitanza, ci aiuta a capire quale pericolosa direzione abbia imboccato il nostro Paese. La doverosa e sentita soddisfazione istituzionale, espressa in modo impeccabile dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è stata seguita (verrebbe da dire circondata) da una serie di dichiarazioni e di atteggiamenti più consoni a un’arena che a uno Stato di diritto, volti a trasformare un atto di sacrosanta giustizia, seppure a lungo ostacolato in modo ingiustificabile perfino da autorità statali straniere, in un episodio di affermazione politica da parte delle forze di governo su quelle di opposizione e quasi di “vendetta di Stato” nei confronti del criminale catturato.

Sul primo punto, si può tranquillamente affermare che ancora una volta l’aspetto (social)mediatico e propagandistico sembra aver prevalso sulla sostanza dei fatti.

Perché tra i Governi precedenti all’attuale non se ne ricorda uno che abbia mostrato di rinunciare all’estradizione dell’ex esponente dei Proletari armati per il comunismo. Anzi, numerosi sono stati i tentativi di esecutivi del centrodestra e del centrosinistra di ottenerla, purtroppo sempre frustrati dall’incredibile compiacenza che il latitante ha ottenuto ad altissimi livelli prima in Francia e poi in Brasile. Per intenderci, Battisti sarebbe finito in cella nel 2011, se l’allora presidente Lula non avesse ribaltato la decisione della Suprema Corte brasiliana.

Quindi se svolta politica c’è stata, e indubbiamente è così, è avvenuta a Brasilia e non a Roma. Che poi la consonanza politica tra il nazional-sovranista Bolsonaro e il vicepremier leghista nostrano Salvini abbia facilitato l’operazione, questo è plausibile. Ma certo non può essere usato come addebito per i predecessori di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Inoltre, a voler essere proprio pignoli, è stato il comunista boliviano Evo Morales ad arrestare Battisti e consegnarlo all’Italia. Per quanto riguarda il secondo aspetto, ovvero l’esultanza a tratti scomposta registrata da parte di alcuni rappresentanti del governo e l’enfasi data all’arrivo all’aeroporto dell’ex-latitante, con ben due importanti ministri (Interno e Giustizia) ad accoglierlo e ovviamente a rilasciare dichiarazioni, non sembrano perfettamente aderenti al profilo di una democrazia liberale, quale l’Italia risulta ancora essere.

Per non parlare dei toni, che a tratti hanno ricordato l’arena di cui sopra. È vero, come ha detto il capo della Polizia Franco Gabrielli, che Cesare Battisti ha tenuto per tutti questi anni un atteggiamento «irridente e oltraggioso nei confronti delle vittime». Ma un ministro non dovrebbe cedere alla tentazione di irridere e oltraggiare a sua volta, perché rischia di perdere autorevolezza e di far apparire lo Stato sullo stesso livello di un malvivente. È giusto che Salvini si prenda i suoi meriti, meno giusto che vesta i panni del vendicatore.

La giustizia, non la vendetta, spetta allo Stato. Altrimenti vale tutto. Vale perfino che i rottami di ideologie sanguinose del ’900 infiltrino le curve di quasi tutti gli stadi: se il tifo estremo irrompe nella politica, come sorprendersi per l’estremismo politico che irrompe nel calcio? Solo che gli estremisti da stadio sono, ancora e per fortuna, una rumorosa minoranza. La ‘politica da stadio’, invece, ci riguarda tutti. E perdiamo tutti. Perde la maggioranza e perde l’opposizione, i partiti di oggi e quelli di domani. Perde l’Italia, la sua immagine a livello internazionale. Almeno sulla cattura di un terrorista che tanto male ha fatto ad altri italiani e a tutto il Paese, l’unica reazione auspicabile sarebbe stata quella di una composta unità.

Danilo Paolini

15 gennaio 2019

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/non-per-vendetta