Comolli

L’AUTENTICA DEVOZIONE ALLA MADONNA

L’8 dicembre abbiamo celebrato una delle “solennità mariane” più importanti: “l’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria”, cioè il Dogma che afferma che la Madonna, per singolare grazia e pri­vilegio di Dio e in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, fu immune dal peccato originale e generò il Figlio per opera dello Spirito Santo.

La Madonna, creatura privilegiata, piena di grazia e in perfetta comunione con Dio, prossima con la sua intercessione alle esigenze di tutti gli uomini, è venerata dai cristiani più degli angeli e dei santi, basti solo ricordare le migliaia di santuari a lei dedicati in ogni angolo del mondo. Questo mostra che tantissimi uomini affermano di essere devoti alla Madonna!

Di conseguenza ci chiediamo: cosa significa venerare Maria e come deve esprimersi l’autentica devozione? E’ sufficiente la recita del rosario, l’accendere delle candele, recarsi in pellegrinaggio ai santuari mariani…? Sono atti “ammirevoli ma insufficienti”, poiché onorare Maria, significa innanzitutto “ricopiare” nella nostra vita le sue caratteristiche fondamentali.

Due sono quelle evidenziate dal Vangelo:

-la totale accettazione del progetto di Dio su di Lei: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc.1.38);

-la sollecitudine nel porsi a servizio del prossimo: “Si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda”  dove abitava Elisabetta, sua cugina che, in età avanzata, era gravida e :  “rimase con lei circa tre mesi” (cfr.: Lc. 1,38-45).

 Maria accoglie la vocazione riservatagli da Dio

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Accogliere la vocazione divina, pur senza comprenderla totalmente, fu la svolta fondamentale dell’esistenza di Maria e un valido rife­rimento di fronte al quotidiano intessuto di fatica, di sofferenza, d’incom­prensioni e alla monotonia che spesso forma la ruggine dell’abitudine.

Serve notare che tutta la vita della Madonna fu “accompagnata” dalla sofferenza.

-La nascita di Gesù avvenne in un luogo povero e disagevole (cfr.: Lc. 2,1-7).

-L’immediata fuga e l’esilio in Egitto poichè Erode intendeva uccidere il bambino, le provocò i disagi dello stato d’immigrata (cfr. Mt. 2,13-18).

-Ritornata in Palestina, il vecchio Simeone nel Tempio di Gerusalemme, definendo Gesù segno di contraddizione, le profetizzò che “una spada le avrebbe trapassato il suo cuore” (cfr.: Lc. 2,34-35).

-Visse l’angoscia per lo smarrimento del Figlio dodicenne nel tempio di Gerusalemme e per la sua risposta incomprensibile: “Perché mi cercavate? Non sapete che io debbo occu­parmi delle cose del Padre mio?” (cfr.: Lc. 2,41-51).

Anche il ministero pubblico del Signore Gesù causò a Maria molteplici incomprensioni.

-Alle Nozze di Cana, di fronte alla sua sollecitudine per i due sposi in difficoltà, Gesù dichiarò: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora” (cfr.: Gv. 2,1-10).

-Nel corso di una predicazione, quando lo avvisarono della presenza della madre, il Figlio rispose: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Ecco mia madre ed ecco i miei fra­telli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (cfr. Mt. 12,46-50).

Ma il momento più atroce fu quello della passione e della morte del Cristo. Forse, a Gerusalemme, era presente tra la folla che, alla domanda di Pilato se liberare Gesù o Barabba, richiesero la scarcerazione del delinquente. Eppure erano le stesse persone che la domenica precedente l’a­vevano acclamato, udito la sua predicazione e assistito ai suoi miracoli; forse alcuni, erano stati anche beneficiati personalmente.

Maria, infine, accompagnò il Messia sulla via del Calvario, stette ai piedi della croce e poi appoggiò sul suo grembo il Figlio morto vivendo il dolore più grande di una madre, appunto la morte di un figlio.

Accogliendo di essere Madre del Redentore significò anche essere la Madre del Crocifisso. Di conseguenza possiamo adattare a Lei le parole che il profeta preannunciò sul Messia: “Voi tutti che passate per la via, considerate e o osservate se c’è un dolore simile al mio dolore” (Lam. 1,12).

Tutto questo fu vissuto da Maria  con una fede incrollabile!

 Maria al servizio del prossimo

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La seconda caratteristica di Maria riguarda la “prontezza” nel porsi al servizio del prossimo.

Immediatamente dopo aver espresso il suo “si” a Dio si pose gratuitamente e libera­mente al servizio del prossimo: la cugina Elisabetta.

Maria agì senza incertezze, anche se, questo servizio, esigeva dei sacrifici dovuti alla distanza tra Nazaret ed Eri Karin da percorrere in diversi giorni, probabilmente a piedi, in uno stato fisico precario dovuto alla gravidanza. E giunta nella casa della cugina immediatamente si mise al lavoro.

E’ questo l’atteggiamento di chi riconosce che nella vita tutto è dono e perciò offre al fratello aiuti materiali, tempo, capacità professionali e doti perso­nali.

Anche noi, devoti della Madonna, “dobbiamo testimoniare la gratuità”  con servizi resi senza attendere nessun compenso   economico, né di prestigio, né di potere, ma unicamente nell’ottica del dono e della condivisione con gli altri di quello che si è e di quello che si ha. E ciò, di fronte alle leggi del mercato e della concorrenza che gui­dano vari processi della nostra società, in un contesto culturale che confonde il valore con il prezzo, la bontà con l’efficienza, la produtti­vità con il profitto; in una quotidianità nella quale anche le relazioni più per­sonali spesso sono fondate su rapporti di reciprocità, almeno a parità di valore, o nascondono un simbolico desiderio di sopraffazione.

“L’autentica gratuità” richiede non solo la rinuncia alla ricompensa per il servizio offerto, ma deve essere accompagnata anche dal sacrificio e dallo sforzo, come quello della povera vedova evangelica che gettò nel tesoro del Tempio di Gerusalemme pochi spiccioli e Gesù affermò: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” (Mc.12,43-44).

Ma questa forma di totale gratuità sgorga dalla piena libertà interiore e da motivazioni di condivisione nei confronti del bisogno dell’altro. Unicamente così ogni azione di aiuto acquisterà un’impronta personale, diretta e spontanea!

Questo modo di agire potrà anche infastidire, lo ricordava Fra Marco Fabello, direttore della rivista Fatebenefratelli un po’ di tempo fa, nel numero dedicato ai quattro frati morti in Liberia poichè contagiati da Ebola. Scrisse Fra Fabello: “Mi viene il dubbio che agli uomini d’oggi possa dare fastidio che vi siano ancora delle anime generose che mettono gli altri, i più poveri, i più malati al vertice dei valori della vita da servire. Quasi un richiamo a coscienze ormai spente…”(Fatebenefratelli n. 3, Anno LXXVIII, pg. 5).

Ma, la Madonna, ci domanda questo!

Maria la mediatrice tra Cristo e il malato

Come dobbiamo invocare la Madonna quando ci troviamo nella sofferenza e nella malattia?

L’ufficio di mediatrice della Madonna tra gli uomini e il Signore Gesù è straordinario avendo sul cuore del Figlio un potere straordinario. San Bernardo affermava: “Dio ha voluto che noi avessimo tutto per mezzo di Maria”. Papa Leone XIII, nell’enciclica “Jucunda semper” (1894), approfondì il concetto: “Tutta la grazia comunicata al mondo attuale segue questo triplice e ordinatissimo processo; da Dio a Cristo, da Cristo a Maria, da Maria a noi” (27). E il Concilio Vaticano II spiegò: “Con la sua materna carità Maria si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinante e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata. Per questo la beata Vergine è invocata dalla Chiesa con i titoli di Avvocata, Soccorritrice, Mediatrice” (Lumen gentium, 42).

E’ confortante nella sofferenza una vicinanza amica come quella della Madonna che ponendosi a fianco del malato intercede per la salute del corpo e per la salvezza dello spirito. Tuttavia, la mediazione che imploriamo dalla Vergine non può trasformarsi in un semplice ossequio che potrebbe offuscare la centralità del Cristo. Anche a noi, come agli sposi di Cana, ribadisce: “Fate come vi dice Gesù…” (Gv. 2,7). Infatti a quelle nozze, associando alla certezza di essere esaudita l’estrema prudenza della domanda, implora da Gesù una soluzione, senza avvalersi del suo ascendente materno per imporre quella decisione che il Figlio successivamente adotterà.1

L’autentica devozione a Maria, dunque, non può limitarsi a cantarne le sue lodi ma si concretizza nel rispondere positivamente al progetto che Dio ha riser­vato per ciascuno di noi sia a livello personale che professionale e nel mettersi gratuitamente e liberamente al servizio del prossimo.

Quando teologia e devozione mariana si fondono in una sublime poesia, il pensiero corre al Canto XXXIII del Paradiso della Divina Commedia: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio (…). Donna, se’ tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia a te non ricorre, sua distanza vuol volar sanz’ali”.

6 dicembre 2016

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