Comolli

Le recenti polemiche innescatesi attorno al convegno della Regione Lombardia hanno portato il Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, Riccardo Bettiga, ad intervenire con un comunicato ufficiale. Ne emerge un quadro drammatico e preoccupante.

Il Presidente Bettiga, invece di riaffermare un principio di libertà, ovvero salvaguardare i pazienti che vivono come un problema la propria omosessualità e desiderano abbandonare delle pulsioni indesiderate per, magari, impegnarsi in una relazione famigliare, “condanna” le terapie riparative. A questo si aggiunge un caso di cronaca altrettanto preoccupante: il dott. Paolo Zucconi, dopo aver menzionato le medesime teorie riparative sul sito ‘guida psicologi.it’, è stato condannato a tre mesi di sospensione dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia. Per chi non lo sapesse, con l’espressione “terapie riparative” si intende comunemente l’insieme dei percorsi terapeutici che hanno come obiettivo il trattamento delle pulsioni sessuali indesiderate. Il termine è improprio, poiché solo una delle numerose forme di terapia, la Dynamic Short Term Therapy viene ridefinita da Joseph Nicolosi “terapia riparativa” quando applicata al trattamento delle pulsioni sessuali indesiderate, ma la dizione declinata al plurale ben si presta a specificare che non esiste una terapia tout-court per l’omosessualità indesiderata, bensì ogni forma di terapia è adatta a tale sintomatologia. Dicevamo, però, che il Presidente Bettiga condanna tali pratiche: “Voglio comunque utilizzare l’occasione per chiarire nuovamente, da un lato, la sentita e naturale condanna rispetto alle suddette terapie riparative”. Il lettore sprovveduto penserà che ci siano delle ragioni consistenti a supporto di una simile dichiarazione. In realtà non ve ne è alcuna. Ma procediamo con ordine.

 GruppoUna prima domanda sorge spontanea: dalle parole del Presidente si intuisce che una condanna fosse già stata proclamata. È davvero così? Assolutamente no. Nel 2012 l’Ordine della Lombardia aveva emesso una delibera in cui si segnalava un rischio: “L’Ordine segnala che le cosiddette ‘terapie riparative’, rivolte a clienti aventi un orientamento omosessuale, rischiano, violando il codice deontologico della professione, di forzare i propri pazienti nella direzione di ‘cambiare’ o reprimere il proprio orientamento sessuale, invece di analizzare la complessità di fattori che lo determinano e favorire la piena accettazione di se stessi” . La segnalazione di un rischio è ben diversa da una condanna. “Se passi col rosso rischi una multa”, dice il vigile urbano all’autista. Questa è la segnalazione di un rischio. “Sei passato col rosso, ti sospendo la patente”. Questa è una condanna. Il vigile può attuare la condanna poiché applica un regolamento preesistente, che stabilisce che passare col rosso è reato. Nel Codice Deontologico degli psicologi e nelle precedenti delibere dell’Ordine non vi è traccia di un reato in riferimento alle terapie riparative. Dunque, mi chiedo, come può esserci una condanna? Su quali basi? E soprattutto, con quale autorità? Come Bettiga stesso ricorda nella seconda parte della lettera: “L’Ordine esercita i propri compiti di legge avviando azioni disciplinari nei confronti di presunte violazioni deontologiche e informando i colleghi e la società circa i valori fondanti dell’attività professionale”. Non è, pertanto, una organizzazione scientifica ma amministrativa.

Come può intervenire proibendo o censurando una formulazione teorica, ovvero una tesi scientifica? C’è una contraddizione. Forse il Presidente ha abusato della sua autorità. Fatto che non preoccupa di per sé, ma allerta sul clima da “terrore bianco” che ancora aleggia nelle stanze dell’Ordine. La passata consigliatura si era caratterizzata, infatti, per un predominio dell’ideologia del gender e per la militanza omosessualista della maggioranza che aveva, nell’ex Presidente Mauro Grimoldi, il principale esponente. Il tutto aveva avuto inizio nel 2012, all’alba di un congresso scientifico a cui era stato invitato proprio Joseph Nicolosi. Il gruppo di Altrapsicologia, allora di maggioranza, aveva convocato una seduta del Consiglio stabilendo come ordine del giorno una “discussione” sulle terapie riparative. In realtà è stato inscenato un finto confronto tra due esperti: da una parte lo psicoanalista Giancarlo Ricci e dall’altra lo psichiatra Paolo Rigliano. Il dottor Ricci aveva parlato in favore delle terapie riparative, giustificandone la coerenza con i criteri della terapia psicoanalitica, mentre il dottor Rigliano, ospite esterno – in quanto medico e non psicologo – aveva invece dissertato contro la presenza di dati concreti a supporto dell’efficacia di tale terapia (senza, però, fornire altrettanti dati contro l’utilità o a favore di una pericolosità di tali percorsi). I due esperti erano in disaccordo; dunque, da un punto di vista scientifico, se così si può dire, il Consiglio avrebbe dovuto stabilire l’esistenza di diverse opinioni sul tema. In barba alla verità, il Consiglio approvò la delibera – proposta dall’allora Presidente Grimoldi ed anticipatamente preparata – in cui si segnalava il rischio di possibili violazioni del codice deontologico. Su quali basi, ci si chiede, ufficialmente non si sa. La delibera, però, non debordava dall’ambito di competenza dell’Ordine, ovvero non si esponeva in campo teorico, censurando o proibendo una teoria (compito che, semmai, spetta ad un organo che abbia altre disposizioni), ma insinuando il dubbio che le terapie riparative fossero rischiose. Rischio che dovrebbe essere appurato sulla base di dati e non millantato sulla base di posizioni ideologiche preconcette. Il Presidente Grimoldi aveva preparato la delibera, aveva inscenato una discussione di cui, però, non aveva tenuto conto, ed alla fine aveva chiesto l’unanimità al Consiglio sul tema. Tutt’altro che una democrazia, più che altro un imperialismo.

Da lì è iniziato il periodo del terrore. Forti di una posizione che, giuridicamente, non può impedire l’esistenza di una teoria clinica quale la terapia riparativa ma, di fatto, suggerendone una condanna, la precedente consigliatura dell’Ordine iniziò una vera e propria guerra ai terapeuti dei pazienti con tendenze omosessuali indesiderate. L’arma utilizzata per offendere – in pieno stile giacobino – fu l’etica, ovvero il processo deontologico. I colleghi che si sono esposti pubblicamente parlando di “cura” e “guarigione” o usando le parole “terapia”, “remissione dei sintomi”, “nevrosi”, ecc. sono stati denunciati da altri colleghi e richiamati al tribunale della “santa Deontologia”. Mai parlare di cura dell’omosessualità, non si può! Mai sostenere che le attrazioni sessuali indesiderate possono ridursi sino a scomparire, è vietato! Quando un terapeuta infrange una norma deontologica, imponendo, ad esempio, un proprio credo al paziente, dovrebbe essere il paziente stesso a segnalare l’illecito e denunciare il professionista. Nei casi di “epurazione deontologica”, invece, sono i colleghi a denunciare altri colleghi, non sulla base di illeciti nei confronti dei pazienti, ma di visioni differenti dal dogma unico sull’omosessualità! Un vero e proprio uso ideologico della giustizia. L’esito è stato un progressivo aumento della paura da parte dei professionisti che si sono pian piano sentiti sempre più minacciati dall’Ordine, invece che difesi.

Con le elezioni del 2014 la situazione sembrava cambiare. Molti psicologi si sono resi conto dell’ideologia presente nella corrente di Altrapsicologia e nel protagonismo autoritario del suo “leader maximo”, ed hanno optato per un cambiamento, preferendo la lista avversaria, ovvero Professione Psicologi, di cui il Presidente Bettiga è l’esponente. Il cielo tetro del “periodo del terrore” sembrava alle spalle. Il clima pareva finalmente cambiare. Invece gli psicologi continuano ad essere denunciati dai colleghi puristi dell’omosessualismo per quelle parole che non si allineano all’ideologia di genere ed alla reprimenda delle terapie riparative. E cosa peggiore, continuano ad essere processati e sanzionati, spesso con motivazioni superflue che, nascondono, invece, l’ostilità per chi continua ad aiutare le persone che liberamente vogliono abbandonare uno stile di vita gay ed abbracciare l’eterosessualità. La dichiarazione del Presidente Bettiga è un segno eloquente: gli attivisti omosessualisti hanno perso le elezioni ma hanno vinto la battaglia culturale. Hanno permesso che l’idea secondo cui le terapie riparative siano nocive perdurasse. Un’idea indimostrata. Hanno permesso che su questo tema dominasse il pensiero unico, che tollera solo la cosiddetta terapia affermativa, ovvero che punta all’accettazione delle attrazioni indesiderate (non è forse questa più violenta e deontologicamente scorretta?). Hanno permesso che il sentimento di colleganza e di rispetto reciproco venisse soppiantato dal sospetto e dalla denuncia. Chi la pensa diversamente dal pensiero unico imposto e veicolato dai vertici dell’Ordine è costretto al silenzio ed alla paura. Al silenzio poiché non ha lo spazio per avanzare alcuna replica teorica. Mentre i teorici dell’omosessualismo parlano a gran voce. Alla paura poiché l’esposizione porterebbe al controllo, al sospetto e, ultimamente, alla reprimenda ideologica.

Ma la psicologia può così procedere? La scienza dov’è finita? Perché di scienza bisogna parlare. Ed è proprio al silenzio che il pensiero unico spinge gli avversari, perché essi parlando smonterebbero i miti creati a discapito della verità. Ne riportiamo tre.

Il mito secondo cui le terapie riparative invitano alla violazione del codice deontologico. Falso. Basta leggersi qualche pagina di Nicolosi per accorgersi che – nei confronti dei pazienti incerti o determinati a permanere nella vita gay – il terapeuta americano opera una obiezione di coscienza e li indirizza ad altri professionisti. Molti pazienti desiderano abbandonare l’omosessualità e, come scrive Claudio Risé , dovrebbero essere accompagnati e supportati, ovvero seguiti in un percorso di terapia riparativa.

Il mito secondo cui le terapie riparative vogliono “riparare” i pazienti, come se fossero degli oggetti rotti (secondo l’espressione di Mauro Grimoldi). L’ex presidente ignora che il termine “riparazione” ha una lunga storia nella psicologia clinica, e risale a Donald Winnicott e Melania Klein. Con esso si intende il processo attraverso cui il sintomo tenta di riparare una ferita subita all’identità. Se, ad esempio, un bambino percepisce una ferita all’identità di genere, e nel tempo la ferita si rafforza, tanto da sviluppare insicurezza ed inferiorità nei confronti dei coetanei, timore ed al contempo desiderio di essere come loro, di possedere una forza ed una determinazione di cui si sente mancante, un tentativo di riparare a quella ferita consiste nel “prendere” (metaforicamente e simbolicamente) dagli altri uomini proprio ciò di cui si pensa di aver bisogno; erotizzandoli, magnificandoli, desiderandoli. Così l’attrazione per la persona dello stesso sesso diviene un tentativo di soluzione ad un problema di insicurezza ereditato dal passato. Il termine riparativo non è necessario. A me non piace, preferisco quello di “compensazione”, usato da Alfred Adler in un libretto poco noto (guarda caso) dedicato proprio all’omosessualità. Adler ritiene che l’omosessualità sia un tentativo di ipercompensazione ad un sentimento d’inferiorità ereditato dalla prima infanzia. Anche la terapia adleriana, dunque, è condannata in Lombardia?

Il mito che le “terapie riparative” siano dannose, ovvero aversion therapies. Il fatto che le attrazioni siano lette come un “tentativo di soluzione al problema” dovrebbe far intuire che il terapeuta non si oppone ad esse, perché rappresentano comunque un aspetto positivo, un modo per togliersi dal guado, benché disadattivo e, per testimonianza del paziente stesso, controproducente. Il clinico, semmai, propone una strada diversa per guarire quella ferita; una strada potenzialmente migliore poiché libera e non automatica, consapevole e non istintiva. È questo il motivo per cui le terapie riparative non si inscrivono nelle aversion therapies, ovvero quelle pratiche di stampo comportamentista, in voga negli anni Sessanta, che forzavano i pazienti a comportamenti dannosi e/o dolorosi (come il sottoporsi, ad esempio, a scosse elettriche). La terapia riparativa di Nicolosi deriva da una variante americana della terapia psicoanalitica, mentre altri terapeuti che lavorano con le attrazioni omosessuali indesiderate provengono da altre correnti di psicoterapia contemporanea; Gerard van den Ardweeg, ad esempio, dalla psicologia individuale di Adler.

Vi sarebbero molte altre questioni che meriterebbero di essere svelate. Per ora mi fermo a queste denunce. Non mi aspetto che il Presidente Bettiga ritratti le affermazioni contraddittorie ed infondate che ha scritto. Mi aspetto che almeno si informi su quel “pensiero scientifico attuale” di cui parla, ben sapendo che non è uniforme ma ricco e complesso di sfumature e punti di vista anche opposti. E che ponga fine al clima del terrore, iniziando a terminare la battaglia sulle terapie riparative. Altrimenti, cosa lo distinguerà dal predecessore? Che senso ha averlo votato ed eletto? Chi rispetterà quelle voci che richiedono un trattamento per uscire da una vita indesiderata, che Luca di Tolve  e diverse realtà associative, come Agapo, hanno sollevato?

di Gustavo Giovane

La Nuova Bussola Quotidiana, 20-01-2015

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