CENTRO STUDI LIVATINO – L’attuazione della L. 194: consultori, obiettori, contraccezione “abortiva” – 3

Un ulteriore dato che la Relazione sull’attuazione della legge 194/1978 sembra non considerare a sufficienza, nel valutare l’incidenza dei fattori che hanno occasionato la riduzione delle IVG, è quello relativo alla riduzione numerica delle donne in età fertile (da 13.961.645 del 2010 scese ai 12.945.219 del 2016), in ragione dell’invecchiamento progressivo della popolazione generale, oltre che della crescente sterilità delle coppie (l’infertilità riguarderebbe, ad oggi, circa il 15% delle coppie italiane): riducendosi sostanzialmente il numero delle gravidanze, è meno frequente il ricorso alla IVG. Sia l’uno che l’altro fattore incidono sensibilmente sulla capacità di addivenire ad una gravidanza, dunque anche sul numero di aborti, senza che alcun “merito” possa ascriversi alla Legge 194.

1.La Relazione tace altresì sul ruolo attivo svolto dai consultori familiari nel ridurre le intenzioni di aborto, e così favorire nascite che diversamente non si avrebbero. Ci si limita, sotto questo aspetto, a segnalare che dai «dati raccolti, come negli anni passati emerge un numero di colloqui IVG superiore al numero di certificati rilasciati (44.222 colloqui vs 31.234 certificati rilasciati), ciò potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza» (ivi, p. 58). Va aggiunto che il numero degli obiettori di coscienza nei consultori è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere e tende a diminuire ulteriormente (29.7% vs 70.5% nel 2015 e 23.1% vs 70.9% nel 2016, secondo la precedente Relazione).

2.Nella Relazione viene infine sfatato il mito della pretesa carenza cronica dei ginecologi non-obiettori operanti nella sanità pubblica, leitmotiv cui sono soliti ricorrere i sostenitori di una liberalizzazione selvaggia dell’IVG. I parametri per misurare l’incidenza dell’obiezione di coscienza esercitata dal personale sanitario, ai sensi dell’art. 9, sono tre e le relative evidenze concordano nel provare che ad oggi, in Italia, non esiste un problema di accesso all’IVG determinato dall’esercizio dell’obiezione. I parametri adottati tengono conto di:

a) Offerta del servizio in termini di numero assoluto di strutture disponibili.Dall’analisi emerge che il numero totale delle strutture con reparto di ostetricia e/o ginecologia a livello nazionale, nel 2018, risulta pari a 558 (erano 591 nel 2017), mentre il numero di quelle che effettuano le IVG nel 2018 risulta pari a 362, cioè il 64,9% del totale (era il 64,5% nel 2017 e il 60,4% nel 2016). Si è verificato, quindi, un lieve aumento percentuale di strutture disponibili (cfr. ivi, p. 53);

b) Offerta del servizio in termini relativi rispetto alla popolazione fertile e ai punti nascita. Dalla relazione si apprende che «a livello nazionale, ogni 100.000 donne in età fertile (15-49 anni), si contano 3,0 punti nascita, contro 2,9 punti IVG. Considerando quindi sia il numero assoluto dei punti IVG che quello normalizzato alla popolazione di donne in età fertile, la numerosità dei punti IVG appare più che adeguata, rispetto al numero delle IVG effettuate» (ivi, p. 55);

c) Offerta del servizio IVG, tenuto conto del diritto di obiezione di coscienza degli operatori, in relazione al numero medio settimanale di IVG effettuate da ogni ginecologo non obiettore. Dalla relazione emerge che, «considerando 44 settimane lavorative in un anno (valore utilizzato come standard nei progetti di ricerca europei), il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore, settimanalmente, va dalle 0,3 della Valle d’Aosta alle 3,8 del Molise, con una media nazionale di 1,2 IVG a settimana, dato stabile rispetto all’anno precedente. Il rapporto tra non obiettori e IVG effettuate, quindi, appare abbastanza stabile a livello nazionale; eventuali problemi nell’accesso al percorso IVG potrebbero essere riconducibili ad una inadeguata organizzazione territoriale (ivi, p. 56 – 57. Nostri i corsivi).

Leggendo fino in fondo la nota ministeriale, si ha come l’impressione che a oggi invalga, su larga scala, una cultura che tende a normalizzare la concezione dell’aborto come un mezzo di controllo delle nascite, in spregio al principio enunciato dalla 194. Lo si evince da fattori molteplici, quali la diffusione, specie tra le giovani generazioni, di una “mentalità contraccettiva” che si estende in mentalità abortiva; la sempre maggiore determinazione con cui gli organismi sovranazionali, ONU in primis, promuovono a livello planetario programmi di sviluppo delle popolazioni più povere per mezzo della diffusione capillare di strumenti e strutture finalizzati a favorire l’aborto; la sempre maggiore promozione dell’uso strumentale della sessualità; l’ossessione con cui si promuove la salute riproduttiva della donna basandola unicamente sulla libertà e sulla facilità di accesso alle soluzioni abortive; una generale cultura della banalizzazione della vita e della dignità personale dell’essere umano. E’ un’autentica emergenza culturale, antropologica, i cui effetti sembrano sfuggire a chi dovrebbe recepire e discutere questi dati, in primis il Parlamento.

Antonio Casciano

Lug 4, 2020

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