Vladimir Luxuria a Viareggio per un pomeriggio di ordinaria ideologia

By 27 Novembre 2019Gender

Chi può definirsi apertamente un discriminatore? In una società civile e in un’Italia come la nostra, nessuno. O meglio, possiamo tranquillamente affermare con certezza che coloro i quali discriminano – anche fisicamente – lo fanno a prescindere dall’oggetto della propria discriminazione. Entrando nel merito di quello che il dottor Guadagno ha raccontato la sera del 20 novembre passato, a una folta platea di liceali dopo la proiezione dello squallido film “Boys don’t cry” (un abominevole frullato di scene che raccontano di consumo di stupefacenti, alcool e violenza, vuoti di spirito e genitalità) sul fatto che è stato vittima di discriminazione da parte di chi odia i transgender, posso tranquillamente affermare a ragion veduta, che chi odia i transgender e si ritrova con “amici” per tendere agguato a costoro, odia. Odia e basta. Odia le proprie mogli o compagne tanto da tradire loro con prostitute (magari infettando mogli gravide che poi perdono i bambini che hanno in grembo), odia la famiglia, odia – in fondo – se stesso. Ed è violento. Perfido. Cattivo. E merita il massimo della pena quando compie atti abominevoli.

Come si convincono dei giovani al fatto che i transgender e/o gli omosessuali vengono sottoposti ad atti di omotransfobia? Si mostra loro un film agghiacciante sull’argomento e si dice loro che qualsiasi questione relativa alla sessualità (che spesso viene oculatamente confusa con l’erotismo), alla biologia, all’affettività, è giusta ed ha il diritto di essere espressa, pena l’essere fòbici.

Eh già, basta così poco…

Quindi pensare che una donna – con il proprio bagaglio biologico, endocrino e anatomico – che sente di avere una tendenza omoerotica e si comporta di conseguenza provando attrazione per le donne, non debba essere rispettata in quanto essere umano di sesso femminile e persona con una dignità, ma debba esserlo perché fa un determinato – e privatissimo – uso dei propri genitali e della propria affettività, è omotransfobico, giusto? Provare disgusto per il fatto che due esseri umani di sesso maschile – chiaramente squilibrati mentalmente, violenti a prescindere, consumatori di alcool (mi riferisco ai personaggi maschili del film succitato) – stuprino una donna prima nella vagina e poi nell’ano, perché costei è una persona di sesso femminile e non solo perché costei non accetterebbe mai un rapporto sessuale con un maschio, è omotransfobia, giusto? Affermare che il dottor Guadagno è un uomo poiché ha conservato i propri attributi maschili anche se vuole che gli si parli declinando al femminile ogni sostantivo o aggettivo, è omotransfobico, giusto? Va da sé che affermare, senza alcuna fallacia biologica, che solo le donne partoriscono (e purtroppo abortiscono), è omotransfobia allo stato puro: ho capito bene?

Il dottor Guadagno, che io continuerò a chiamare in questo modo sino a che non si sarà fatto rimuovere i genitali maschili perché allora e solo allora non sarà più in grado di fecondare una donna e quindi di compiere il gesto più fisiologico per un uomo, mi ha rassicurato, l’altra sera: posso continuare ad affermare, da ostetrica, che solo le donne partoriscono (frase che è costata, alla presidente dell’associazione delle doule inglesi Lynsey McCarty-Calvert, le dimissioni). Quindi la doula Lynsey, che ha scritto su facebook: “Non sono una proprietaria di cervice’, non sono una ‘mestruatrice’, non sono un ‘sentimento’, non mi definisco usando un vestito o un rossetto. Sono una donna: una femmina umana adulta” non è omotransfobica e gli attivisti trans che hanno tempestato di mail sino a che questa fosse costretta alle dimissioni – quando, pubblicamente, ha denunciato un linguaggio discriminatorio e dannoso nei confronti delle donne nella diffusione di un documento della Cancer Research UK che invitava ‘tutti i possessori di cervice tra i 25 e i 64 anni’ a sottoporsi allo screening cervicale (pap-test) – sono colpevoli di discriminazione: ho capito bene?

Mal comune mezzo gaudio, mi verrebbe da dire. Chi di discriminazione ferisce, di discriminazione perisce, potrei aggiungere.

Sì perché se è discriminante per gli uomini trans (ovvero le donne che si identificano come uomini) sentirsi definire ‘donne’ da chi di donne se ne occupa (le doule accompagnano la donna nella sua endogestazione ed esogestazione: un tantino di donne se ne intendono, parimenti alle ostetriche), come si dovrebbero sentire le donne che, per l’ennesima volta, denunciano un linguaggio disumanizzante nei loro confronti? E che potrebbero aggiungere tutte quelle donne offese dal fatto che la McCarthy-Calvert sia stata accusata di essersi dimenticata che non solo le donne mettono al mondo dei bambini – considerazione assolutamente ideologica dato che tutte le persone che posseggono un utero, una vagina, una vulva, due tube di Falloppio, due ovaie e un apparato endocrino munito di FSH (ormone follicolostimolante), LH (ormone luteotropo), Estrogeni, Progesterone, Ossitocina e prolattina (che in chi produce anche estrogeni rimanda a delle qualità caratteriali considerate femminili: ricettività, vicinanza, apertura verso le relazioni e disponibilità a nutrire, come è spiegato nel testo di Kerstin Uvnäs Moberg Ossitocina, ormone dell’amore) – e che possono pure farsi chiamare con nomi maschili, ma se rimangono gravide sono donne? Guarda caso la doula ha sostenuto coraggiosamente che sono maggiormente le donne, coloro che vengono accusate di transfobia: il che fa pensare al fatto che contro le donne – effettivamente – ci sia “qualcosina” che da fastidio. Sarà che a noi donne – che in tutto il mondo subiamo discriminazioni in quanto tali – ci dà molto fastidio che ci siano uomini che usano l’ideologia delle fobìe per approfittarsi di noi? I numerosi fatti di cronaca elencati su www.womanareuman.com, c’insegnano che l’ideologia obnubili la logica e allontani dalla verità. Mi limito a concludere la vicenda denunciando quanti attivisti si stanno facendo coinvolgere in questa lotta per i diritti di una parte della popolazione, che sta causando un’obbligatoria sottomissione a tali diritti da parte di un’altra fetta di popolazione: nello specifico se io affermo che solo le donne partoriscono e abortiscono, posso essere accusata di odio, di essere una TERF (una femminista che esclude i trans) ovvero una donna transfobica. Che è un’accusa pesante se io vengo accusata di questo “crimine” solo perché affermo una realtà biologica. Hai voglia te sottolineare che il rispetto verso le persone transgender, che personalmente possiedo in modo del tutto inequivocabile, non riguarda la declinazione di aggettivi e sostantivi, ma il fatto di considerarle facenti parte del genere umano, di trattarle col rispetto che si deve a ogni persona, di accogliere la loro natura e di rifiutare categoricamente ogni tipo di aggressione (come quella del dottor Sgarbi, per esempio). Certo che, tuttavia, se per affermare questo e non essere considerata una TERF, io debbo ammettere che non solo le donne partoriscono; che per essere felici (perché a causa della transfobia tutti i trans hanno una vita dura e fatta di discriminazioni quotidiane, che le mutilazioni genitali femminili, in confronto, sono una passeggiata) io debba accettare che sia necessario aprire alle adozioni perché i bambini possono dare loro un po’ di felicità (infatti adottare è un diritto dell’adulto, mica che sia un diritto dei bambini essere adottati ed avere una famiglia); che sia la femminilità a descrivere il sesso: allora abbiamo un problema. Problema che pare proprio che Christopher Dummit ha riconosciuto: «Per molti attivisti, sottolinea, “dire che il sesso è una realtà biologica equivale a hate speech” e gli ultra-progressisti “accusano chiunque lo affermi di negare l’identità delle persone transessuali e ciò equivale a voler causare danni a un altro essere umano. A tal proposito, il cambiamento culturale è stato stupefacente» dichiara lo studioso costruttivista che ha ammesso di aver falsificato le conclusioni alle sue ricerche (si legga Lo studioso del gender ammette: “Mi sono inventato tutto” su Ilgiornale.it) e che l’esperta che accompagnava il dottor Guadagno ignorava.

Quello che Mariella Popolla, sociologa studiosa del gender che pubblicizza su facebook il movimento per l’abrogazione della Legge Merlin ad opera di Non Una Di Meno (esperta anche in “strategia per combattere la violenza sulle donne”, il che mi stona con il trattamento subìto dalla doula del quale ho scritto prima, o col trattamento ricevuto dall’estetista che si è rifiutata di depilare i testicoli a un uomo che si identifica come donna, ma certamente sbaglio io), sa invece molto bene, è che per arrivare a cambiare la cultura di una società, bisogna arrivare nelle scuole, ai ragazzi. E lo sa il sindaco di Viareggio, il dottor Del Ghingaro, che consapevolmente e in modo sarcastico, presentando il film ai ragazzi, ha annunciato «Vi stiamo trascinando verso chissà quali derive» ma aggiunge che è felice che i tempi siano cambiati (parla dell’oscurantismo del passato che magari avrebbe proibito di far vedere un lungometraggio così brutto a una platea di quindicenni) perché si può parlare di diritti in modo istituzionale anche grazie a un Comune e a una Regione che hanno sottoscritto un protocollo per parlare nelle scuole di questi grandi temi disquisendone serenamente anche grazie a grandi docenti (si riferisce alla preside che al termine della serata ha affermato allegramente che quando il proprio figlioletto di undici anni andava in giro a dire che l’amore non dipende dal genere – i miei a undici anni giocano a nascondino – e il proprio marito non era d’accordo, lei ha buttato fuori di casa il marito: evidentemente ‘love is love’ vale ma non per chi esprime un’opinione differente sull’educazione del comune figlio). Lo sa bene l’assessore Gabriele Tomei che ha moderato il dibattito successivo alla proiezione che ha presentato il dottor Guadagno, Luxuria, e la dottoressa Popolla. Ecco, torniamo a lei, poiché assieme alla preside succitata, ha detto cose molto importanti. Potrebbe sembrare, ha detto iniziando il suo discorso, che la realtà espressa dal film sia molto distante dalla nostra società, ma così non è – a suo parere – poiché il 20 novembre è il giorno nel quale si ricordano le vittime transgender (ricordo che un uomo che s’identifica come donna ha costretto una bambina di quattro anni ad avere rapporti orali con lui e l’ha filmata inserendola nel circuito della pedopornografia: questa bambina cos’è se non la vittima di un trans?) che quest’anno sono state ufficialmente 331 (in Italia? Non mi risulta). Giustamente sottolinea che il film può essere visto con molte chiavi di lettura: su questo non posso essere che d’accordo. Quella che preferisco è quella della solitudine che vive la società che partorisce, moderna matrigna infanticida, una cultura dell’annullamento morale. Non a caso il substrato dove avvengono sempre tutti i casi di violenza, è quello fatto dall’ignoranza, dall’insicurezza e dalla perfidia di chi non ha idea di cosa significhi il rispetto altrui, di chi teme di perdere il proprio piccolo immondo orticello fatto di malsane convinzioni di vario genere. La dottoressa Popolla osserva che dopo il 20 novembre che ricorda le vittime trangender, c’è il 25 novembre, nel quale ricordiamo le vittime di femminicidio. E che cos’è il femminicidio (anche quello che compiono i trangender nei confronti delle donne è femminicidio? Mia Williams, che ha dato fuoco a una donna, che reato ha commesso? Kristoffer Johansson che ha accoltellato e smembrato l’ex fidanzata, che reato ha commesso? Sora Kuykendall che ha accoltellato la fidanzata adolescente, che reato ha commesso?) se non un attacco fisico da parte di una persona che odia quella persona in quanto appartenente al sesso femminile? Che cos’è il femminicidio, se non perfidia umana (come tutti gli omicidi)?

La violenza fisica e sessuale poggia le basi sulla battuta – afferma la Popolla -, sull’insulto, sul fatto di non chiamare le persone col nome che si sono scelte, sul fatto di non chiamare le persone col genere verso il quale s’identificano: immagino che ciò valga a tutti gli effetti anche per le donne costrette a essere definite da istituzioni e ordini professionali “Persone con la cervice”, che valga per le donne come Meghan Murphy, giornalista del sito Feminist Current, che è stata aggredita da alcuni attivisti LGBT qualche settimana fa. Le preoccupazioni fondatissime della Murphy riguardano gli spazi riservati alle donne che vengono, oramai per legge (in Canada c’è la C-16 che ha aggiunto a “identità o espressione di genere” all’elenco delle discriminazioni perseguibili penalmente) violati da tutti coloro che s’identificano come donne. Purtroppo è difficilissimo discutere pubblicamente di tali argomenti senza essere accusati di violazioni di diritti umani e senza subìre censure. Non a caso un gruppo di lesbiche danesi è stato cacciato dalla Casa delle Donne con l’accusa di transfobia perché volevano uno spazio dedicato solo a chi è nato donna. Anche in Danimarca un uomo che si dichiari donna, può avere accesso a luoghi riservati alle donne che, evidentemente, non sono più tali. In Inghilterra la reazione delle femministe è stata fortissima (nonostante il mancato sostegno d’istituzioni e politica, le aggressioni e gli insulti): la Woman’s Place UK intende difendere i diritti delle donne e in particolare mantenere il sesso biologico tra le caratteristiche tutelate dalla legge (Se il genere diventa un’arma contro le donne. Le inglesi di Woman’s Place UK dicono no alla nuova caccia alle streghe, del 21/11/2019, di Giuliana Buffo per www.lalibreriadelledonne.it). La Popolla afferma che sia violenza negare di chiamare una persona col nome che si è scelta: e non è pari violenza negare una differenza biologica evidente? Mi si chiede il motivo della mia violenza nel non voler chiamare Vladimiro Guadagno con il suo nome d’arte: dov’è il rispetto verso il fatto che io (Rachele, donna, madre) mi senta oppressa nell’obbligo di essere paragonata a un uomo e nel dovermi rivolgere a lui con tutto quello che definisce in me l’essere donna (ricordiamoci la lotta per declinare al femminile i termini professionali: lotta che, evidentemente, va dietro all’emotività)? Non è biologicamente corretto affermare che sia normale, per un bambino, essere allattato dalla mamma (da mammelle, che guarda caso possiedono le donne)? Eppure sembra che sia un’offesa che va contro a chi dice che anche gli uomini allattano… Non è violento accusare di transfobia chi afferma che solo le donne partoriscono (quantunque si facciano chiamare Paolo, possiedono un utero e una vagina, sono donne)? E se tutto è violenza, chi possiede un’educata opinione differente (e sottolineo educata), è da considerarsi violento a tutti gli effetti al pari di chi uccide? E se tutto è violenza, certi che poi non si rischi di ammettere che nulla è violenza? Attenzione perché è qui che si gioca il tutto e per tutto. E bisogna scegliere da che parte stare. Io, visto che il dottor Guadagno espresse tempo fa chiaramente di essere a favore dell’utero in affitto “generoso”, mi domando come non si riconosca violento tecnorapinare la donna dei propri gameti rischiando la vita. Come non si riconosca violenza quella verso una donna che è obbligata ad abortire feti ritenuti non idonei o in sovrannumero o di sesso non gradito. E come si fa a non ritenere violento il fatto di privare un bambino delle proprie radici biologiche e del legame verso colei che l’ha nutrito per tutta la gravidanza, al solo scopo di possedere un figlio? Questa è violenza! Non quella che io compio permettendomi di continuare a pretendere di avere la libertà di definire uomo in quanto possessore di testicoli, pene, prostata e dotto deferente.

E la dottoressa Popolla sa bene di essere di fronte a un giovane e manovrato pubblico, poiché spera – lo dice chiaramente – che sia la promozione di eventi come questi, a cambiare la cultura. Se le sue intenzioni fossero state aperte e oneste, non sarebbe stato invitato un giovane pubblico, ma un pubblico adulto (nello specifico sopra i 18 anni). Sarebbe stato invitato qualche esponente politico differente dall’Arci, sarebbe stato aperto a un dibattito con esperti in medicina, in sociologia, in psicologia. E invece è un monologo effettuato ponendo tutto su un piano che non ha sbavature apparenti, che non può essere contraddetto da una platea di menti giovani e impressionabili. E la preside che ha portato i suoi studenti a questa proiezione lo sa bene perché chiude il dibattito affermando che lei ha voluto fortemente questo evento. Parte dicendo che è un genitore come tanti, e che vorrebbe che questi ragazzi presenti fossero il mezzo tramite il quale nelle loro famiglie si parli e si cominci ad accettare (evidentemente accettare le idee proposte dal dibattito e vendute come quelle corrette) parlando di rispetto (verso chi? Verso di loro che hanno proposto la proiezione di questo film? Verso i transgender?). Ammette che avrebbe desiderato la presenza di molti genitori, il che le farebbe onore, se – come ho già scritto – avesse voluto un dibattito, un confronto con esperti presenti che avesse potuto lasciare comunque liberi i presenti – adulti – di farsi opinioni personali e di educare i propri figli di conseguenza. Tuttavia la presenza degli adulti in sala è irrisoria, il che mi da da pensare su come sia stato espresso chiaramente, tale desiderio (sugli avvisi che anche mia figlia ha ricevuto, l’invito ai genitori non era assolutamente specificato). Lo dice in tono malinconico – che avrebbe voluto la presenza dei genitori – aggiungendo che purtroppo quello che sono i ragazzi, è l’espressione di quello che sentono a casa, ma che costoro – i giovani – possono anche essere il mezzo per far cambiare idea ai propri genitori: agli adulti di riferimento lei quindi augura di essere rieducati da degli adolescenti. E questo io lo ritengo gravissimo insieme a ritenere il fatto che sia corretto che degli adulti si facciano manovrare da altri adulti che manipolano i loro ragazzi: anche questa, allora, è violenza. Lei dice che ha insegnato al proprio figlio che con il rispetto e l’educazione si può dire tutto, perché lei conosce «molte persone gay, lesbiche, insomma – taglia corto – diverse. Che però – si appresta poi ad aggiungere subito – non sono diverse, sono persone e sono mie amiche e amici». E ci mancherebbe altro, professoressa: ovvio che sono persone. Non credo che possano essere definite in modo diverso, mi viene da dire. Conclude con una carrellata di esempi sul ‘love is love’ facendo capire chiaramente che il discorso finisce sempre lì: monotonicamente sembra che sia fondamentale esprimere il riconoscimento dell’amore che è tutto amore e che, quindi, nega realmente quello che è e ciò che racchiude.

La professoressa è genitore, scrivevo sopra, che però pretende di decidere anche per i figli degli altri cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. E questo è il disegno chiaro di quello che sta divenendo la scuola, un mezzo politico, ideologico e non più culturale. Un mezzo per implementare non solo le personali convinzioni dei docenti (a mio figlio fu detto chiaramente, alle medie, che ogni maschio è un potenziale stupratore), ma anche quelle sottili e intolleranti e tutt’altro che accoglienti ideologie che una modestissima parte della politica e cultura internazionale, vogliono far passare per primi ai nostri ragazzi.

Ed ecco perché io vorrei realmente che ci fosse stato un confronto alla pari: perché non un professor Cantelmi, non una professoressa Morresi, non un professor Nicolais, non un dottor Marcotullio, non una dottoressa Trezza, non un dottor Guzzo, non un dottor Lambiase, – giusto per fare alcuni esempi – a confrontarsi con la dottoressa Popolla e la professoressa tanto attenta ai giovani? Solo in tal modo il confronto sarebbe stato alla pari (tutti i precedenti da me nominati sono persone rispettosissime scevre da ideologie). Perché non un divieto ai minori di partecipare? Si sarebbe potuta evitare la proiezione di un film penoso e si sarebbe andati subito al punto senza perdere tempo: alla pari. Gli adulti avrebbero sicuramente ricevuto un arricchimento del quale poi sarebbero stati liberi di adattare la propria educazione ai loro figli. Sì perché non sono i figli che educano i genitori, lo ripeto chiaramente. E’ il contrario, nonostante la professoressa ne agogni la possibilità.

Sul mio intervento posso dire ben poco: i tempi erano stretti e – ovviamente – volevano che le domande rimanessero sul film. Mi sono limitata a dire chiaramente che spezzo una lancia nei confronti dei veri uomini, di quelli che non picchiano, non bevono, non stuprano nessuno, non ammazzano, che sono la stragrande maggioranza, ricevendo anche l’applauso di Luxuria. Ho tentato di chiedere qualcosa sulla teoria gender e sul fatto che sia stata rimessa in discussione da uno dei suoi autori più conosciuti, ma ahimé la dottoressa Popolla, nonostante sia un’esperta di gender, non conosce Christopher Dummit (autore di tomi come The Manly Modern: Masculinity in the Postwar Years, Vancouver 2007, e Contesting Clio’s Craft: New Directions and Discussates in Canadian History, Londra, 2009). La dottoressa afferma che non ci sia una teoria gender, ma all’interno di altre discipline come sociologia, filosofia, biologia si sia arrivati, col tempo, a comprendere come quello che gli studiosi attribuivano a uno stato meramente biologico, in realtà sia anche il risultato di processi sociali e culturali. Non c’è una teoria del genere – continua la dottoressa affermando che sia concettualmente sbagliato crederlo – ma una prospettiva di genere che indica che quando ci si approccia a un tema, uno qualsiasi come la Medicina, è da tenere in considerazione che questa, fino ad oggi, è stata adattata solo sull’uomo: prospettiva erronea anche per alcune diagnosi. Detto questo non c’è un autore di riferimento – dice -, ma ce ne sono alcuni che per ogni disciplina, hanno affrontato il tema. Affermato questo ho chiesto allora alla dottoressa, giusto per farmi chiarezza, se coloro i quali hanno chiesto il licenziamento della doula inglese (la McCarthy-Calvert della quale ho scritto prima), avessero fatto bene: se comprendo bene quello che lei afferma sulla prospettiva di genere, allora forse è giusto lasciare aperta la possibilità a chiunque di definirsi “persona che partorisce” (essendo la maternità un concetto biologico che invece va mutuato con i processi culturali). Rispondendomi in modo estremamente cortese, Luxuria – un po’ stupito, invero, dalla storia da me esposta della quale non conosceva nulla – conviene che sia assurdo trovare offensiva la dichiarazione della doula poiché, un conto è parlare di diritto alla genitorialità – sottolinea – un conto è parlare della ‘fisicità’ (intendendo evento strettamente biologico, probabilmente) della riproduzione. E’ lì che chiedo, allora, se esista sempre una realtà biologica e lui me lo conferma sottolineando che il tema della discussione odierna fosse sul bullismo (per me parlare della costrizione alle proprie dimissioni da parte di una minoranza ideologizzata è bullismo). Detto questo ho avuto il permesso di continuare ad affermare che solo le donne partoriscono e ho ringraziato il signor Guadagno (che però non sente che lo chiamo col suo cognome e su facebook, infatti, nega di aver sentito che l’ho apostrofato in tal modo).

I discorsi di Luxuria sono piuttosto quelli che ci si aspettano, un po’ autobiografici (e quindi assolutamente non commentabili e, anzi, le difficoltà avute nella sua vita suscitano in me profondi rispetto e compassione poiché la sofferenza è sempre degna di tale sentimento: il dileggiamento e la violenza che una persona può subire sono sbagliatissime indipendentemente dal presupposto), un po’ sarcasticamente semi-politici (“Gli omofobi sono brutti: prendiamo Adinolfi, ad esempio…” dice suscitando l’ilarità della politica locale presente e chiarendo che si tratta solo di una battuta) e un po’ scontati. Sa fare il proprio lavoro e sa parlare al pubblico giovane, per cui non c’è nulla di strano o di degno di nota, in quello che dice.

E’ stato un lunghissimo pomeriggio e ho imparato molte cose. Ho imparato che dobbiamo cominciare a chiederci cosa faccia di una donna, una donna. Parrebbe che la donna, per definirsi tale, debba mostrare femminilità che muta la biologia dal punto di vista culturale. Siamo certi di questo? E che cos’è la femminilità?

Immaginiamoci una persona affascinante, ancheggiante, gentile, ospitale che porta i capelli lunghi e il trucco. Possiamo definire questo elenco di caratteristiche, femminilità? Beh, fosse così, un feto umano di sesso femminile non potrebbe essere dichiarato tale, neppure dopo che un’amniocentesi abbia definito chiaramente la sua caratteristica cromosomica di possedere due X. Quindi le centinaia di migliaia di feti femmine che vengono uccisi in grembo dovrebbero patire “solo” l’essere soppressi. E invece sappiamo molto bene che al fatto di essere uccisi senza possedere una colpa, va ad aggravarsi al fatto che sono soppressi proprio perché femmine. Idem potremmo dire di circoncisione e mutilazioni genitali femminili: nonostante io pensi che la circoncisione sia un dolore inutile per un neonato, sottolineo con forza che sia del tutto differente da tutti i gradi delle mutilazioni genitali femminili (diversa anche nei presupposti: da una parte quelli religiosi/igienici, dall’altra quelli di chiara considerazione verso la donna come di un oggetto da dominare con la violenza. E guarda caso chi è che sottopone le bambine a simili riti? Le donne che perseverano in tradizioni orribili). La femminilità è spesso un’ insieme di caratteristiche che inquadrano la donna in una serie di situazioni che ne definiscono l’inferiorità: basta leggere i commenti sui siti dove gli uomini compiono descrizioni delle prostitute che incontrano (aggiungendo la capacità di far sentire i clienti a loro agio e la pulizia della casa). Per non parlare di quegli aberranti riti di sottomissione nei Paesi nei quali bambine di 9 anni vengono concesse in spose. Purtroppo, quindi, per “femminilità” s’intendono oggigiorno, quell’insieme di stereotipi nei quali le donne vengono ingabbiate con lo scopo di non avere dignità. Possedere caratteristiche chiaramente “femminili” è e rimane, da secoli, sempre un grosso problema sociale all’infuori di una religione, quella cristiana, che fonda la propria Fede sulla venerazione verso una donna e che ricorda ogni giorno le gesta eroiche non solo di uomini virili e coraggiosi, ma di donne forti nella loro espressione femminile (quella fatta di gesti e non fatta di ancheggiamenti) e coraggiose.

Compiamo un passo verso la biologia, perché è sempre utile (tra l’altro ci sono studiosi che hanno scritto pagine meravigliose sulla donna, usando solo studi scientifici). La donna possiede un’anatomia molto chiara. Inoltre, elemento importante, possiede un bagaglio ormonale molto interessante. All’inizio ho citato un ormone (che talvolta fa pure da neurotrasmettitore) che è strepitoso: l’ossitocina. Anche l’uomo lo secerne, ma non possedendo estrogeni, la sua ossitocina è di quantità e qualità nettamente inferiore (il discorso è più complesso, ma basti questo). Avendo visto sia donne partorire, sia donne occuparsi di bambini (in veste di madri adottive, educatrici, insegnanti, infermiere, ostetriche, medici) posso chiaramente compiere una dichiarazione: le donne non sono tali perché ancheggiano, hanno capelli lunghi, portano gonne, si truccano. Queste ultime cose sono un contorno (anche se un calendario dell’Avvento di Tiffany, non ci fa schifo): la donna è colei che possiede l’ossitocina che, come scrive Kerstin Unvnäs Moberg, studiosa svedese succitata fa sì che tutte le donne, in modo spesso differente una dall’altra, mostrino una serie di caratteristiche precisissime che rimandano a qualità femminili: caratteristiche che poggiano sul loro assetto endocrino e che, infatti, hanno suscitato l’interesse della studiosa che è partita con l’osservazione e l’analisi delle donne che allattano. Quindi la donna che non genera figli non è donna? Ovvio che no. Quindi la donna coi capelli corti che odia il trucco e non sa usare i tacchi, non è donna? Ovvio che no. Perché è la cultura che ha dato delle caratteristiche di estrema superficialità alla donna definendo, purtroppo, la “femminilità” come una posizione che è spesso quella di sottomissione, scollegando – letteralmente – il concetto biologico (legato a quello a cui le donne universalmente sono portate), da quello culturale. Ecco perché le femministe che si battono quotidianamente perché la maternità sia un diritto (maternità è un concetto biologico che è stato progressivamente scisso da quello culturale), portano avanti un obiettivo realmente a favore della donna: perché la maternità E’ donna e in quanto tale deve essere degna del massimo rispetto e della massima deferenza. La teoria del gender, che invece esiste, ha reso fluidi tutti questi concetti culturali, per cui il sesso, separato dal genere, non fa altro che alimentare costantemente questa vera discriminazione verso la donna, rendendo la maternità, ad esempio, un mezzo per il soddisfacimento di un bisogno di genitorialità e il fatto di possedere dei gameti e un utero, un mezzo di sfruttamento (come lo sono la riduzione dello stipendio durante il periodo di astensione obbligatoria, o la proposta di rendere obbligatoria la frequenza agli asili nido).

Due parole sulla donna femminile. Come ho affermato, quindi, sono certa che purtroppo la parola “femminilità” sia stata espropriata del suo cuore pulsante. A causa di una serie di stereotipi sessisti (le donne vanno private di clitoride altrimenti sono tutte delle sfrontate) e di un assoggettamento schiavista culturale (le dichiarazioni di chi abrogherebbe la Merlin, ne sono un esempio), il “femminile” si è diabolicamente eroso. Ed è qui che Jo Croissant ci viene incontro riassumendo quanto sia necessario riconquistare lo spazio femminile riportando la donna verso la posizione moralmente più alta, anche grazie all’uomo, e verso una cultura che la eleva. Jo Croissant, infatti, non descrive la donna da come si abbiglia o da che capacità possegga nel cucinare e nel pulire casa: lega indissolubilmente alla donna, invece, tutta una serie di caratteristiche che è stato deciso essere segno di inferiorità, ma che sono segno dell’essere parte fondamentale del Creato, dell’esserne cuore pulsante, dell’esserne potenza creatrice dell’umanità. Se la cultura insegna il fatto che la donna ancheggiante e sexy è femminile e questo influisce sia sull’educazione che riceve il maschio (pornografia), sia su sull’educazione che riceve la femmina (la prostituzione è autodeterminazione), la donna sarà sempre schiava di una posizione che eticamente e moralmente la depaupera, la svuota, la impoverisce.

Le due donne che ho citato, Kerstin Unvnäs Moberg e Jo Croissant, invece, si toccano nella loro descrizione della donna e di quello che fa di lei la vera parte femminile delle creature umane. Si prenda ad esempio l’ossitocina e la sessualità: creando un legame e aprendo alla relazione, l’ossitocina assicura stabilità in una relazione aumentando la sicurezza e riducendo lo stress. Mentre fare l’amore con la persona amata con la quale si è in relazione da lungo tempo, crea serenità e stabilità, avere rapporti con una persona conosciuta da poco o averli a pagamento, implica una percezione di pericolo che attiva l’adrenalina, l’antagonista dell’ossitocina. E non ci ricorda forse la Croissant quando scrive «La donna è per natura assetata d’amore. Ha delle idee meravigliose sul matrimonio, sulle relazioni tra gli esseri, ed è completamente destabilizzata quando la realtà non corrisponde a quanto aveva immaginato. Ecco perché deve scoprire le sorgenti che Dio ha messo in lei»?. La bellezza della donna è il centro della vita, della cultura, della dignità della società. Se accettassimo che l’assetto ormonale della donna determina – ognuna in modo soggettivo – la strada verso cui la società cammina (dato che sono le donne che partoriscono gli uomini, come dice la grande ostetrica Flora Gualdani), ne determineremmo la ricchezza culturale.

E sì, affermare tutto questo, non discrimina nessuno, ma, al contrario, rispetta e crea confini puliti che soppesano diritti e doveri di tutti. Asserire, al contrario, che crea discriminazioni, porta solo a definire chiaramente che i diritti di qualcuno valgono di più dei diritti altri. Vuole dire che la biologia non esiste. Vuole dire che ci sarà sempre chi sarà schiava. Asserire che la donna è un concetto dalla cui biologia distaccare l’aspetto culturale, rende la donna inferiore e non degna di rispetto.

Morale: maschi e femmine sono diversi. E questa diversità è solo ricchezza.

di Rachele Sagramoso

27 novembre 2019

http://www.lacrocequotidiano.it/articolo/2019/11/27/societa/vladimir-luxuria-a-viareggio-per-un-pomeriggio-di-ordinaria-ideologia