Comolli

Gesù domenica ti attende!

Abbiamo evidenziato nella scorsa “pillola di saggezza” che forse uno dei motivi per cui partecipiamo poco alla Messa della domenica è la difficoltà di coglierne, oltre che la ricchezza dell’Azione che si compie, il significato dei vari gesti e dei vari simboli, perciò ci sentiamo più spettatori che personaggi in azione. Le cause sono molte: dalla routine ad una pseudo ignoranza religiosa; dalla distrazione all’abitudine.

Ma “Cristo non ci ha dato la Messa per dar spettacolo, ce l’ha data per muovere la nostra vita verso di Llui. Dunque, non confinate il sacerdote dietro l’altare come un personaggio che agisce per conto suo. No, il prete non offre per conto suo e neppure per sola delegazione vostra, il prete è all’altare per ‘offrire con voi’ e voi siete di là dell’altare non per delegare lui, ma per offrire con lui; voi siete parte viva del Sacrificio Eucaristico” (A. Gasparini, La Messa cena del Signore, LDC, Leumann -To 1985, pg. 162). Vogliamo, perciò, rivedere il rito, appunto per comprenderlo meglio.

Ma per capire la Messa ci è richiesto “lo stupore” dei discepoli di Emmaus che riconobbero il Signore Gesù mentre spezzava il pane e contemporaneamente la convinzione che il mistero che si compie durante la Celebrazione Eucaristica è troppo grande perché sia decifrato, anche solo in parte, dall’intelligenza dall’uomo. Eppure, questo rito, “è il culmine e l’origine della vita cristiana” (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 1), cioè il cuore della nostra religiosità e della sua vitalità. E’ come dire: “meno partecipi alla Messa più ti senti vuoto interiormente”; perciò la domenica dovresti andare partecipare alla Messa, non per ottemperare a un obbligo ma un desiderio del tuo cuore .

 La Celebrazione Eucaristica che assume le sembianze di un “convito di famiglia” è divisa in due grandi parti: la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica.

La Liturgia della Parola.

La Messa inizia con i “Riti di introduzione”: saluto del sacerdote all’altare e all’assemblea, atto penitenziale, Kyrie eleison, Gloria, Orazione o Colletta.

Il sacerdote, invita i presenti a riconciliarsi con Dio e con i fratelli non potendo essere in comunione con I’Assoluto se non lo si è con gli altri uomini. Partecipare alla Messa con animo irato è una contradizzione dato che nel corso della celebrazione  compiremo atti d’intensa fraternità: la recita del Padre Nostro, lo scambio del segno della pace, l’assunzione della comunione. È indispensabile pentirci, come richiede I’atto penitenziale, per i pensieri non costruttivi che abbiamo avuto, per le parole non necessarie, intrise di pettegolezzo e, a volte, velenose che abbiamo pronunciato, per le opere non evangeliche che abbiamo compiuto, per le omissioni, cioè per il bene che potevamo realizzare ma non abbiamo fatto. E tutto questo negativo lo affidiamo  alla misericordia di Dio. Ed Egli ci dona la grazia di sentirci perdonati e pronti a perdonare.

E qui vorrei riprendere una citazione di papa Francesco a proposito di un’obiezione molto frequente già citata nello scritto precedente: “A volte qualcuno chiede: ‘Perché si dovrebbe andare in chiesa, visto che chi partecipa abitualmente alla Santa Messa è peccatore come gli altri?’. Quante volte lo abbiamo sentito! In realtà, chi celebra l’Eucaristia non lo fa perché si ritiene o vuole apparire migliore degli altri, ma proprio perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo. Se ognuno di noi non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore, è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla redenzione di Gesù, al suo perdono. Quel ‘Confesso’ che diciamo all’inizio non è un ‘pro forma’, è un vero atto di penitenza! Io sono peccatore e lo confesso, così comincia la Messa! Non dobbiamo mai dimenticare che l’Ultima Cena di Gesù ha avuto luogo ‘nella notte in cui veniva tradito’ ” (12 febbraio 2o14).

La celebrazione poi prosegue con l’inno del Gloria e con l’Orazione (o Colletta) recitata dal sacerdote con le braccia aperte e preceduta da alcuni secondi di silenzio per formulare nel cuore le intenzioni di preghiera per noi più importanti che saranno offerte a Dio nell’orazione comune.

Sono poi proclamate di tre letture; la prima solitamente è tratta da un brano dell’Antico Testamento e seguita da un salmo; la seconda è desunta dagli scritti apostolici del Nuovo Testamento; e infine il Vangelo mediante il quale Cristo stesso parla oggi a ognuno di noi. Per questo lo ascoltiamo in piedi attentamente e umilmente. Ma l’ascolto è preceduto da un triplice segno (di croce) che facciamo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore per ricordarci che per un autentico ascolto sono indispensabili una mente, una bocca e un cuore puro.

Terminata la lettura del Vangelo, il sacerdote prununcia l’omelia, più comunemente detta la “predica”, con una definizione che, talvolta, fa emergere un significato spregiativo o un sinonimo di noia. Molti ritengono questo momento così importante da farne criterio di scelta per la partecipazione a una determinata Messa; altri pensano che si ripetano sempre le stesse cose, che sia improduttiva, a volte, fastidiosa per il tono troppo moraleggiante. La ricchezza di un’omelia non sta né nella lunghezza né nella brevità, non nel tono aspro né in quello mieloso, ma nella capacità di destare I’interesse per la Parola e suscitare I’impegno per la sua concretizzazione nella quotidianità. In altri termini, ogni fedele, alla conclusione della Liturgia della Parola dovrebbe avere delle chiare indicazioni, per attualizzare il tema trattato nella settimana sta iniziando.

Infine si rinnova la propria fede e si riconfermano gli impegni battesimali con la recita del Credo (o Simbolo Apostolico) e ci si rivolgono a Dio, nella “Preghiera dei fedeli” (o preghiera Universale), pregando per le necessità della Chiesa, per i governanti, per la salvezza di tutto il mondo, per tutti quelli che si trovano in particolare necessità…

La liturgia eucaristica.

Questa si articola in vari momenti: la presentazione del pane e del vino, la preghiera eucaristica, i riti di comunione.

Con il pane e il vino “frutto della terra e del lavoro dell’uomo” offriamo anche la nostra quotidianità, le nostre gioie e le nostre sofferenze. È interessante notare che prima della presentazione del vino, il sacerdote lo mescola con alcune gocce d’acqua affermando: “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione alla vita divina del Cristo”. San Cipriano di Cartagine vede nel vino il segno della passione del Cristo e nell’acqua quello della nostra umanità peccatrice che nella morte e risurrezione del Signore Gesù è stata redenta (cfr.: De Oratione Dominica 23, PL4, pg. 543).

E siamo giunti al momento centrale della Messa: la Consacrazione, cioè quando Cristo si fa pane della vita e contemporaneamente dono: “Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà più fame” (Gv. 6,35). Per comprendere maggiormente questo dono s’invita alla lettura del Vangelo di Giovanni 6,22-66.

Nella Preghiera Eucaristica, “il sacerdote ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio in nome di tutto il popolo” (Concilio Vaticano II, Lumen Gentium n. 10). A Cristo presta unicamente la voce, perché è Lui che in ogni Messa ci dice: “Questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi. Questo è il calice del mio Sangue… versato per voi… Fate questo in memoria di me”. Terminata la consacrazione, rimangono solo le apparenze del pane e del vino con la loro composizione chimica, perché Gesù è entrato in quelle sostanze trasformandole nella Sua Carne e nel Suo Sangue. E’, come acclama il sacerdote subito dopo la Consacrazione, un “mistero della fede”.

Ricorda papa Paolo VI che con la consacrazione avviene la “transustanziazione”, cioè “le specie del pane e del vino acquistano un nuovo significato e un nuovo fine, non essendo più l’usuale pane e l’usuale bevanda, ma il segno di una cosa sacra e di un alimento spirituale. Ma acquistano nuovo significato e nuovo fine soprattutto perché contengono una nuova ‘realtà’, che giustamente denominiamo ontologica. Giacché sotto le predette specie non c’è più quel che c’era prima, ma un’altra cosa tutta diversa. Convertita la sostanza o natura del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo, nulla rimane più del pane e del vino, ma in quelle specie Cristo è presente nella sua ‘fisica realtà’, anche corporalmente, sebbene non allo stesso modo con cui i corpi sono nel luogo” (Mysterium fidai n. 7).

Di conseguenza, comprendiamo l’importanza di accostarsi degnamente alla Comunione. Lì, il Signore Gesù si dona, vuole vivere in noi per sostenerci nel cammino della vita. Lui ci penetra, ci purifica, ci illumina e ci fortifica e noi ci impegnamo a vivere “come Lui” anche terminata la Celebrazione. perchè chi ha incontrato e ricevuto Cristo non può rimanere indifferente nei confronti degli altri. Spiegava papa  Francesco: “Ora noi, quando partecipiamo alla Santa Messa, ci ritroviamo con uomini e donne di ogni genere: giovani, anziani, bambini; poveri e benestanti; originari del posto e forestieri; accompagnati dai familiari e soli… Ma l’Eucaristia che celebro, mi porta a sentirli tutti, davvero come fratelli e sorelle? Fa crescere in me la capacità di gioire con chi gioisce e di piangere con chi piange? Mi spinge ad andare verso i poveri, i malati, gli emarginati? Mi aiuta a riconoscere in loro il volto di Gesù? Tutti noi andiamo a Messa perché amiamo Gesù e vogliamo condividere, nell’Eucaristia, la sua passione e la sua risurrezione. Ma amiamo, come vuole Gesù, quei fratelli e quelle sorelle più bisognosi?… Per esempio, a Roma in questi giorni abbiamo visto tanti disagi sociali o per la piaggia, che ha fatto tanti danni a quartieri interi, o per la mancanza di lavoro, conseguenza della crisi economica in tutto il mondo. Mi domando, e ognuno di noi si domandi: Io che vado a Messa, come vivo questo? Mi preoccupo di aiutare, di avvicinarmi, di pregare per coloro che hanno questo problema? Oppure sono un po’ indifferente? O forse mi preoccupo di chiacchierare: ‘Hai visto com’è vestita quella, o come com’è vestito quello?’ A volte si fa questo, dopo la Messa, e non si deve fare! Dobbiamo preoccuparci dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che hanno bisogno a causa di una malattia, di un problema” (12 febbraio 2014).

Ho tentato con umiltà e semplicità di offrirvi alcuni spunti di riflessione; non chiudeteli nel cassetto, partecipate domenica alla Messa da protagonisti e la vostra vita acquisterà maggiore serenità.

La Messa, l’Eucarestia che significa “ringraziamento”, ha un valore infinito e noi dobbiamo inchinarci di fronte a un dono così grande.

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