Comolli

Tempi.it, 8 giugno 2017

Chi lo vuole uno Stato terapeuta?

La giusta lotta alle superstizioni non deve sfociare in uno scientismo ingenuo e “tecnocrate” che limita le scelte dei singoli e le responsabilità dei genitori.

Il dibattito di questi mesi in materia di vaccini, da cui è uscito un decreto legge che innalza a ben dodici le vaccinazioni obbligatorie, rinvia a una serie di discussioni di non facile risoluzione. Sullo sfondo ci sono controversie di ordine scientifico, ma al tempo stesso è chiaro che tutto ciò implica questioni istituzionali e culturali che hanno a che fare con la libertà dei singoli e l’autonomia delle comunità, oltre che con il rapporto tra scienza e potere. Si può sostenere senza troppi timori di essere smentiti che – nella loro maggioranza – scienziati e medici sono oggi favorevoli al ricorso ai vaccini. Per questo essi sono preoccupati dal diffondersi di atteggiamenti pregiudizialmente scettici nei riguardi della scienza. In particolare, essi richiamano l’attenzione sul fatto che, anche grazie a internet e al suo dare spazio a qualunque tesi, stanno moltiplicandosi i casi di malati che si affidano a terapie del tutto inefficaci.

È dei giorni scorsi la tragedia di un bambino di soli sette mesi morto dopo essere stato nutrito con un’alimentazione a base di quinoa, latte di avena, latte di riso, latte di grano saraceno e latte di semola; e quando il piccolo si è sentito male, invece di portarlo in ospedale, i genitori sono andati da un omeopata. Il rigetto dei vaccini si colloca entro questo quadro, che vede emergere un crescente rifiuto della scienza medica, insieme all’idea che dietro a ogni attività umana (che esige risorse e capitali) vi sia un qualche complotto ai nostri danni.

Uno dei tratti del postmoderno è proprio la tendenza a mettere sullo stesso piano le opinioni dell’uomo della strada e quelle di chi ha dedicato anni allo studio di un tema quanto mai complesso e specialistico. Quando Jean-François Lyotard parlava di crisi della “grandi narrazioni” descriveva un processo che, nel tempo, ha finito per togliere ogni aura pure ad accademici ed esperti.
Tutto ciò è drammatico, ma reagire a tale tendenza non significa negare i limiti della conoscenza umana. Per difendere la scienza bisogna riconoscerne il carattere imperfetto e dinamico. Non a caso un serio studioso difficilmente parlerà “in blocco” di vaccini, poiché ogni farmaco comporta benefici e – senza dubbio – anche rischi. E d’altra parte non esistono soluzioni perfette, così che si tratta di scegliere tra gli inconvenienti connessi alla vaccinazione (secondo la maggior parte degli studiosi, molto contenuti) e quelli della non vaccinazione, che invece sarebbero più elevati.

Una volta che fosse possibile superare le controversie tra scienziati, varie questioni rimarrebbero comunque aperte. In effetti, anche sposando una posizione pro-vaccini, come la legislazione dovrebbe intervenire in tale ambito? In una società libera, ognuno ha diritto a curarsi e, al tempo stesso, a non curarsi. Il nostro stesso ordinamento ritiene necessario lasciare a ogni singolo la facoltà di decidere quali terapie adottare e quali no, fino alla possibilità di rinunciare alle cure.

Qui si rivela, però, un altro aspetto problematico. I difensori delle vaccinazioni obbligatorie, infatti, affermano la necessità d’imporre a tutti ben dodici somministrazioni dato che, qualora ciò non avvenisse, si metterebbe a rischio la salute altrui. L’argomento può sembrare paradossale, dato che per definizione i vaccinati non hanno nulla da temere dai non vaccinati. In realtà le cose non stanno così, poiché vi sono soggetti immunodepressi che, anche volendolo, non possono essere vaccinati. Chi non si vaccina, insomma, può mettere a rischio la salute e la vita di altre persone.

L’argomento non è di poco rilievo, ma bisogna sottolineare come una simile logica sottragga i bambini alla famiglia e consegni una decisione come quella di vaccinarli o non vaccinarli alla volontà di una maggioranza politica. Quanti oggi pensano opportuno proteggere un bambino dal rischio del morbillo dovrebbero domandarsi se lo Stato possa attribuirsi un potere di tale natura.
Quali garanzie abbiamo che la maggioranza parlamentare sappia realizzare una normativa sui vaccini che utilizzi questo strumento solo quando è opportuno? È ovvio che ogni soluzione dirigista immagina un legislatore onnisciente (o almeno più razionale di quanti sono oggetto delle sue scelte), ma si tratta di un assunto davvero problematico.

Se proprio si deve individuare una politica comune in materia di vaccinazioni, allora può essere meglio localizzare ogni decisione. In una società in cui il 60 per cento fosse contro i vaccini e il 40 per cento favorevole, questi ultimi si troverebbero sempre a subire le conseguenze della volontà altrui. Se però questa società fosse scomposta in dieci realtà più piccole, è possibile che in alcune di esse si abbia una maggioranza pro-vaccini. Avremmo quindi varie politiche sanitarie in concorrenza tra loro e, al tempo stesso, un minor numero di persone obbligate a subire la decisione altrui.

In fondo, è quello che già succede oggi in Europa. In ben 15 paesi europei (tra cui Regno Unito, Germania, Svezia, Austria ecc.) non c’è alcun obbligo a vaccinarsi. In Belgio e Olanda è obbligatoria solo l’antipolio. Questa ampia differenziazione di soluzioni potrebbe essere rafforzata se a decidere in materia non fosse un’autorità statale, ma una piccola amministrazione locale: come di fatto già avviene nel caso di realtà assai minuscole come il Lussemburgo, il Liechtenstein o l’Islanda.

In Italia, ipotizzare una pluralità di soluzioni che distinguano tra le diverse regioni o province permetterebbe di mettere alla prova soluzioni diverse, con la possibilità di valutare se sia più ragionevole adottare una politica massicciamente interventista (quella che l’Italia ha adottato ora) o se invece non sia il caso di valorizzare il diritto individuale, la libertà di cura, l’autonomia dei nuclei familiari.

Pianificazione sociale
In effetti, una delle implicazioni del recente decreto è che esso sottrae ai genitori uno dei loro compiti principali (prendersi cura della salute dei bambini), dilatando ancor più i poteri pubblici. Lo Stato terapeuta è in stretta correlazione con lo Stato educatore, che ha nazionalizzato il sistema scolastico sfruttando anche l’idea che molte famiglie potrebbero non istruire i loro ragazzi o non farlo nel modo giusto. Anche in ragione di queste considerazioni, nell’acceso conflitto tra favorevoli e contrari ai vaccini è possibile leggere una riproposizione di uno scontro cruciale del nostro tempo: quello tra populisti e tecnocrati.

I primi hanno spesso la vocazione a farsi interpreti di ogni superstizione: da quella secondo cui le scie chimiche sarebbero parte di progetto malvagio a quella che invece immagina la soluzione dei problemi economici nella moltiplicazione della moneta cartacea. Questa sensibilità è nemica di ogni autorità e autorevolezza: e “se uno vale uno” la mia opinione in materia di medicina vale quanto quella di un infettivologo. Da parte loro, i tecnocrati non soltanto pensano di avere la verità in tasca, inconsapevoli che ogni nostro sapere è provvisorio, fragile, viziato dall’errore. Oltre a ciò, essi ritengono che sia loro diritto usare questo sapere per fare e disfare la società. Fin dai tempi di Saint-Simon e di Comte, tale ideologia ha sempre perseguito una visione “costruttivista”, che annulla la responsabilità individuale e marginalizza ogni forma di realtà comunitaria.

Il dibattito sui vaccini, allora, ci obbliga a guardare alla complessità del reale, a comprendere che la valorizzazione della razionalità umana non comporta un ingenuo scientismo, non deve sfociare in programmi di pianificazione sociale e distruzione delle libertà dei singoli, non può svuotare la famiglia dei propri compiti e delle proprie responsabilità. La sforzo di aderire alla verità non può ignorare le ragioni fondamentali della libertà e della responsabilità.

Carlo Lottieri

8 giugno 2017

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