ILSUSSIDIARIO.NET – Funerali bimbi uccisi dal padre. La mamma grida un senso, anche se Vasco non ce l’ha

By 5 Luglio 2020Attualità

Alcuni giorni fa c’è stato il funerale di Diego ed Elena Bressi, uccisi dal padre. Perché mandare una canzone di Vasco, che dice che “la vita un senso non ce l’ha”?

I funerali di Diego ed Elena Bressi, i ragazzini uccisi dal padre Mario a Margno (Valsassina, Lecco), sono stati un momento di pace. Nel campo di calcio di Gessate si è celebrata la messa davanti a mille e duecento persone, ciascuna compostamente in piedi davanti all’altare e alle bare bianche. Avevano dodici anni, i gemelli. Era evidente nella luce dell’eucaristia che quell’atroce ferita alla loro (e nostra) umanità era dentro le stesse piaghe di Cristo. Le piaghe del Risorto! Questa era la fede dei due ragazzi uccisi: ora essi vedono. Questo va rispettato. Tutti debbono farlo.

Invece ecco che la colonna sonora preparatoria di questo evento è stata una canzone di Vasco Rossi, che dice che “tutta questa storia… un senso non ce l’ha”. Come non ne ha la vita. Come non ne ha nulla. Vogliamo trovarvi un senso, noi lo cerchiamo, ma inutilmente. Poi arriverà domani e via, si tira avanti nel non senso.

Nessun moralismo. La canzone è molto bella. Fa pensare. Descrive il nichilismo che pervade il nostro tempo con un dolore di fondo che è sincero. Ma è questa musica che lascia soli, e in fondo disperati, la sentenza sulle loro vite spezzate? E che cioè meritano amore, ma alla fine finiscono in una fossa, e intanto arriverà domani?

Mi spiace soffermarmi sulla colonna sonora, ma è quel testo tragico con quelle note disincantate che dicono il (non) significato di quelle vite straziate. Le cronache dei siti e i Tg insistono sul tema. Logico: La nebbiosa voce di Vasco è inconfondibile, se sei distratto ti giri e guardi. “La vita un senso non ce l’ha”… Ma è proprio così?

Le parole della mamma Daniela lo negano. Nella lettera con cui ha voluto delicatamente rivolgersi ai figli, essi erano (sono) vivi e vicini. L’ha letta un’amica di Daniela: “Ciao nanetti, non riesco ancora a realizzare che non potrò più vedervi, abbracciarvi, sentire la vostra voce che chiama ‘mamma’. Vi abbraccio e vi dico che andrà tutto bene, nonostante il male che vi è stato inferto. So che da ora in poi sarete al mio fianco, il vostro sorriso mi terrà compagnia nei momenti di paura”.

“Andrà tutto bene”. Daniela, rassicurando i suoi bimbi, continua a fare la mamma. La vita non è un inganno. Il suo porto finale è un abbraccio, un sorriso. C’è la certezza di una presenza che strappa alla morte il suo pungiglione. La carezzeranno quei suoi bambini.

E il padre assassino? Non sappiamo niente. Quei sei secondi di salto dal parapetto del ponte di Cremeno allo schianto 96 metri più sotto, sono una eternità misteriosa. Il sacerdote con grande delicatezza cristiana nell’omelia non ha detto una sola parola sul delitto, nessuna condanna. Ce n’era bisogno? No, certo. Ha insistito sulla “compassione”. E chi più di Cristo sacrificato di nuovo sul Calvario dell’altare l’ha avuta, l’ha e l’avrà?

Ma quella canzone a me personalmente brucia. È stata certamente scelta perché poetica, perché poco sentimentale, perché in un festival sull’accompagnamento per morti innocenti vincerebbe per la sua disincantata disperazione. Ma che cosa c’entra con le esequie di due ragazzi cristiani?

Vasco è senz’altro bravissimo. Ma un coro parrocchiale scalcagnato ma commosso avrebbe espresso poveramente la coscienza di quei ragazzi e dell’oratorio, sarebbe stata la voce di un corpo, di un popolo, di un destino. Vasco Rossi (incolpevole!) in quel brano, anche davanti a centomila, conferma nella solitudine e nel vuoto chi pure lo adora.

C’era un’altra canzone di Vasco, che ne esprime la maturità, che lascia aperta la possibilità, testimonia l’ostinata resistenza al nulla che ci assale. Invece di “Senso” sarebbe stato bello ascoltare “Dannate nuvole”: “Quando mi viene in mente/ che non esiste niente/ Solo del fumo, niente di vero/ Niente dura niente, dura e questo lo sai/ Però tu non ti arrenderai/ Chissà perché”.

In quel “chissà perché” c’è un andare oltre l’orizzonte del niente che è strutturato nel cuore di ciascuno, ed è la domanda: Dio rispondi!

C’è una canzone che si intitola “Povera voce” di Maretta Campi e Adriana Mascagni che raccoglie questo grido e testimonia una risposta traboccante di pace. “Tutta la vita chiede l’eternità;/ non può morire, non può finire/ la nostra voce che la vita chiede all’Amor./ Non è povera voce di un uomo che non c’è,/ la nostra voce canta con un perché”. La dedichiamo alla mamma Daniela, e con umiltà la porgiamo a Vasco e ai suoi adoratori.

Renato Farina

Il Sussidiario

5 Luglio 2020