Comolli

Si è celebrata lunedì 17 novembre la “Giornata Mondiale dei Neonati Prematuri”. Questa giornata e la lettera di Giulia mi offrono lo spunto per riflettere su questa situazione che anche in Italia riguarda parecchi neonati.

“Sono la mamma di Antonella, una bambina nata alla 23° settimana inseguito ad una mia grave gestosi. Pesava 560 grammi ed è stata ricoverata per quattro interminabili mesi in TIN (terapia intensiva neonatale). Fu una lotta continua; un giorno stava bene, uno così così, uno malissimo ed un giorno era in fin di vita. Io e mio marito non abbiamo mai dubitato che nostra figlia ce l’avrebbe fatta, gli abbiamo sempre offerto amore e sostegno. Ora Antonella ha sette anni, sta bene, è una ragazzina vivacissima e frequenta la seconda elementare. Noi siamo di Firenze, ho partorito all’ospedale Careggi negli stessi giorni in cui un bambino nacque vivo e morì poco dopo poiché i medici lo soccorsero  e lo rianimarono solo dopo venti minuti dalla nascita. Non so se ricorda il caso. Questa dolorosa vicenda che ho vissuto intensamente avendo delle analogie con quella di Antonella, non solo a livello di tempo ma anche di storia del bambino, mi pone degli interrogativi: come può una mamma abortire a 22 settimane quando il feto è un «uomo in miniatura», avendo delle possibilità di vita autonoma? Perché questo ritardo dei medici ad intervenire? Giulia”.

 Ricordo il caso citato da Giulia. Era maggio 2007, quando all’ospedale Careggi di Firenze, fu praticato ad una donna alla 22° settimana di gravidanza, un aborto indotto. Pochi giorni prima, al termine di un’ecografia, i medici avevano comunicato alla futura mamma che il nascituro, probabilmente, era affetto da atresia dell’ esofago. I sanitari la invitarono a sottoporsi ad altri accertamenti, ma la donna rifiutò ed abortì supportata dalla compiacenza di uno psichiatra che gli fornì il certificato. Inseguito, si verificò l’assenza della presunta malformazione. L’ atresia dell’ esofago è una malformazione che colpisce 1 bambino su 13.500, con gravità variabile. Si sospetta la presenza della patologia quando nell’ ecografia non è visibile lo stomaco; ma questo organo è poco distinguibile in 1 feto su 100. Il piccolo di Firenze, chiamato Tommaso, nacque vivo e pesava 500 grammi. Dai giornali, abbiamo appreso che le cure furono prestate trascorsi venti minuti dalla nascita. «Siamo stati chiamati dall’ostetrica 20 minuti dopo la nascita del bambino e solo allora siamo intervenuti. Il piccolo fino a quel momento è rimasto senza assistenza. Forse se non avessimo tardato sarebbe potuto sopravvivere», dichiarò F. Rubaltelli, primario del reparto di terapia intensiva neonatale del Careggi, al Corriere della Sera e al Foglio. Un episodio analogo si verificò il 24 aprile 2010 all’ospedale di Cosenza. Un corpicino affetto da labiopalatoschisi sinistra completa (labbro leporino) fu abbandonato privo di assistenza in una stanza adiacente alla sala parto. A seguito della segnalazione del cappellano, i sanitari si attivarono ad assisterlo, ma dopo poco tempo morì per grave asfissia perinatale.

All’interrogativo di Giulia sulle motivazioni che inducono una mamma ad abortire alla 22° settimana, soprattutto senza approfonditi accertamenti, non so rispondere! Evidenzio solo che alla sedicesima settimana (quattro mesi) il corpicino è perfetto e il nascituro si muove con agilità nel mondo acquatico del sacco amniotico, e alla ventesima settimana (quinto mese) 1perfeziona i movimenti e gli impulsi dei nervi. Ad esempio, quando il pollice si avvicina alla bocca, immediatamente le labbra lo afferrano e la lingua pratica i movimenti di suzione. Inoltre, percepisce sensazioni sensoriali e fisiche come dimostrato da Carlo Bellieni neonatologo e membro della Pontificia Accademia per la Vita nel testo: Sento, dunque sono (Cantagalli 2005). Quindi l’aborto gli procurerà un’immensa sofferenza, intuendo che colei che reputava la sua futura mamma intende ucciderlo. Anche per il secondo interrogativo, quello sul ritardo della cura, non ho elementi per fornire un parere. Possiedo però una certezza: l’articolo 7 della legge 194/78 obbliga il medico a adottare ogni idonea misura per salvaguardare la vita del feto qualora sussista la possibilità di vita autonoma.

 Neonati prematuri

Il parto praticato prima del termine della 37° settimana dall’ultimo ciclo mestruale è definito pretermine ed il neonato prematuro, anche se è complesso accertare la corretta età del feto. Più breve è la durata della gravidanza, più piccolo e più fragile sarà il neonato. La prima possibilità di  vivere autonomamente la riscontriamo alla 22° settimana nella 1percentuale del 10% con un alto rischio di disabilità. Le probabilità di vita aumentano al 23% nella 23° settimana, al 39% nella 24°, al 52% nella 25° e ad oltre il 75% nella 26°. Comunque, in ogni situazione, il neonato va rianimato, possedendo lo stesso diritto alla cura di ogni persona in condizione di rischio, evitando però  l’accanimento terapeutico. La decisione sulle cure, o sulla loro sospensione, spetta al medico nel maggior interesse del neonato. I progressi della medicina consentono oggi al feto una vita autonoma in anticipo rispetto al passato; per questo la legge 194/78 dovrebbe essere aggiornata anticipando il termine ultimo dell’aborto terapeutico dalla 24° alla 22° settimana. Da ultimo non possiamo dimenticare che un alta percentuale delle morti prima dei 5 anni di età, circa il 63%, riguarda i bambini nati pretermine.

In occasione della Giornata Mondiale, il ministro della Salute B. Lorenzin, ha annunciato alcune linee di indirizzo da tenere di fronte a questi casi e anche per prevenirli. “È estremamente importante realizzare tre cose: la prima – spiega Lorenzin – è l’assistenza e la prevenzione 1durante la gravidanza, evitando fattori di rischio ed elementi che possono creare problemi al feto come il fumo o l’alcol, e utilizzando l’acido folico, tema al centro di una campagna in atto. E farsi seguire dal proprio ginecologo per una corretta alimentazione e tutti gli esami clinici da fare”.
Il secondo elemento “importante – prosegue – è proprio il momento del parto, con riferimento alla sicurezza della rete di ostetricia e ginecologia. Per questo, è importante andare avanti con la chiusura dei punti nascita non appropriati, la realizzazione di una rete di neonatologia-rianimazione e anche di trasporto veloce per i bambini prematuri laddove sia necessario, una rete che sia efficiente in tutto il Paese”.
Il terzo elemento è poi quello dell’assistenza nella post ospedalizzazione, “perchè il bambino va seguito anche quando torna a casa”.

 Una testimonianza

In Europa, ogni anno, 500.000 bambini nascono prematuri; in Italia 50.000. E questa situazione comporta settimane di ansia per i genitori. Per questo voglio concludere con un messaggio di fiducia con la testimonianza di Francesca.

«Mi chiamo Francesca, sono nata alla 24a settimana di gestazione a causa di una brutta infezione al liquido amniotico, il 9 novembre 2000. Una notte, la mia mamma, cominciò a sentire le contrazioni e si recò 1subito al pronto soccorso ginecologico. Le fu diagnosticata una dilatazione di circa un dito e le dissero che sarebbe stato molto difficile fermare il travaglio che era già in corso. La ricoverarono e le somministrarono subito Vasosuprina, per far cessare le contrazioni. I medici dissero che avrebbe partorito a breve e vista la mia bassa età gestazionale non sarei sopravvissuta. La mia mamma strinse i denti e riuscì a resistere alle contrazioni per due giorni in modo da permettere al Celestone (un corticosteroide che permette la maturazione dei polmoni dei bimbi) di fare il suo effetto. Quando i medici e gli infermieri uscivano dalla stanza, la mia mamma aumentava fino a due/tre volte il flusso della flebo con la Vasosuprina, rischiando la tachicardia, ma riuscendo a resistere minuto dopo minuto, per due giorni. Così venni al mondo, con la mia mamma spezzata da due giorni di dolori lancinanti; ero un ragnetto di 690 grammi tutto bluastro, mi portarono via dalla sala parto di corsa, non respiravo e non piangevo. L’unica cosa che funzionava, appena appena, era il cuore. Così mi ritrovai in un’incubatrice con una cannuccia nel naso che mi permetteva di respirare, con un ago in vena che mi nutriva e una serie di sonde che monitoravano il mio stato di salute. Il giorno dopo il primario disse ai miei genitori, che, nonostante le iniezioni di surfattanti, i polmoni non reagivano, e che essendo un caso di prematurità così spinto, se avessi continuato ancora per un po’ di tempo così, sarebbe stato molto difficile salvarmi. Le mie condizioni sembravano disperate, ma il giorno seguente i polmoni cominciarono a dare segni di funzionamento. Il mio peso scese fino a 550 grammi;  respiravo con l’aiuto della macchina. Mi si era perforato l’intestino a causa della NEC (Enterocolite Necrotizzante), una patologia tipica dei prematuri che è causata dalla scarsa vascolarizzazione dell’intestino e mi misero un drenaggio per sfogare i gas nella pancia». Tralasciando altri mille problemi che Francesca dovette affrontare e superare, giungo alla conclusione.

Francesca a 5 anni

Francesca a 5 anni

«La mia degenza durò 133 giorni, di cui 50 intubati, il mio peso passò da 690 grammi alla nascita a 2.180 grammi alle dimissioni. Ho affrontato veramente di tutto, ma ce l’ho fatta». E infine l’augurio di Francesca, una bella ragazza con i capelli biondi che oggi ha dodici anni, sta bene ed è felice di vivere: «Mi auguro che la mia storia possa servire a qualcuno….. Spero che questo possa aiutare a sperare perché la luce in fondo al tunnel è sempre accesa» (www.24settimane.it).

 

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