Milena Gabanelli (che chiede un surplus di etica a tutti, tranne che a se stessa)

By 11 Marzo 2018Attualità

Chiede che i condannati in primo grado siano esclusi dalle liste. Insomma di far decidere ai giudici e non al popolo. Ma quando tocca a lei, si dimentica di spiegare.

Di Milena Gabanelli pensiamo la stessa cosa che pensa il nostro amico Marco Cobianchi. Il suo è giornalismo a tesi. Parte da un pregiudizio e cerca le pezze d’appoggio per suffragarlo. Dopo Report ha iniziato a curare una “striscia” sul Corriere della Sera che conferma l’opinione che abbiamo di lei. In una delle prime puntate, per dimostrare che legalizzare la cannabis è cosa buona e giusta, ha citato i dati di un’associazione pro-legalizzazione.
Eppure Gabanelli passa come una che fa inchieste, che fa parlare i fatti, che mostra carte inoppugnabili. Un pezzo di giornalismo anglosassone in mezzo al berciume italiano; ne siamo proprio sicuri? A noi pare un giornalismo solo apparentemente più presentabile di quello di Marco Travaglio.
Ieri l’ennesima conferma. Sul Corriere della Sera ha vergato la solita omelia contro i “condannati in lista” chiedendo ai partiti un «surplus di etica». L’argomentazione non è nuova: sebbene non vi sia alcuna legge in Italia che vieti di candidare persone che non hanno una condanna definitiva, tuttavia i partiti non dovrebbero inserirle nelle loro liste. E perché, di grazia? In realtà, come ognuno può facilmente intuire, l’obiettivo della Gabanelli è che “alcuni” politici di “alcuni” partiti non siano candidati. Insomma, fate scegliere ai giudici, non al popolo.
Nell’articolo in questione, fra i citati c’è anche Roberto Formigoni, «condannato – ricorda la giornalista – in primo grado a 6 anni di reclusione e interdetto dai pubblici uffici per corruzione». Inutile sperare da Gabanelli un po’ di garantismo (esistono anche altri gradi di giudizio, no?), ma almeno le si potrebbe chiedere se anche da parte sua non servirebbe un “surplus di etica”. Ricordate il servizio mandato in onda da Report il 4 novembre 2012 in cui si attaccava frontalmente l’allora presidente di Regione Lombardia per i suoi guai giudiziari, pedinando i Memores Domini fin sull’uscio di casa, citando alla rinfusa di tutto, fede, opere e politica? Adesso che, dopo cinque anni di processo, Formigoni è stato assolto (per la 14esima volta) perché «il fatto non sussiste», non sarebbe il caso di una pubblica ammenda? Così, giusto per stare ogni tanto dalla parte dei fatti e non solo delle opinioni o antipatie personali.

Emanuele Boffi
Tempi.it, 22 febbraio 2018